Di fiumi è pieno il mondo. Quello dei vivi e pure quello dei morti. Ci sono fiumi che attraversano l’inferno, altri che scendono dalle montagne come una lacrima e fendono la pianura come una colata d’argento. Ci sono fiumi la cui
Sul rapporto che ha legato il fiume e l’umanità ci sarebbe un’infinità di cose da raccontare. Ma di questo troverete dissertazioni in ogni dove. A mio parere il fiume è anche una cosa personale, metaforica.
Ci sono momenti in cui il fiume scorre placido, l’acqua zampilla tra i sassi, le trote eseguono avvitamenti e carpiati nel loro tentativo di risalire la corrente e il sole dilata la sua immagine su tutta la superficie dell’acqua. Il vento asseconda il cammino del fiume e porta in dono l’odore acre dei pini di montagna e quello più delicato dei fiori di valle. L’acqua crea un dolce suono che si accorda con il fruscio ritmato delle foglie sfiorate dal vento, i gabbiani giungono da ogni parte e rendono omaggio ad un luogo ambito e ricco di opportunità. E tutto attorno e dentro a colui che si è spinto fin sulla riva è pace, quiete, gioia di vivere.
Altri momenti il fiume si innervosisce, la meccanica perfetta si rompe, l’acqua tronfia e maleducata schiaffeggia i sassi e le trote, in tutto quel baccano, non trovano più la via. Il sole si spegne dietro ad un cumulo di nembi e il vento dimentica il profumo in qualche stretta gola montana. E questo lo fa innervosire e gli alberi travolti dalla sua ira funesta gridano di terrore, le foglie stridono, il fiume urla senza centrare una nota. I gabbiani volano in cerchio, osservano e quindi si dirigono verso lidi più prosperi. Dentro cresce la rabbia, la felicità cede il passo alla frustrazione, l’eccesso è la parola d’ordine. Niente è più come prima.
Poi ci sono quei momenti in cui il sole viene stancamente a patti con le nuvole e uno statico pallone di un giallo sbiadito si piazza dietro una fine coltre di vapore acqueo. Il fiume è magro da far spavento e quel poco che c’è scorre depresso tra sassi ricoperti da alghe macilenti. Le trote non trovano più un qualsivoglia di stimolo per risalire la corrente e sonnecchiano a valle, mentre il vento si è fermato a riflettere in qualche recesso montano o forse non è nemmeno partito e se ne sta lassù, sulla cima del monte, troppo appesantito dai suoi pensieri per precipitarsi giù per i pendii ricoperti di conifere. Gli alberi imitano le pietre, i gabbiani non si scorgono nemmeno in lontananza, l’odore è quello putrido di un fiume che muore.
Ma forse qualcosa si muove. Anche quando il fiume è in secca. Forse è un rigagnolo sotterraneo, o meglio, nascosto sotto le rocce secche e ricoperte di moscerini. Forse è un girino che scodinzola in una pozzanghera risparmiata dalla temperie dei tempi. Forse è un gabbiano che ricordando gli antichi fasti si aggira nuovamente per quelle lande desolate. Forse è una brezza di vento che tenta di impostare una melodia con una piantina di pomodori cresciuta chissà come e chissà perché in quell’arida distesa di sassi.
Di tutto quello che dissero greci, sanscriti, romani, cinesi e quanti altri sul fiume una cosa è comune: il fiume scorre sempre. Anche quando sembra non offrire più nulla.
Pantha rei. Tutto scorre.
Così dicono.