Patrizia- Quando ebbi…”i miei natali di lettrice”, il fotoromanzo aveva già iniziato la sua parabola discendente, e molto lontano era il suo boom degli anni cinquanta e sessanta; certo, ricordo riviste come “Sogno” esposte in edicola, ma le uniche vicende per fotogrammi finii per leggerle, nei giorni della mia adolescenza, ebbene sì, su “Cioè”. E, se una piccola snob come me ammette di averlo letto, tutte quante possiamo fare outing! Oggi il fotoromanzo è considerato quasi un fenomeno vintage, e forse per questo guardato con attenzione. Un dettaglio interessante, che lo distingue da altre forme della narrativa cosiddetta popolare, è l’essere tipicamente italiano: le vicende raccontate per espressioni estreme e brevi frasi sulle pagine delle riviste nascevano e venivano sviluppate nel segno del made in Italy, per un pubblico femminile di italiane che, uscite dalla guerra e da poco ottenuto il diritto di voto ( Grand Hotel cominciò a uscire proprio nel ’46) andavano incontro al futuro. Al romance, purtroppo, il fotoromanzo è stato tante volte avvicinato per ragioni negative: ad entrambi i generi, così diversi per fattura, e spesso anche per costruzione, sono state apposte etichette di lettura da cameriere, immancabili casalinghe frustrate, ragazzotte sciocche. Eppure…forse proprio perché sento il fascino di pagine che hanno portato immaginazione, modelli di vita e fantasie d’amore a un pubblico finalmente davvero vasto, e perché penso che certi prodotti di massa raccontino molto più di quanto non si creda, il fotoromanzo m’incuriosisce, e sono andata in cerca di vicende d’amor perdute…ti va di seguirmi, cara Lucilla?
Erano i tempi"eroici" del genere, gli anni 80, quando i protagonisti dei fotoromanzi potevano contare su pletore di fans adoranti che li aspettavano all'uscita dal lavoro! Le storie, come dicevi tu, erano pensate e sviluppate per un pubblico italiano, ma venivano ormai spedite anche all'estero: moltissimi nobiluomini e nobildonne, ricchi o decaduti, a scelta, industriali che si innamoravano delle loro impiegatine, ville stupende (sempre la stessa, ma ormai te l'aspettavi, quasi!) ambientazioni bucoliche con storia d'amore fra la ricca ereditiera e lo stalliere....tutto il campionario del genere, insomma. Eppero' catturavano, eccome!
Cosa piaceva di queste storie un po' ingenue? Tanto per cominciare, ci si affezionava alle facce dei protagonisti, gente che spesso è' trasmigrata verso il grande schermo; e poi le storie: naïf quanto si vuole, ma classiche nel loro richiamarsi quasi ad archetipi universali.
Ormai, anche le case editrici cominciavano finalmente a capire il potenziale bacino di utenze rappresentato dalle lettrici. E perciò, via con una marea di romanzi, racconti, libri e film tutti rivolti al pubblico femminile, che occuparono la nicchia fino a quel momento appannaggio del fotoromanzo.
È triste assistere alla decadenza di qualcosa che, tutto sommato, si è' amato: chi ha consumato chili di fotoromanzi, ha fatto in tempo ad affezionarsi ai visi degli attori, che vedevano progressivamente invecchiare, agli autori, perfino ai registi di queste storie.Patrizia- Dunque…”il fotoromanzo è morto, viva il fotoromanzo”? Di sicuro, il mezzo è datato, ha dei limiti organizzativi, e di sviluppo narrativo, che ne hanno frenato possibili sviluppi ulteriori, e non possiede l’allure artistica e multiforme che può assumere, invece, un fumetto. Nel frattempo, qualche fotoromanzo circola ancora, non necessariamente tra nostalgiche: mi è parso grazioso il caso di una nonna che condivide tali letture con la badante, perché l’anziana ricorda tempi andati, e la giovane apprende nuovi termini italiani…dopotutto, una storia d’amore non ha passaporto.E poi, chi può dire se dopo i B movie eretti a cult e le rose, non prive di qualche spina, del vintage, non vedremo anche una massiccia rivalutazione del fotoromanzo come espressione di un’epoca? Forse arriverà un Quentin Tarantino dell’editoria di consumo, a omaggiare queste strisce, che, con un titolo degno dell’argomento, potremmo chiamare…”Per sempre nostre”.