11 aprile 2013 Lascia un commento
Resta il fatto che uno scrittore che ha costruito la sua fama sul pessimismo piu’ nero, val bene un protocollo infranto.
Avendolo gia’ incontrato nei "Sillogismi dell’amarezza", non era obbligatorio sorprendersi, per quanto qui, nella sua opera principale e piu’ celebre, il registro sia leggermente diverso, pur rimanendo all’interno dei canoni di un vuoto esistenziale assoluto. Piccolo libro diviso in sezioni diverse ma accumunate nella dialettica su divinita’ e morte, entita’ metafisiche sempre presenti in ogni singola frase.
Nella prima parte, Cioran inveisce contro la non-esistenza di un dio creatore e comunque malvagio, responsabile per un’esistenza vuota e inconcludente.
Ci si tuffa e si rituffa nel pessimismo di chi costretto a vivere, ribalta la domanda del perche’ esistiamo in perche’ dobbiamo continuare ad esistere. Non ci sorprende, non ci sorprende affatto, a tratti e’ persino divertente seguire l’asse del pessimismo che si sposta verso l’invettiva con una foga ed una convinzione che dopo un primo sconcerto, mostra un’ironia erroneamente definibile involontaria.
Si prosegue coi suoi celebri aforismi, a volte pensieri estemporanei, impressioni o giudizi che dir si voglia.
E’ la parte che preferisco, godendo dell’incommensurabile e lucida schiettezza che al solito intrisa nell’ironia, snocciola pensieri funerei e funesti come nella sua migliore tradizione e sui quali, non senza riflettere, si possono costruire intere filosofie.
La catarsi e’ forte, necessaria, fondamentale, unica risposta all’abisso che si specchia nell’anima di ogni uomo, unico rimedio a notti buie non solo per mancanza di luce e Cioran e’ l’uomo giusto per sentirsi dire cio’ che si vuole udire e cosi’ facendo dare un senso a cio’ che senso, in apparenza, non ha.