Il fico d’India, gioia per gli occhi e il palato - di Lucia Russo

Da La Palermo Vegetariana

E’ singolare che il fico d’India (Opuntia ficus-indica), uno dei più noti simboli della Sicilia, sia in realtà originario del Mesoamerica. Come tutti sanno, infatti, il suo nome è legato al fatto che il nuovo continente, prima di chiamarsi America, era noto come Indie Occidentali (c’è chi sostiene però che ancora prima, nell’827 d.C., i Saraceni ortarono la pianta in Sicilia quando sbarcarono a Mazara). Possiamo immaginare lo stupore dei primi conquistadores quando scoprirono questo frutto spinoso dal cuore dolcissimo. Fu presto importato in Europa: inizialmente rimase una curiosità da orto botanico, presto però si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo.

E’ infatti una pianta infestante, resistentissima, e che si adatta a tutte le condizioni climatiche, a patto però che la temperatura non scenda al di sotto dei 6 gradi centigradi. In condizioni adeguate può raggiungere anche i 5 metri di altezza e vivere fino a 50 anni. Ne esistono circa 200 varietà: in poche di esse i frutti sono commestibili, tutte però in primavera si ricoprono di fiori per lo più gialli, dando allegria al paesaggio. I frutti sono bellissimi: dal giallo al viola, passando per l’arancione intenso, tanta attenzione hanno guadagnato presso artisti, pittori e scultori per lo straordinario aspetto scenografico.

La raccolta inizia ad agosto (in alcune zone, a seconda delle varietà, anche a luglio) e prosegue fino a novembre: è comune la tecnica della scozzolatura, che consiste nel togliere il primo fiore per ritardare la maturazione. In questo modo ottiene un frutto più carnoso e con pochi semi. Le piante non hanno bisogno di nessun intervento chimico per potersi sviluppare, e per questo motivo il fico d’India è uno dei pochissimi frutti a non subire, a tutt’oggi, manipolazioni.

Gli usi sono molteplici: del fico d’India non si butta via nulla. In campagna le pale più coppute, private dalle spine, venivano usate per “consare” l’insalata, o – spaccate e infornate – per curare angine, tonsilliti, febbri intermittenti e malariche. Quanto ai fiori, questi hanno proprietà diuretiche strabilianti e tuttora si possono acquistare nelle erboristerie. Fino a pochi anni fa c’era un’erboristeria d’altri tempi, vicino Porta Carini, che serviva decotti di fiori in boccali di vetro sulle sue balate di marmo d’epoca: chi scrive la ricorda bene. I frutti, poi, sono un vero e proprio magazzino di sostanze nutritive: contengono una buona dose di sali minerali come potassio e magnesio, calcio e fosforo, e le vitamine A e C; pare contengano anche la rara vitamina B17, ma ciò è ancora oggetto di studio. Sono ricchi anche di amminoacidi, tra cui leucina, lisina e triptofano, e per le proprietà ipoglicemizzanti sono indicati per chi soffre di diabete. Se poi siete a dieta il fico d’India fa al caso vostro, in quanto la presenza di fibre e mucillagini riesce a regalare un senso di sazietà che frena la “voglia” degli spuntini fuori pasto. Le fibre contenute nei fichi d’India sono sia solubili che insolubili e sono utili anche per rigenerare la flora batterica e prevenire l’insorgenza delle emorroidi. Data la presenza dei semi, il consumo di frutti in grande quantità è sconsigliato a chi soffre di diverticolite o di altri disturbi importanti del tratto intestinale. E’ comunque consigliabile assumerli a stomaco vuoto. E’ consuetudine popolare, prima del consumo, mangiare qualche “coccio” di pomodoro per facilitare il transito intestinale.

In cucina e nell’industria il frutto viene usato per la preparazione di marmellate, liquori, sciroppi “mostarda” e tanto altro. I pasticceri, inutile dirlo, ne hanno fatto un caposaldo nell’eccentrica “frutta di martorana”. Di seguito vi proponiamo la ricetta di una granita “espressa”: frullare i frutti, filtrare, e rifrullare insieme a ghiaccio, malto e menta.

Insomma, una vera e propria gioia per la vista ed il palato questi frutti coronati di spine che crescono, corallo, sulla pietra, come Elio Vittorini li definì!


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