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Il film da non perdere stasera in tv: ROCCO E I SUOI FRATELLI (lun. 30 giu. 2014)

Creato il 30 giugno 2014 da Luigilocatelli

Rocco e i suoi fratelli, di Luchino Visconti, Rai Storia, ore 21,33.6a00d8341c684553ef015392bb66ea970b-800wi

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Uno dei film che amo di più, uno dei film della mia vita. Nella mia personale lista dei dieci migliori di tutti i tempi. Non so quante volte l’ho visto, nelle varie età che ho passato. L’ultima è stata all’Oberdan Cineteca di Milano in una versione spacciata per restaurata e invece tremolante e in via di dissoluzione, e quella volta Rocco e i suoi fratelli mi è sembrato nella sua parte finale intriso di una retorica operaista davvero da pesante propaganda Pci degli anni suoi, che poi erano gli anni a cavallo tra Cinquanta e Sessanta. Una sequenza all’ombra delle ciminiere e dei capannoni di una fabbrica, mi pare la Innocenti di Lambrate, in cui la parte diciamo così più sana della famiglia Parondi protagonista si presentava in tuta, a incarnare i valori della classe proletaria e il riscatto dall’appartenenza sottoproletaria (classe che, si sa, Marx non amava). Con anche qualche predica e sentenziosità di troppo. Ma non basta a sottrarre al mio amore Rocco e i suoi fratelli. Perché quel che viene prima è un poderoso, meraviglioso melodramma di famiglia e di emigrazione, un racconto così perfetto da essere diventato il paradigma, il modello di riferimento, di ogni successivo film di migranti (è il caso, per dire, del recente tedesco-turco Almanya, ma anche del Padrino parte seconda di Coppola, se è per questo). La famiglia Parondi, la madre vedova e quattro maschi, lascia la Lucania per salire a Milano dal già emigrato figlio grande Vincenzo, e cercare là tra le brume e i fumi di ciminiera una vita meno grama. L’arrivo alla stazione con le valigie legate con lo spago è già da storia del cinema. Quel che segue è la descrizione, puntuale e precisa come un trattato antropologico, di quali siano i contraccolpi dell’inurbamento repentino su un nucleo di origine contadina. C’è chi resta fedele ai valori di partenza (in questi caso il fratello buono, il fratello-angelo, il Rocco di Alain Delon) e chi si lascia travolgere e si corrompe e cade in basso (il fratello Simone, Renato Salvatori). Su tutto e tutti, a dominare, ad amare, a punire, ad affliggersi, la madre, la matriarca, la mater mediterranea sempre in nero, che qui è la greca Katina Paxinou, la quale porta nel corpo, nei gesti, nei segni che traccia intorno a sè echi di tragedia classica. Ora, io mi commuovo ancora a rivederlo, Rocco. Con quel conflitto e l’inestricabile amarsi-e-odiarsi, fino alla confusione, fusione e osmosi psicofisica, dei due fratelli, l’angelico Rocco e il demoniaco Simone. Il nucleo drammaturgico, incandescente del film sta in loro due, nucleo che riscatta la narrazione dalla descrittività di un fenomeno pur socialmente importante come l’emigrazione per trascenderla in puro mito. E poi, la prostituta Nadia, una Annie Girardot semplicemente indimenticabile, donna prima di Simone poi di Rocco, e da Simone atrocemente punita per lo sgarro. Possiamo dimenticare la scena dello stupro di Nadia da parte di Simone e dei suoi amici al ponte della Ghisolfa davanti a Rocco? E Simone e Nadia all’Idroscalo? Che poi questa fu girata vicino a Roma perché a Milano non arrivò il permesso dalla provincia. Questo è un film che non si può non amare, e ogni volta lo si ama di più. Alain Delon al suo massimo, letteralmente santificato da Visconti, di una bellezza disumana e davvero celestiale. I nomi di soggettisti e sceneggiatori lasciano sbalorditi: ci sono tra gli altri Suso Cecchi d’Amico, Vasco Pratolini, Enrico Medioli, E c’è Giovanni Testori, dal cui Il ponte della Ghisolfa Visconti prese parecchio. Mentre scrivo, continuano a tornarmi in mente scene su scen: la famiglia Parondi, alloggiata in uno scantinato, che si sveglia e vede il cortile pieno di neve, e mamma Rosaria felice perché quel giorno i suoi ragazzi potranno tirar su qualche lira andanda a spalare. Cast da vertigine. Il bello è andare a scovare in ruoli anche piccoli gente come Claudia Cardinale, Adriana Asti, Claudia Mori, Corrado Pani, Alessandra Panaro. Frase: “Noi Parondi siamo come le cinque dita di una mano, sempre uniti”, detto da mamma Rosaria. E a un vicina che chiede da dove venga quella famiglia immigrata la portinaia del caseggiato risponde: “Lucania. Africa!”. Basta con le parole, vediamoli e rivediamolo, questo Rocco.


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