ario ottocentesco.
Incuriosito dalle vicende narrate nello scritto l'uomo crede di riconoscere nelle persone ivi descritte il sé stesso di una vita precedente in cui era circondato dai medesimi amici della sua attuale esistenza: Donatello; Miriam e Hilda. Spronata da Kenyon quest'ultima narra di un incubo ricorrente in cui, vestita con abiti ottocenteschi si vede perseguitata da una misteriosa figura incappucciata. Alcuni giorni dopo toccherà a Miriam essere avvicinata da un uomo inquietante durante una escursione nelle catacombe.
Ben presto i quattro vedono sgretolarsi una ad una tutte le loro certezze a causa degli attacchi del persecutore, in un conflitto che sembra avere origini perfino più antiche delle vicende narrate dal diario.
Chi è il misterioso persecutore? Si possono rivivere più volte le stesse esperienze? L'incontro con la persona amata è il frutto di una libera scelta oppure è davvero tutto già scritto? E sopratutto, il misterioso diario contiene dentro di sè la chiave per sfuggire alla maledizione o è esso stesso parte del maleficio?
In una complicata girandola di reincarnazioni e di reminiscenze si potrebbe perfino scoprire che coloro che sembrano i più forti giunti al momento della resa dei conti si potrebbero dimostrare come più deboli degli altri.
(Molto ) Liberamente tratto da un romanzo di Nathaniel Hawthorne, Il Fauno di Marmo è una delle produzioni tipiche della R.A.I nate nella seconda metà degli anni settanta.
In questo periodo la nostra emittente di stato si trova ad affrontare una delle sue periodiche riforme, probabilmente la più importante di tutte: quello che fino a poco tempo prima è stato per tutti il Secondo Canale diventa ufficialmente RaiDue, non più una semplice appendice quindi, ma una rete autonoma e in grado di fare concorrenza al primo canale.
In più il 1 febbraio 1977 sbarca in Italia la rivoluzione del Colore. Il nostro paese, rispetto allealtre nazioni europee, comunque arriva buon ultimo all'appuntamento, dopo anni di dibattiti parlamentari, esperimenti, ripensamenti e false partenze.
Addirittura, nella fase iniziale del passaggio al colore, i vertici aziendali non riescono nemmeno a mettersi d'accordo su quale tipo di sistema di codifica utilizzare; quindi con una pilatesca decisione che fa tanto "italiano" per i primi mesi non solo si continueranno a trasmettere alcuni programi in b\n ma per quelli a colori verranno utilizzati alternativamente, un mese l'uno e un mese l'altro, il sistema tedesco PAL e il francese SECAM.
(Per la cronaca, alla fine verrà scelto in via definitiva il PAL, in quanto ritenuto più affidabile, ma solo dopo molti mesi )
Nello stesso periodo molte trasmissioni storiche come Carosello vengono chiuse, molti volti storici tra presentatori e soubrette vengono allontanati dagli schermi in un ansia di rinnovamento che, francamente, assieme a tante cose buone qualche danno comunque lo creerà..
In tutto questo fervore, quelli che si sentiranno più spaesati risultano proprio i telespettatori più anziani, coloro che da anni sono abituati ad un certo modo di fare televisione.
Per questo nel 1977 l' azienda di stato, quasi a voler rassicurare quella tipologia di telespettatori, decide di programmare su Rai Due tutta una serie di sceneggiati di impostazione più classica e che diano così la sensazione che, in fondo non sia cambiato nulla,
Nasce così Il Fauno di Marmo, miniserie in tre episodi, che va in onda con un certo qual successo dal 28 settembre al 12 ottobre di quello stesso anno. Per la regia la Rai si affida a Silverio Blasi, uno dei suoi migliori registi, mentre della sceneggiatura se ne occupano i veterani Massimo Franciosa e Luisa Montagnana e la colonna sonora viene composta con eleganza dal compositore molisano Stelvio Cipriani
Però, le cose non funzionano come dovrebbero.
Franciosa e la Montagnana in pratica non solo attingono a piene mani, ma quasi copiano pedissequamente, le trame, le impostazioni di base e i topoi di alcuni sceneggiati precedenti come Il Segno del Comando, L'Amaro Caso della Baronessa di carini e Ritratto di Donna Velata.
Dal primo viene ripreso anche il cantante della sigla, il romano Lando Fiorini, come evidente segnale di continuità.
Ritroviamo così trattati in questo prodotto televisivo elementi abituali di quel tipo di sceneggiati come Maledizioni Cicliche, fantasmi, reincarnazioni, mesmerismo e quel pizzico di esoterismo che tanto andava di moda in quel decennio.
Solo che l'amalgama risulta fatta a caso, non è pienamente equilibrata. In parole povere si ha la sensazione di un unico immenso guazzabuglio in cui viene gettato un po di tutto senza discernimento.
O ancora peggio senza ordine logico.
Quasi come se i primi a non avere fiducia in quello che stavano combinando i fossero gli sceneggiatori stessi.
Bisogna ricordare inoltre che le vecchie produzioni RAI fino a praticamente tutti gli anni 70s erano dotate di tempi molto più lunghi di quelle prodotte attualmente con pause e ritmi quasi teatrali perché dal teatro provenivano quasi tutti gli attori, i tecnici ed i registi impiegati.
Particolare questo che, non solo non disturbava ma che spesso finiva col fornire una maggior professionalità nel prodotto finito.
Non è così in questo caso.
Non del tutto perlomeno.
Perchè, se è vero che la maggior parte degli attori impiegati compie il suo dovere fino alla fine bisogna anche dire che la storia viene infarcita di dialoghi di natura esistenzialista ( non sempre giustificati ed eccessivi perfino per il periodo della messa in onda) che finiscono per appesantire ulteriormente il risultato finale
. La stessa ambientazione romana che ne Il Segno del Comando aveva costituito un notevole valore aggiunto grazie alla magniifcenza dei suoi scorci, in qesto caso risulta sottotono, quasi grigia, perfino spoglia- escludendo alcune scene della prima puntata ambientate all'interno del Colosseo.
Cosa rimane quindi? cosa si può salvare ?
Rimane una buona prova attoriale da parte di alcuni membri del Cast.
Da salvare senza alcun dubbio la recitazione essenziale ma perfetta di Orso Maria Guerrini nel ruolo di Kenyon, quella del misconosciuto Giorgio Bonora che gigioneggia nella parte del Persecutore e quella di Marina Malfatti come Miriam.
Molto meno convincenti Consuelo Ferrara ( Hilda ) che va ricordata solo per uno dei primi nudi integrali della storia dell'emittente di Stato e Donato Placido che veste con scarsa convinzione i panni di Donatello, l'ultimo dei quattro amici coivolti nella maledizione ciclica .
Purtroppo la recitazione deI fratello bello di Michele Placido risulta infatti fin troppo legnosa, quasi come se l'attore già presagisse, perfino nel suo momento di massimo successo, che presto l'astro nascente del parente futuro Commissario Cattani, lo avrebbe relegato nel recinto degli attori dimenticati.
Da salvare sono anche le colonne sonore di Cipriani ed alcune scene che regalano momenti di vero terrore e genuina angoscia.
Parlare de Il Fauno di Marmo significa quindi parlare di un prodotto riuscito solo in parte,di una produzione minore e perfino di uno sceneggiato crepuscolare ; se Il Segno del Comando ha infatti rappresentato l'inizio della fase gotica delle produzioni Rai, invece Il Fauno purtroppo ne rappresenta "la fase finale ", la decadenza del genere, genere che avrebbe vivacchiato ancora per qualche annetto con produzioni altanelanti fino alla definitiva scomparsa.
Si può guardare anche per poter gustare l'interpretazione di Orso Maria Guerrini , uno dei volti simbolo assieme ad Ugo Pagliai e a Nino Castelnuovo di quella Rai degli anni 70s, ma che a differenza dei due succitati colleghi è comunque riuscito a superare indenne tutti i successivi cambiamenti di gusto del pubblico.
O si può guardare anche per ricordarci che un tempo si realizzavano
anche da noi prodotti televisivi diversi dall'ennesima ficiton su Santi; Preti e Poliziotti.
Nonostate sue le evidenti imperfezioni è sopratutto questo il motivo
per cui vale la pena ricordare Il Fauno di Marmo.
Tutto sta nel lasciarsi trasportare e nel voler credere che in fondo
un altro tipo di televisione sarebbe ancora possibile.
Perfino in Italia.