Il festival della letteratura per guardare al futuro

Creato il 11 giugno 2012 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Il primo festival della letteratura a Milano si è concluso ieri sera, con la festa-evento che ha coinvolto organizzatori, promotori e protagonisti. Più che un bilancio dettagliato (per il quale ci sarà bisogno di cifre precise e analisi ponderate), credo si imponga nell’immediatezza la necessità di fermare alcune impressioni e di provare a fare qualche considerazione rivolta al futuro.
Partirei dalla partecipazione di pubblico agli eventi che, a mio avviso, è stata più che soddisfacente. Presenze buone, talora ottime, qualche raro flop con motivazioni precise che non è difficile individuare. Se facciamo una proiezione delle presenze medie e vi aggiungiamo i “pienoni” di qualche serata speciale, vengono fuori numeri non da urlo ma siginificativi. Come ho già detto, il contenitore ha avuto un effetto di moltiplicatore e, a differenza di quanto avviene per le normali presentazioni, ha giocato un ruolo importante la mobilitazione di responsabili e gestori dei luoghi che hanno ospitato gli eventi. A questa constatazione, già evidente dopo i primi due giorni della manifestazione, ne aggiungo un’altra maturata partecipando a eventi (non di Autodafé) del fine settimana: oltre a richiamare un pubblico consapevole e motivato, il festival ha saputo anche intercettare la favorevole attenzione dei cittadini, attraverso quelle iniziative che si sono svolte per strada, o in luoghi atipici, portando letteratura e arte tra la gente.
Va detto (e non per amore di polemica, ma per regolarsi in futuro), che la buona accoglienza “popolare” è tanto più significativa se si tiene presente che, dall’alto, sono stati messi in atto diversi tentativi di oscuramento o svilimento della rassegna. I grandi e medio-grandi editori hanno preso le distanze, talora in forma esplicita (come l’immancabile tromboncino che ha voluto far sapere che questo “non poteva chiamarsi festival della letteratura” perché mancavano i grandi nomi; il che imporrebbe una lunga divagazione su chi può arrogarsi il diritto di stabilire cosa sia un festival e cosa sia letteratura), talora in più strisciante boicottaggio (a danno persino degli autori che, a titolo personale, avevano aderito). Anche i grandi media hanno snobbato il festival, dapprima derubricandolo a curiosità un po’ utopista, poi seguendo i canali di una disinformazione che ha toccato qualche vetta davvero comica (ci sarà modo di tornare sull’argomento). Certo, l’organizzazione e i promotori (cioè noi) potrebbero avere qualcosa da rimproverarsi e da rivedere nelle forme della comunicazione; ma la sensazione, anche prevedibile, è che l’idea di un festival con questa genesi e queste modalità contrasti inevitabilmente con interessi consolidati e che sia perciò destinato, anche in futuro, a perseguire strade alternative per meglio pubblicizzarsi.
Altro indubbio successo è stata la formula di incontro e contaminazione tra le varie forme artistiche. Hanno avuto buon seguito, e a volte una partecipazione viva e interessata, anche dibattiti e presentazioni in forma abbastanza tradizionale; ma la vera novità, sempre confortata da presenze numerose e gradimento esplicito, è stata la proposta di incontri in cui letture e dibattiti, musica e danza, pittura e teatro si mescolavano tra loro (non tutti insieme, ovviamente) ponendo al centro un tema, una suggestione e un’idea. Eventi non facili da creare, che devono calibrare bene la scelta tra le varie forme artistiche da rappresentare, devono snodarsi seguendo un percorso preciso e non casuale, devono trovare argomenti e fascinazioni in grado poi di coinvolgere il pubblico e portarlo a una riflessione che vada oltre il godimento estetico.
Direi che questa è stata un’importante scommessa vinta, anche se presenta un rovescio della medaglia. La contaminazione ha funzionato benissimo come forma di intrattenimento e di proposizione “spettacolare” della letteratura. Però, va detto, ha funzionato poco o pochissimo per quanto riguarda la promozione specifica dei libri, con vendite ben al di sotto di quanto in media avviene nelle presentazioni. Né le cose mi pare siano andate meglio, in questo senso, per gli altri artisti: non ho notizie di soddisfacenti vendite di cd da parte dei musicisti e dei cantautori o di interessamenti per le opere pittoriche. Questo va sottolineato, perché un festival che è stato realizzato senza alcun contributo e basandosi sul solo investimento in lavoro dei promotori e dei protagonisti avrebbe avuto bisogno anche di un piccolo conforto economico, di qualche tangibile segnale di interesse, disponibilità e riconoscenza.
Questo non vuol naturalmente dire che debba essere ripensata la filosofia del festival a scopo mercantilistico: le contaminazioni, le performance, la pluralità di voci e di forme, l’apertura “democratica” a tutti coloro che avevano qualcosa da dire sono e devono restare le caratteristiche vincenti. E su questa traccia credo che, per quanto riguarda il festival, si possa tra breve, diciamo dopo l’estate, cominciare a lavorare concretamente per l’edizione 2013.
Credo però anche che il festival sia stato un momento relazionale importante. Vi è ora una rete di case editrici, autori, artisti, istituzioni pubbliche, locali e librerie; soggetti che, accomunati da interessi precisi anche molto concreti, e non solo etici o filosofici, possono e devono provare a fare il salto e a trasformare la rete in una struttura stabile che faciliti la sopravvivenza degli attori che fino a ieri, generosamente e gratuitamente, hanno animato la manifestazione. Il consolidamento di questa rete, per come la vedo, è lavoro che deve iniziare subito, oserei dire domani. Comunque, assai prima di pensare al festival 2013, perché ne costituisce l’indispensabile e vitale premessa.


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