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Il futuro dei giornali scritto da Google, non da personaggi in cerca d’autore / Idee da #GENsummit

Creato il 22 giugno 2015 da Pedroelrey

Sono stato a Bar­ce­lona al #GEN­sum­mit, il sum­mit di Glo­bal Edi­tors Net­work, per­ché Data­ni­nja è stato invi­tato come media part­ner. È una mani­fe­sta­zione molto diversa dalle altre alle quali ho par­te­ci­pato (il Festi­val del Gior­na­li­smo di Peru­gia, il Data­Har­vest+ di Journ­li­sm­Fund a Bru­xel­les, l’European Press Prize a Cope­na­ghen) per­ché è molto busi­ness orien­ted. Ci sono le star­tup che cer­cano di ven­dere ser­vizi agli edi­tori, i giornalisti/capiredattori che cer­cano di chia­rirsi le idee magari com­prando ser­vizi dalle star­tup, e gli spea­kers di pro­ve­nienza molto varia (chi dai gior­nali, chi dalle star­tup, chi da altre e ben più inte­res­santi realtà — c’era ad esem­pio la pro­du­cer di Serial, il pro­getto che ha rilan­ciato enor­mente i pod­cast). Quest’anno, a dif­fe­renza dell’edizione 2014, l’evento era for­te­mente carat­te­riz­zato dalla pre­senza di Goo­gle, che ha man­dato una squa­dra di inviati tra i quali il poten­tis­simo David Drum­mond. Per fare una sin­tesi estrema:

  • Frie­drich Fil­loux ha detto che le reda­zioni devono pro­durre con­te­nuti machine rea­da­ble, forse la più grande ovvietà che ho sen­tito negli ultimi tempi. I con­te­nuti online lo sono per defi­ni­zione, tant’è che la syn­da­ca­tion è pos­si­bile da oltre un decen­nio (pen­siamo ai feed rss — info qui e qui). Che il con­te­nuto sia machine rea­da­ble è cosa peral­tro arci­nota agli editori/giornalisti, per­ché è pro­prio da que­sta sua carat­te­ri­stica che si deter­mina il posi­zio­na­mente sui motori di ricerca.
  • Dan Gill­mor ha ripro­po­sto il suo speech “Per­ché i gior­na­li­sti devono essere (almeno qual­che volta) atti­vi­sti”, che ave­vamo già visto a #ijf15. Vec­chia anche que­sta idea: basti pen­sare a Ryot.org, pro­getto lan­ciato nel 2012 da un atti­vi­sta che aveva fatto una lunga espe­rienza dopo il ter­re­moto di Haiti. Ma poi, voglio dire, per fare un esem­pio: i gior­na­li­sti anti­ma­fia non sono anche atti­vi­sti anti­ma­fia? Ai miei occhi sì, non credo che esi­stano da poco tempo. È così in tutto il mondo, da sem­pre, per tema­fi­che ambien­tali, paci­fi­ste, etc.etc.

Entrambi — chiedo venia se posso appa­rire sac­cente, ma non credo di essere l’unico a pen­sarla così, anzi! — mi sem­brano degni rap­pre­sen­tanti di que­sta cate­go­ria di per­so­naggi in cerca di autore che vagano di que­sti tempi, facendo della futu­ro­lo­gia sul gior­na­li­smo un mestiere vero e pro­prio. Quando sento speech di que­sto tipo mi domando sem­pre: ma chi è real­mente il tar­get? I gior­na­li­sti? Gli edi­tori? Gli orga­niz­za­tori di eventi?

Andando invece alle cose di sostanza:

  • Il Vice pre­si­dent Senior di Goo­gle David Drum­mond ha spie­gato un po’ i det­ta­gli del loro pro­getto per l’assegnazione di 150 milioni di euro a un gruppo di gior­nali euro­pei (in Ita­lia c’è La Stampa): pare che molta di que­sta spe­ri­men­ta­zione sarà orien­tata sul mobile. In pra­tica Goo­gle orien­terà gli inve­sti­menti e userà i gior­nali come satel­liti per fare open inno­va­tion. Drum­mond ha anche detto: «Quello che inte­ressa a noi è l’informazione di qua­lità». La bat­ta­glia quindi pare essere da qui: vin­cerà Goo­gle che indi­cizza e (ri)pubblica sul pro­prio motore di ricerca qual­siasi cosa esi­sta sul web, o Face­book che pub­blica quello che pub­bli­chiamo noi? Comun­que la si veda, è tutta con­tent cura­tion, of course! Rispetto a que­sto sce­na­rio, glo­bale, cosa conta se c’è un gior­nale un più o uno in meno con i rela­tivi contenuti?
  • Il sem­pre­verde Simon Rogers, che dopo avere lasciato il Guar­dian per pas­sare a Twit­ter, ha lasciato Twit­ter per pas­sare a Goo­gle come Data Edi­tor. Rogers ha intro­dotto il nuovo Goo­gle Trends — e ripro­po­sto i tool Goo­gle News Lab — uno stru­mento che ci mostra insieme quali sono i trend prin­ci­pali delle noti­zie e al con­tempo delle ricer­che degli utenti. Il suo cur­sus hono­rum è esem­plare: in meno di due anni è pas­sato da uno dei gior­nali più quo­tati del mondo (il Guar­dian) a quello che oggi è real­mente il più grande edi­tore del mondo (Goo­gle). Quando si invia il cur­ri­cu­lum a un’azienda, credo che si debba tenere conto del per­corso che ha fatto lui.
  • Il Reu­ters Insti­tute for Study of Jour­na­lism ha pre­sen­tato il rap­porto 2015 (anti­ci­pato qui su Data­me­dia­hub da Pier Luca San­toro) che dice tante cose inte­res­santi, tra le quali a mio avviso: l’Italia è tra i Paesi in Europa e nel mondo in cui c’è mag­giore pro­pen­sione verso le news pagate (12%), ma è anche tra quelli in cui c’è meno fidu­cia nell’informazione. C’è chi sta peg­gio di noi (anzi di voi, edi­tori): ma la gente (noi) si fida poco di quello che legge (screen­shot in basso).
  • L’ossessione sulle metri­che è cul­mi­nata nella via cru­cis di talk tenuti dagli uomini Goo­gle: ovun­que si è par­lato di Age of Insig­ths. Quindi, posto che sulle metri­che c’è un dibat­tito lun­ghis­simo, ose­rei dire che la favola inse­gna che se quello che fai è misu­ra­bile sei un inter­lo­cu­tore ascol­tato. Se non è misu­ra­bile, non resta che augu­rarti buona for­tuna, ma altrove. 😉

Interactive - Reuters Institute Digital News Report


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