Questa figura del dottor Fileno proprio non riesce ad abbandonare i miei pensieri da quando l’ho incontrato in una novella di Pirandello: “La tragedia di un personaggio”, il dottore che voleva a tutti i costi trovare un autore che amplificasse l’importanza della sua scoperta. “Il cannocchiale del dolore” l’ho battezzata io: un cannocchiale che, usato a rovescio, proiettasse indietro, indietro nella memoria, dolori vivi, reali in modo tale da farli apparire più piccoli, sbiaditi dal tempo, sfocati ed ingialliti da una patina pietosa che offusca la mente, annebbia, appanna, confonde, ristora! Me lo immagino nervoso ed inquieto il dottor Fileno ! come una zanzara, come il “seccatore” di Orazio che ti opprime di gentilezze e ti parla da vicino magari toccandoti un po’ dappresso, stimolando un leggero senso di fastidio e d’antipatia! Ma la sua invenzione mi piaceva, mi ha fatto pensare, mi ha invogliato ad usarla. L’ho quasi provata qui sul naso, ho anche aggiunto una lente accessoria che mi provocasse un ulteriore ottundimento, una visone ancora più lontana, remota, quasi immaginaria della realtà. Ho visto mio padre, mia madre morire in un silenzio ovattato d’oblio, lasciare la terra, soli, mesti e dubbiosi nella mia indifferenza totale, tanto lontani e diafani da volare verso il nulla, il vuoto, l’eterno abbandono accompagnati solo dal livido lamento di un mesto violino. Ma devo aver dimenticato il cannocchiale qui nel mio studio, sulla mia scrivania. Non ci avevo pensato, non avevo neppure sospettato che qualcuno potesse sbagliarsi, impossessarsene ed usarlo in senso inverso. Ma deve essere accaduto proprio così. E qui la fantasia diventa dura, fredda, agghiacciante realtà:Avrà avuto sessant’anni, settanta, non lo so. I capelli grigi tirati all’indietro, magra, emaciata, longilinea, dignitosamente mesta. Le solite frasi, la misurazione della pressione, il prelievo di sangue. “Ha sentito dolore signora?” “Dolore?” E gli occhi improvvisamente luccicano di pianto silenzioso e abbondante. “Fossero questi i dolori, professore!” “Parla sillabando, scandendo ogni parola come ritmata da un singhiozzo represso e parla come fosse sola, parla, parla con le bocca, con le mani, con le lacrime che condiscono un racconto già mesto e crudo e irrimediabilmente vero! Ci fa entrare, raccontando, nella sua casa, nella sua cucina dove sta preparando un caffè fumante per il figlio trentenne che si avvia al lavoro. “Aspetta, aspetta che ti faccio un caffé.” E lo vedi il figlio impaziente sulla soglia di casa, alto forte, giovane, vitale e la madre che insiste, che lo coccola, che vuole fargli un caffé come fosse un abbraccio, un augurio, un caldo, sincero augurio di una buona giornata! “Un attimo professore, un attimo! il tempo di un caffè, vado in cucina e……..arresto cardiaco, professore !” E un fazzoletto bianco già zuppo di lacrime corre verso quegli occhi rossi, consunti, gonfi, vivi, parlanti .“Un solo figlio, professore, un solo figlio ed io che vivo ancora! No non si muore di dolore, professore, non si muore”. E se ne va barcollando verso l’uscio socchiuso. Un altro paziente varca la soglia: il nostro sorriso stereotipato lo accoglie con la solita gentilezza ma con un attimo di ritardo. Il tempo di prendere il cannocchiale, quello del dottor Fileno, che mi aveva accostato sapientemente al “nirvana” ma che la vecchia signora ha ridotto in frantumi. Il tempo di prenderne i cocci e depositarli delicatamente nel cestino. Dino Licci
Questa figura del dottor Fileno proprio non riesce ad abbandonare i miei pensieri da quando l’ho incontrato in una novella di Pirandello: “La tragedia di un personaggio”, il dottore che voleva a tutti i costi trovare un autore che amplificasse l’importanza della sua scoperta. “Il cannocchiale del dolore” l’ho battezzata io: un cannocchiale che, usato a rovescio, proiettasse indietro, indietro nella memoria, dolori vivi, reali in modo tale da farli apparire più piccoli, sbiaditi dal tempo, sfocati ed ingialliti da una patina pietosa che offusca la mente, annebbia, appanna, confonde, ristora! Me lo immagino nervoso ed inquieto il dottor Fileno ! come una zanzara, come il “seccatore” di Orazio che ti opprime di gentilezze e ti parla da vicino magari toccandoti un po’ dappresso, stimolando un leggero senso di fastidio e d’antipatia! Ma la sua invenzione mi piaceva, mi ha fatto pensare, mi ha invogliato ad usarla. L’ho quasi provata qui sul naso, ho anche aggiunto una lente accessoria che mi provocasse un ulteriore ottundimento, una visone ancora più lontana, remota, quasi immaginaria della realtà. Ho visto mio padre, mia madre morire in un silenzio ovattato d’oblio, lasciare la terra, soli, mesti e dubbiosi nella mia indifferenza totale, tanto lontani e diafani da volare verso il nulla, il vuoto, l’eterno abbandono accompagnati solo dal livido lamento di un mesto violino. Ma devo aver dimenticato il cannocchiale qui nel mio studio, sulla mia scrivania. Non ci avevo pensato, non avevo neppure sospettato che qualcuno potesse sbagliarsi, impossessarsene ed usarlo in senso inverso. Ma deve essere accaduto proprio così. E qui la fantasia diventa dura, fredda, agghiacciante realtà:Avrà avuto sessant’anni, settanta, non lo so. I capelli grigi tirati all’indietro, magra, emaciata, longilinea, dignitosamente mesta. Le solite frasi, la misurazione della pressione, il prelievo di sangue. “Ha sentito dolore signora?” “Dolore?” E gli occhi improvvisamente luccicano di pianto silenzioso e abbondante. “Fossero questi i dolori, professore!” “Parla sillabando, scandendo ogni parola come ritmata da un singhiozzo represso e parla come fosse sola, parla, parla con le bocca, con le mani, con le lacrime che condiscono un racconto già mesto e crudo e irrimediabilmente vero! Ci fa entrare, raccontando, nella sua casa, nella sua cucina dove sta preparando un caffè fumante per il figlio trentenne che si avvia al lavoro. “Aspetta, aspetta che ti faccio un caffé.” E lo vedi il figlio impaziente sulla soglia di casa, alto forte, giovane, vitale e la madre che insiste, che lo coccola, che vuole fargli un caffé come fosse un abbraccio, un augurio, un caldo, sincero augurio di una buona giornata! “Un attimo professore, un attimo! il tempo di un caffè, vado in cucina e……..arresto cardiaco, professore !” E un fazzoletto bianco già zuppo di lacrime corre verso quegli occhi rossi, consunti, gonfi, vivi, parlanti .“Un solo figlio, professore, un solo figlio ed io che vivo ancora! No non si muore di dolore, professore, non si muore”. E se ne va barcollando verso l’uscio socchiuso. Un altro paziente varca la soglia: il nostro sorriso stereotipato lo accoglie con la solita gentilezza ma con un attimo di ritardo. Il tempo di prendere il cannocchiale, quello del dottor Fileno, che mi aveva accostato sapientemente al “nirvana” ma che la vecchia signora ha ridotto in frantumi. Il tempo di prenderne i cocci e depositarli delicatamente nel cestino. Dino Licci