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Il film su Steve Jobs? Un’occasione decisamente sprecata

Creato il 16 novembre 2013 da Moviestyle @federicochim

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Quando si porta sullo schermo la vita di un personaggio mitico come Steve Jobs, le aspettative sono sempre altissime e si corre spesso il rischio di toppare clamorosamente.
È stato così per il biopic su Lady Diana, trasfigurata totalmente nel film di Oliver Hirschbieg e purtroppo in parte anche per Jobs.
L’inizio del film è decisamente da dimenticare. Va in scena un’esasperata rappresentazione degli anni 70, capelli lunghi e Beat Generation, allucinogeni e canzoni di Bob Dylan, i figli dei fiori che incontrano i nuovi guru della Silicon Valley. Tutto concentrato in 20 minuti, un’accozzaglia di luoghi comuni che ci saremmo evitati volentieri.
Una scena su tutte è completamente da dimenticare: quando Steve si reca in India, con sottofondo assordante di musica classica quasi fossimo in un trip allucinogeno, sembra una serie televisiva messicana venuta male. Un disastro.

Passano i minuti e per fortuna qualcosa cambia, il livello sale leggermente e lo spettatore riesce a guardare la storia della Apple senza quel fastidioso senso di “ma che stanno dicendo” che si prova durante tutta la prima parte del film.
Ma purtroppo i paragoni vanno tutti sull’altro film icona dei “nerd” contemporanei, quel The Social network di Fincher. E il responso è schiacciante.
Il film sul “giochino” di Zuckerberg è veloce, incalzante, entusiasmante. Un susseguirsi di dialoghi, eventi che prendono lo spettatore fin dall’inizio e lo guidano con passione per tutto il film, portandolo a provare un senso di tenerezza nei confronti di Eduardo e un senso di goduria quando i gemelli ricchi e fisicati arrivano secondi alla gara di canottaggio.

Qui invece si passano due ore piacevoli, ma che non lasciano nulla.
La parte più entusiasmante della vita lavorativa di Jobs, dal lancio dell iPod fino all’iPhone non vengono minimamente citati. Anche l’avventura nella meravigliosa Pixar viene clamorosamente tralasciata.
Si pensa più a mostrare le liti ai vertici dell’azienda che la vera passion di Jobs, cioè il prodotto rivoluzionario che fu la Apple, quella passione maniacale per il design, per il bello che ha portato l’azienda di Cupertino ad insegnare al mondo che si può fare un prodotto bello ed estremamente utile, che i primi lettori cd erano terribili esteticamente e che i vecchi cellulari erano grossi come mattoni, scomodi e fastidiosi.
Tutto questo non compare.
Compare un uomo profondamente asociale, allergico ai legami e con un ego smisurato.
Lo spettarore non riuscirà mai ad affezionarsi al personaggio, non riuscirà ad appassionarsi ad una storiella lenta e romanzata, con scene a dir poco ridicole come la telefonata con Bill Gates o l’urlo di Munch versione in macchina by Steve Jobs.

Tutto troppo piatto, lineare.
Ashton Kutcher non è stata una scelta azzeccata, sembra una caricature di Jobs e non convince minimamente. Peccato.
Si è persa una grande occasione, perché Jobs è un film brutto.


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