Il Fuoco sacro. Introduzione (iv)

Creato il 11 settembre 2010 da Lucas
«L'uomo si comprende in Dio», diceva Eric Weil, filosofo kantiano. «Questa formula ha due sensi: è in Dio che l'uomo si vede, e ciò che l'uomo vede in Dio è se stesso». Fissare lo sguardo nel ghiaccio ha questa virtù salutare: ci costringe a rimettere in causa l'idea lusinghiera che ognuno ha di se stesso. Le nostre metropoli mettono due specchi a disposizione dell'essere umano emancipato, che dovrebbero condurlo a riflettere più spesso su ciò che egli è, non su ciò che, invece, amerebbe essere: lo zoo e la cattedrale. Non si perde mai del tempo ad andarci e, soprattutto, a ritornarci […]. L'uomo supera infinitamente l'uomo; e gli animali ci mostrano senza mezzi termini ciò che di noi travalica il lato “animale” [in peggio], così come il Messia di Haendel ci fa ascoltare ciò che supera il nostro lato “angelico”. Se, un giorno, la nostra specie dovesse darsi una bandiera – per distinguersi dai suoi vicini – essa avrebbe i colori del sangue e dell'oro. Presso di noi, bipedi implumi, si uccide il proprio simile e congenere e, insieme, si adora il Totalmente Altro. Voi, invece quadrupedi e altre specie animali, non adorate nessuno e non uccidete, di solito, che degli “estranei”, ovvero degli appartenenti a una specie diversa. Il mammifero umano è stretto nella morsa tra il Totalmente Altro e totalmente prossimo. Seguire l'evoluzione degli ominidi, dall'Homo erectus (700000 a.C.) al Sapiens sapiens (35000 a.C.), obbliga a riunire ai due capi della catena lo scimpanzé e l'asceta, la tana e la cripta. Da questo incrocio è scaturito il primate onnivoro che cammina in posizione eretta, come voi, come me. Diciamo che bisogna prendere sul serio il dio RA o il Brahaman, tanto quanto il macaco e i bonobo, se s'avesse il potere di reperire senza tanti infingimenti il perché la scimmia verticale, quale noi siamo, con la sua aureola e le sue schifezze, si differenzi dal cugino non umano. «L'uomo è un animale che ha ricevuto la vocazione di essere divinizzato», riconosceva già Basilio di Cesarea (329-379 d.C.), che ha fondato la vita monastica orientale. Questo sesto senso probabilmente fa parte del piccolo sovrappiù neurologico o genetico proprio al solo animale che scoprì il fuoco e sotterra i suoi morti, affinché egli possa astrarsi dalla vita psichica immediata, per infatuarsi dell'inesistente e dell'invisibile. Ci sarebbero dunque due vie maestre, così poco sovvenzionate sia l'una che l'altra, le quali, sebbene con diverso prestigio, mettono in evidenza ai nostri occhi indagatori le nostre azioni più banali: l'etologia comparata, o lo studio dei comportamenti delle diverse specie animali (possibilmente nel loro habitat naturale), e la teologia comparata, o lo studio dei diversi modi che hanno gli specimen della nostra specie di riconoscere un potere o un principio superiore a se stessi, al quale devono ubbidienza e rispetto. Sono queste sfortunatamente, con la mediologia che fa da ponte, le due discipline che non s'insegnano nelle facoltà di lettere e di scienze umane. Ora, se le pretese scienze dell'uomo hanno un avvenire (del quale sono in molti a dubitare), è presumibilmente cercando il trait d'union zoo-teo che esse potrebbero darsene uno (di avvenire), mediante un lavoro d'équipe che unisca la linea tratteggiata che collega l'inferiore al superiore, per avere una radioscopia completa da capo a piedi dell'homo.
Régis Débray, Le Feu sacré, Fayard, Paris 2003 (pag 18-19, trad. mia)

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