Il film da non perdere stasera in tv: INDEBITO (ven. 6 giu. 2014)

Creato il 06 giugno 2014 da Luigilocatelli

Indebito, Rai 5, ore 21,15.
Indebito
, regia di Andrea Segre. Con Vinicio Capossela.

Alla regia l’Andrea Segre di Io sono Li. E con Vinicio Capossela a fare da guida nele Grecia di taverne, angiporti, feste all’aperto dove si coltiva, si suona, si ascolta, si balla il rebetiko, la musica popolare portata negli anni Venti dai profughi di Smirne e entrata nel dna del paese. Intorno, i segni della crisi del debito. Voto 7
Sì, il titolo allude al colossale debito pubblico che ha mandato in (quasi) default la Grecia. E dunque questo film per la regia di Andrea Segre (autore di Io sono Li e, purtroppo, anche del mediocre La prima neve) dichiara – nel titolo e ancora più esplicitamente nelle note di presentazione – di essere un viaggio nella Grecia del debito, nella Grecia popolare che, pur nel fondo della crisi, resiste resiste resiste, e si incazza e si ribella. Ah, la nobile Grecia – questa è ormai la narrativa della crisi che ha espugnato media e pubbliche opinioni imponendosi come la verità nient’altro che la verità – vittima di quegli avidi della speculazione internazionale e di un complotto che in tempi tristi si sarebbe detto demo-pluto-giudaico e adesso per decenza non si può più dire, ma fa niente, quello è lo stereotipo, quello il pregiudizio che pur sotto altre forme alligna ancora nei bassifondi dell’inconscio collettivo e riemerso a nuova vita. Ah la Grecia – si piange e si urla – culla dell’Occidente e adesso guardate com’è ridotta per colpa di quei porci del Fmi, dei banchieri e finanzieri che manovrano i loro derivati e altre sozzerie. Ecco, mai nessuno a ricordare che le regole di buona o cattiva gestione restan sempre quelle della virtuosa casalinga e del buon padre di famiglia, che  se un paese dissipa e vive al di sopra dei propri mezzi prima o poi dovrà fare degli amarissimi conti, al netto della cattiverie dei boss finanziari. Insomma, sono andato a vederlo, Indebito, sbuffando e aspettandomi il peggio, la solita lagna, anche se condita in musica, sull’abisso signora mia in cui è precipitato il più mediterraneo di tutti i paesi mediterranei dell’Ue. Tutta una cosa antagonista, indignada, incazzada, anti globalista e alter mondialista. Invece, grazie  a Dio, questo film è meglio di certe sue premesse e dichiarazioni. Sì, ce la mena con i cliché sulla crisi un cicinin all’inizio e alla fine, ma per il resto è musica. Gran bella musica. Anche perché vediamo immagini di una Grecia (soprattutto Atene, e non ho capito bene se c’è anche qualcosa di Salonicco) nonostante tutto meravigliosa, per niente stracciona, per niente in ginocchio, dove la miseria se c’è (e da certe parti c’è davvero) è come occultata dalla grande, abbagliante bellezza delle notti e dei giorni ateniesi. Il che mi induce alla considerazione che oggi la povertà in Europa ha cambiato connotati e forme, sta anche in persone, facce e corpi che pure si presentano nella massima dignità piccolo borghese, ben vestiti, ben truccati, discorsi coltivati, una cert’aria di mondo. No, non è la povertà di una volta, e lo straccio lascia il posto ai ciaffi di decente aspetto smerciati della catene international di abbigliamento low cost. Che poi, sempre leggendo le famose note nel pressbook, uno pensa che Indebito sia un film di e su Vinicio Capossela, invece macchè, Capossela c’è, ma è presenza abbastanza discreta, solo una guida nei gironi per niente infernali del rebetiko. Guida certo speciale, che ogni tanto gureggia e la butta sull’aforistico-poetico-sublime-sapienzale, con pensieri che prendon corpo in voice over tendenti alla riflessione alta, altissima, e delle volte in questo parlar pensando o pensar parlando il rischio trombonismo non viene evitato, anzi. Capossela se ne va in giro tra taverne, vicoli assai sporchi e assai pittoreschi, tra Acropoli e Pireo, brandendo uno strumentino a corde della tradizione greca di cui non chiedetemi il nome per carità, qualcosa in versione bonsai tra il bouzouki, il mandolino, il chitarrino e l’oud, strumento che agita come la bacchetta di un mago felliniano o del Prospero shakespeariano, però per nostra fortuna quasi sempre lascia spazio ai musicisti di rebetiko e qualche volta si mette a cantare e suonare, benissimo, anche lui. Il cuore, il senso e il nucleo duro del film è il rebetiko, solo quello, musica popolare nata a inizio Novecento, se ho ben capito, da spiriti selvaggi e anarcoidi che cantavan di povertà e incazzature, di ruberie e prigioni, ma anche di amori e disperazioni amorose. Non si è mai persa, da allora. Ha subito mutazioni e oggi è sempre cantata e suonata da musicisti venerandi come da giovani che con scrupolo filologico ripropongono i classici e insieme innovano. Si canta, si suona, anche si balla in feste open air, in vecchie taverne dove si fuma e si beve molto, e il suono è sempre travolgente, irresistibile. Il rebetiko è il film, il film è il rebetiko. Oltretutto Indebito evita quello snobismo cretino oggi imperversante per cui meno spieghi e più alludi e più fai l’ellittico e l’ermetico e più sei figo, chè la spiega didascalica fa povero sfigato e abbassa il tono e suona come piccola enciclopedia popolare (vedi certi signori e signorini di Twitter). Che è uno dei veleni della pessima comunicazione di oggi. Invece in Indebito accanto a ogni musicista compare il suo bel nome e cognome (complicatissimi, ovvio), di ogni pezzo si dà l’autore e l’anno di composizione, ogni parola è fedelmente tradotta e sottotitolata. Così si fa, sant’iddio. Si entra che di rebetiko si sa poco, se ne esce che qualcosina s’è capito (e molto si è sentito). Ecco, da quel poco che ne sapevo io di rebetiko, basato sulla lettura anni fa di Salonicco, città di fantasmi (Garzanti), l’impressione è che in questo film di Segre-Capossela si sia insistito un po’ troppo populisticamente sul r. come voce degli emarginati e dei disgraziati, come suono ribelle e antagonista, allacciando una connessione con tutti gli Occupy e Indignados del giorno d’oggi e di ieri. Se non un’appropriazione indebita, almeno una forzatura. Uno studioso di cui si riportano nel film degli interventi ricorda saggiamente che più che musica politica è espressione del sentire popolare e di dolori e delusioni esistenziali. Mi pare di ricordare, sempre da quel libro, che furono i greci anatolici, in particolare di Smirme, a inventarsi il rebetiko, prendendo parecchio dai suoni di Turchia e mondo arabo. E dopo la Grande Tragedia, l’incendio di Smirne del settembre ’22 per opera dei Turchi, dopo la morte di decine di migliaia di greci bruciati, asfissiati, sgozzati, buttati a mare e la successiva espulsione dei sopravvissuti (la seconda grande pulizia etnica del Novecento dopo quella dgli Armeni dalla Turchia, e non se la ricorda nessuno), il rebetiko partì anche quello in esilio, sulle navi dei profughi, verso la madrepatria greca. Fu Salonicco la nuova capitale di quella musica sinuosa, malinconica e anarchica, perché è lì che si insediarono maggiormente gli esuli da Smirne, spesso occupando le case lasciate libera dai turchi che vivevano da secoli in città e a loro volta rispediti, in una pulizia etnica speculare, in Turchia. Salonicco, va ricordato, era appartenuta per secoli all’Impero Ottomano, era città  assai miscelata culuralmente (turchi, greci, armeni, ebrei) ed era, per dire, la città natale di Kemal Atatürk. Ecco, nella Salonicco ripulita dai turchi rispediti in Turchia e riempita dai greci anatolici il rebetiko attecchisce, rinasce a nuova vita e nuove forme. Il film questa storia smirniota-levantina la racconta sì, ma in my opinion un po’ troppo velocemente. Come troppo velocemente ci dice che, più che musica greca in senso stretto, è musica greco-levantina, incarnazione dell’anima ellenica più orientale e protesa verso l’Asia Minore, La Siria, L’Egitto. Verso il Levante, insomma, il mondo ormai scomparso che aveva le sue capitali in Salonicco, Costantinopoli/Istanbul, Smirne, Beirut, Alessandria d’Egitto. Tant’è che oggi ci sono stazioni radio dedicate al rebetiko in tutto il Medio Oruente (ce n’è una che trasmette da Israele captabile attraverso iTunes). Si esce da Indebito con la voglia di saperne di più, di ascoltare di più, e non mi pare un cattivo risultato.


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