Questo evidenzia che il problema non è solo e soltanto la mancanza di lavoro, ma che quel poco ancora esistente va soggetto a un continuo degrado che si riflette sui livelli di salario, sulla ricattabilità e non ultimo sui livelli di consumo. In una parola meno lavoro e di minore qualità che è il segno dei tempi. Altrove come in Germania e in Usa gli indicatori dell’occupazione “tengono”, in qualche caso pure tendono a rialzarsi, ma presentano sempre questo secondo aspetto, ovvero un crollo di livello, di competenza e ovviamente di retribuzione.
L’Italia è affetta da entrambe queste caratteristiche denunciando non soltanto la profondità della crisi in cui si è avvitata, i lunghi anni di oblio della politica vera e l’incapacità delle classi dirigenti di farvi fronte, per non parlare della governance europea che merita un discorso a parte. Non mi sembra una follia sostenere che in questa situazione invece di baloccarsi con le sue ambizioni, salvezze e schifezze il sistema politico dovrebbe riconoscere l’impossibilità di rimandare ulteriormente provvedimenti draconiani, esattamente contrari a quelli adottati finora. In pratica un sussidio di disoccupazione generalizzato che a conti fatti (cioè con il ritorno in tassazione diretta o indiretta e in minori spese) costerebbe parecchio meno di quanto ci costano le missioni di pace e l’acquisto di armamenti, ma almeno favorirebbe una qualche ripresa con l’aumento dei consumi.
L’ostacolo è puramente ideologico, al contrario di quanto non si pensi. Un sussidio di disoccupazione è infatti un antidoto al ricatto sul lavoro e ai salari troppo bassi, al precariato selvaggio, al lavoro nero, permettendo alle persone di non dover accettare qualsiasi cosa e a qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Un colpo allo sfruttamento intensivo. Ed è proprio questo che fa storcere il naso alle classi dirigenti: tanta crisi per nulla, proprio no.