Il fantasma di Magath sconfigge l’amuleto Nedved

Creato il 11 aprile 2013 da Mbrignolo

NOTIZIE (Torino). Lo Juventus Stadium assaggia per la prima volta la ribalta dei quarti di finale di Champions League e sugli spalti e nei ricordi dei tifosi bianconeri presenti scorre un sottile filo rosso (non quella tonalità Bayern che smorzerà i sogni) che unisce decenni e ricordi. Dieci anni fa, 14 maggio 2003, proprio in questo rettangolo di terreno, era lo Stadio delle Alpi poi abbattutto ma le coordinate GPS sono le stesse, i colori bianconeri vissero l’ultima grande impresa europea, il 3-1 nella semifinale contro il Real Madrid dell’ex-Zidane, Figo, Ronaldo e uno dei protagonisti della serata fu Pavel Nedved, la furia ceca alla quale spesso i tifosi bianconeri si appellano come ad un amuleto nei momenti del bisogno. Pavel compare una mezz’ora prima dell’inizio della gara per partecipare ad uno dei salotti televisivi a bordo campo e qualsiasi altro coro è sepolto, in quarantamila intonano “Pavel, Pavel Nedved”. Il ceco, che qualcuno dice destinato ad occupare la scrivania di Marotta, vede nel salottino vicino Patrick Vieira, compagno d’avventura che non ha lasciato tracce nei cuori juventini, un saluto, un abbraccio. “Sotto la curva, Nedved sotto la curva”, e perchè no in campo, forse stasera ci vorrebbe proprio la furia ceca. Pavel va a prendersi i suoi applausi e poi lascia il campo.

Formazione delle squadre, inno della Juventus e lo stadio si colora di speranza: “I love Ju” riempie la tribuna est mentre la curva Sud mostra un chilometrico striscione: “Non arrenderti mai perchè quando pensi che sia tutto finito è il momento in cui tutto ha inizio”. E’ la segreta speranza di ogni sciarpa bianconera che affolla le gradinate anche se la maggioranza è conscia dell’impresa impossibile.

I sostenitori del Bayern Monaco occupano tutto lo spicchio dei tifosi ospiti e, non si sa come in uno stadio dove i controlli di sicurezza non consentono di fare entrare neanche una pietra focaia, accendono un paio di fumogeni rossi che sono ormai spettacolo obsoleto (per fortuna) dalle nostre parti. Pronti, via. Si parte. La Juventus ci prova, forse non c’è la bolgia-bolgia auspicata da Antonio Conte, così come manca la furia-furia in campo ma anche lo Juventus Stadium al suo primo appuntamento di gala prova a spingere il pallone verso la porta di Neuer ma si infrange contro il muro rosso-Bayern. Finisce il primo tempo, le reti sono ancora inviolate, non bisogna arrendersi mai ma l’impressione è la squadra di Heynckes stia giocando come il gatto con il topo.

Nell’intervallo arriva un segnale chiaro per il popolo juventino. Nella tribuna Omar Sivori campeggia un volto tristemente famigliare, è lui, sì è proprio lui si danno di gomito i più attempati: bisogna tornare indietro di 30 anni. 25 maggio 1983, Atene. La Juventus più dominante della storia nell’allora Coppa dei Campioni cade in una finale nella quale è arrivata come strafavorita contro l’Amburgo per un goal di herr Felix Magath, il fantasma che trent’anni dopo appare in tribuna allo Juventus Stadium. E’ un presagio di sconfitta. Dopo 19 minuti Mandzukic spegne il sogno e tutto il resto non è più storia, almeno non è più storia bianconero. Per il momento in cui tutto ha inizio bisognerà ancora aspettare qualche tempo ma la fame da queste parti è tanta e il pubblico meno viziato di un tempo, fino al 90′, nonostante il raddoppio di Pizarro, i quarantamila dello Juventus Stadium sostengono la squadra. Forse ci sarebbe proprio voluta la furia ceca.


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