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Il futuro del cinema romantico è nella fantascienza (Cashback, About Time, Walter Mitty, Her)

Creato il 28 gennaio 2014 da Pianosequenza
Il futuro del cinema romantico è nella fantascienza (Cashback, About Time, Walter Mitty, Her)

Nei film, così come in romanzi e racconti, la fantascienza è stata utilizzata per affrontare con maggior libertà temi delicati, perché in grado di aggirare due livelli di censura: quella “di stato”, regolata da tagliole spesso miopi e superficiali, e quella ben più insidiosa presente nell’inconscio di ciascuno spettatore/lettore.
Una storia apparentemente inverosimile, se sufficientemente distante dalla realtà e dalle sue regole sociali, diviene infatti un ambiente quasi magico nel quale è possibile avere un nuovo approccio (più onesto, più “puro”) nei confronti di problemi e tematiche della quotidianità che spesso diventano tabù.
Persino il mondo dei film romantici, anestetizzato per decenni da canovacci ripetitivi e deprimenti, sembra aver trovato nella “svolta fantascientifica” nuova linfa vitale: una nouvelle vague che ha in Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004), di Michel Gondry, il suo più alto punto di riferimento. Negli ultimi mesi nuove produzioni hanno seguito questa strada con alterne fortune, pur appartenendo a dimensioni (geografiche, economiche) decisamente diverse: i britannici Cashback e About Time, l’hollywoodiano The Secret Life of Walter Mitty e l’indipendente Her.

Cashback (di Sean Ellis) è un curioso esperimento datato 2006. Così come l’omonimo cortometraggio che aveva riscosso un discreto successo a livello internazionale due anni prima, il film mostra uno spaccato della vita di Ben (Sean Biggerstaff) aspirante pittore che dopo la dolorosa rottura con la fidanzata accetta un impiego da cassiere in un supermercato.
Durante le sue nottate insonni, trascorse lavorando ad orari improponibili, il confine tra sogno e realtà lentamente si sfoca, fino a svelare una peculiare abilità: con un gesto, il ragazzo è in grado di “mettere in pausa” il tempo, che continua a scorrere solamente per lui, mentre il resto della realtà rimane ad attenderlo, cristallizzato. Solo così per Ben diviene possibile cogliere tutti quegli istanti di grande bellezza (per dirla alla Sorrentino) che lo circondano nella sua grigia quotidianità segnata dalla perdita dell’amore di una vita, e solo così diviene quindi possibile aprirsi di nuovo al mondo e conoscere una ragazza (Emilia Fox) con la quale condividere il suo piccolo segreto di immortalità.

La questione del tempo sembrerebbe particolarmente cara agli inglesi, visto che rappresenta il fulcro attorno al quale si sviluppa anche la storia di About Time (Richard Curtis, 2013).
La trama, apparentemente banale, ha come protagonista un giovane uomo, Tim (Domhnall Gleeson), che dopo una difficoltosa educazione sentimentale vede coronato il suo sogno d’amore grazie all’incontro con una ragazza americana (Rachel McAdams).
Anche in questo caso la “svolta fantascientifica” è cruciale per rendere più interessante la vicenda: Tim infatti, come tutti i maschi della sua famiglia, ha la capacità di tornare indietro nel tempo e può rivivere o persino modificare il passato. Questo escamotage narrativo si rivela prezioso nella prima parte della pellicola, perché consente di dare vita a gag divertenti e rende molto più interessante il racconto del corteggiamento tra i due innamorati.
Nonostante in alcuni momenti abusi della nostra sospensione dell’incredulità, il film funziona bene e mette in mostra le potenzialità di un approccio originale a tematiche stantie; purtroppo però col passare dei minuti la storia d’amore tra i due protagonisti risulta sempre meno centrale, divenendo noiosa e senza alcun genere di imprevisto, mentre prende il proscenio una ridondante e pretenziosa riflessione sul significato della vita e del tempo, caratterizzata da elucubrazioni para-filosofiche di nessun interesse che assassinano il finale di un film con discreto potenziale.

Con The Secret life of Walter Mitty (Ben Stiller, 2013) si ritorna negli USA e più precisamente in quel circuito mainstream dove spesso ci sono grandi budget ma piccole idee, soprattutto per quanto riguarda il genere “romantico”. Il film di Stiller è però una eccezione proprio perché tenta di fare incursione nel territorio di Gondry, raccontando la favolosa storia di Walter Mitty, che da uomo ordinario per antonomasia si trasforma in coraggioso eroe pur di diventare degno della donna dei suoi sogni (Kristen Wiig).
Tra una animazione mozzafiato e l’altra, più che un romance film convenzionale la storia si rivela essere soprattutto un inno alla vita, rappresentata come un’avventura da affrontare con coraggio ed un pizzico d’incoscienza (il viaggio ne diventa perfetta metafora). Tutti questi ottimi propositi sono però sviliti da una sceneggiatura inconsistente, che non appare mai all’altezza delle immagini perché condizionata dai consueti canoni hollywoodiani di buonismo e banalità: il super-happyending viene servito solo dopo una accettabile dose di melanconia e vissuto strappalacrime.

Dulcis in fundo, il nostro viaggio nell’inesplorato mondo della fantascienza-romantica si conclude con una incursione nel cinema indipendente americano, sempre fonte di spunti interessanti.
Her (Spike Jonze, 2013) è il prototipo di ciò che potrebbe offrire il futuro del genere: ambientato in un “domani” non così lontano, ci consente di sbirciare nella quotidianità di Theodore (Joaquim Phoenix) uno scrittore che dopo il divorzio con la moglie (Rooney Mara) trova consolazione nella bizzarra relazione con Samantha, il suo sistema operativo (cui dà la voce Scarlett Johansson).
In questo caso la fantascienza diviene un pretesto per lanciare una provocazione ferocemente attuale: un mondo sempre più dominato dalla tecnologia rischia di essere abitato solo da buffi individui alienati, in grado di interagire tra loro (quando lo fanno) unicamente tramite qualche device elettronico. Theodore ne è l’esemplare-modello, perché dopo la separazione dalla moglie la sua vita solitaria è divenuta solo un continuum di interazioni intime con persone “virtuali”, che si tratti del suo lavoro (scrive lettere, molto personali, indirizzate a sconosciuti) o persino della sua vita sessuale. Non sorprende che l’unico vero (sano) rapporto della sua vita sia quello con un’altra donna (Amy Adams), impantanata come lui in una vita infelice; solo rendendosene conto Theodore riuscirà ad indirizzarsi verso un futuro migliore.
Jonze, artista originale se ce n’è uno, sfrutta la sua gavetta da videomaker per creare un’esperienza unica, nella quale per due ore siamo posti di fronte ad una relazione virtuale ben più intensa di molte altre messe in scena da attori in carne ed ossa – la Johansson, privata dalla sua fisicità, sembra persino più brava. L’incantesimo della loro curiosa storia d’amore viene spezzato solo quando ci si sforza di uscire per qualche istante dal punto di vista del protagonista: è allora che Her assume connotati ben diversi, rivelandosi nel suo implacabile cinismo come una fotografia inquietante del nostro mondo social-virtuale. L’unico modo in cui Theodore può crescere e finalmente maturare come individuo è comprendendo l’importanza del solo rapporto, reale, che lo lega a qualcuno. E dimostrando anche a noi che, in alcuni casi, è davvero necessaria la fantascienza per farci aprire gli occhi sulla realtà.


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