Tavole rotonde, briefing a porte chiuse, a porte aperte, a porte semiaperte. Convegni, riunioni, esperti del sistema, critici del sistema, animatori del sistema, detrattori del sistema. Tutti insieme appassionatamente ogni tanto si riuniscono in qualche località amene a discutere del futuro del giornalismo.
E’ morto? No no, cosciente. Sì, cosciente ma debilitato. Sì, sicuramente vivo. Vivissimo. Ma che dici, internet lo ha ammazzato.
Peccato che, tra un dotto disquisire e l’altro, si perda di vista il presente del giornalismo. Che è fatto, per la stragrande maggioranza dei “braccianti”:
- di precarietà
- di sabati e domeniche non pagate
- di abusivismo (assunzioni come poligrafico ma in realtà in redazione in pianta stabile)
- di 4 centesimi a rigaggio
- di contributi pensionistici non versati
- di mobbing.
A questo si aggiunga che l’ultima bozza di riforma del settore prevede la multa per il direttore (spesso persona ricca, facoltosa e anche sgamata) e il carcere (!) per il giornalista (spesso ragazzo senza un soldi, squattrinata e precaria).
E no, signori. Non è uno scenario che riguarda pochi. Basta farsi un giro qui. E no, signori. Non è che uno è precario e sottopagato solo perché è un fallito (ci sono anche quelli eh, ma quanti falliti sono pagati lautamente?). Basta andare a leggersi la storia di Giancarlo Siani.
Ecco, se magari fra un futuro e l’altro ci ricordiamo del presente, signori, magari ci fareste un piacere.