“Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”disse Iqbal durante una conferenza in Svezia.
Iqbal Masih era un bambino fabbricante di tappeti, che grazie all'aiuto di un'organizzazione umanitaria, diventò un bambino fabbricante di sogni. L'autore del libro, Andrew Crofts, ne ha scritti molti altri con storie da ricordare come quella di Iqbal, spesso senza neanche firmarli, visto che dice di voler semplicemente prestare la sua mano e la sua penna a chi ha una storia da raccontare, ma magari non sa scriverla. Se solo avesse avuto più tempo forse Iqbal l'avrebbe scritta da solo la sua, visto che, con l'aiuto dell'organizzazione, aveva imparato a leggere e a scrivere. In breve tempo aveva capito quanto l'istruzione fosse importante, fondamentale per le sorti di un popolo, che, se ignorante, inevitabilmente diventa schiavo.
Mentre andavo avanti con la lettura mi sembrava di aver già sentito le parole di Iqbal da qualche parte. Mi sembrava di aver già conosciuto qualcuno che aveva sogni simili ai suoi.
Mio nonno aveva iniziato a lavorare quando era un bambino, non fabbricava tappeti, ma zappava la terra, portava via i sassi dai campi, faceva pascolare le pecore. Mio nonno non sapeva leggere né scrivere, ma aveva una mente fervida di pensieri e aveva capito quanto l'istruzione fosse basilare. Ai suoi figli ripeteva di studiare come fosse una cantilena, lo ripeteva anche ai suoi nipoti.
“Il fabbricante di sogni” mi è sembrato bellissimo, crudo e vero, per questo dico che mi è sembrato bello. Noi occidentali dovremmo tenere bene in mente la figura di questo bambino fisicamente malridotto per il lavoro svolto da quando aveva quattro anni, ma mentalmente così avanti da chiedersi perché quelle persone che in Europa e in America gli erano sembrate così gentili continuavano a comprare tappeti a basso costo, dando lavoro a quei padroni cattivi cattivi che costruivano le loro fortune sopra l'ignoranza della povera gente. Già, perché lo facciamo? Lo sappiamo che dietro un pallone ci sono le mani di un bambino che non gioca mai, che mai diventerà grande probabilmente, ma quel pallone alla fine lo compriamo. Siamo complici anche noi.
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