Il futuro del Venezuela inizia adesso

Creato il 11 marzo 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

La scomparsa di Hugo Chávez lascia un vuoto difficilmente colmabile in Venezuela e in tutto il Sud America. Personaggio controverso, uomo simbolo ed in un certo senso “mito vivente” del sogno bolivariano, Chávez con il suo carisma e il suo agire politico ha contribuito in maniera determinante a dare un rilievo politico e mediatico mai avuto in precedenza dal Venezuela nelle relazioni regionali e internazionali.

Chávez lascia in eredità un Paese certamente riscattatosi socialmente ed economicamente e più evoluto rispetto ai governi conservatori e filo-statunitensi del quarantennio precedente grazie ad una combinazione vincente di retorica populista e anti-americana e di proventi petroliferi che hanno permesso al caudillo di Barinas di adottare politiche eterodosse e populiste che hanno garantito un miglioramento nelle condizioni di vita delle fasce medio-basse, ma soprattutto un’eccezionale popolarità e credibilità personale che ha poi potuto riversare nella regione. Bolivarismo, terzomondismo e antiamericanismo sono stati i suoi marchi di fabbrica e le ideologie utili a plasmare quel modello di “socialismo democratico” esportato in Sud America in un’ottica di consolidamento dell’indipendenza regionale latina dalle influenze esterne occidentali.

Ma qual è l’eredita politica dell’ingombrante Presidente caudillo nello scenario politico interno e regionale? Numerose sono le incognite riguardanti il futuro della repubblica venezuelana, a cominciare dalle lotte interne per la successione e dai problemi economici del Paese fino a giungere alla rete di alleanze regionali e internazionali come l’ALBA (Alleanza Bolivariana per l’America Latina), il CELAC (Comunità degli Stati Latino Americani e dei Caraibi) e la special relationship con i Castro a Cuba, tutti aspetti che potrebbero produrre un brusco ridimensionamento del Paese e condizionare lo sviluppo dei progetti bolivariani del lìder appena scomparso.

Il Venezuela tra riscatto e falso rilancio dell’economia

Prima di essere eletto democraticamente nel 1998, Chávez e i militari avevano tentato nel 1992 con l’Operacion Zamora un golpe, poi fallito, contro l’allora Presidente Carlos André Perez e per il quale lo stesso caudillo dovette pagare i conti con 2 anni di carcere. Nei 4 mandati presidenziali (ben quattordici anni di attività), il lìder venezuelano ha modellato il Paese a sua immagine e somiglianza portandolo da un riscatto sociale e agiatezza economica ad una situazione attuale sempre più somigliante ad un baratro fatto di crisi istituzionale e, soprattutto, economica.

Dal 1999, la crescita è stata legata essenzialmente alle esportazioni petrolifere e al reinvestimento dei proventi in progetti sociali rivolti soprattutto verso le fasce medio-basse garantendo una crescita costante del Pil (dal 1998 ad oggi questo é cresciuto da 91 a 338 miliardi di euro, +270%). Nonostante i buoni risultati, il Paese oggi deve invece fare i conti con un tasso di inflazione molto alto (20,9%), una disoccupazione galoppante (7,8%), una ripresa della tasso di povertà interno (29,5%) e un debito pubblico decuplicato (51,3%) a causa di una mancata diversificazione economica, dalla totale dipendenza dall’esportazioni di greggio (circa il 90% del Pil nazionale) e, infine, da investimenti bloccati (nella graduatoria del Doing Business 2013, il Venezuela è tra le peggiori nazioni al mondo, al 180° posto su 185 Paesi, ultimo in America Latina, persino dopo Haiti) e importazioni che hanno mandato in rosso la bilancia commerciale nazionale.

Le tensioni politiche per la successione post-chavista

Oltre che da politiche economiche poco efficienti, soprattutto se raffrontate con quelle delle altre potenze regionali, la gestione chavista del potere è stata caratterizzata anche da un serrato controllo sugli organi di stampa e sulle le principali istituzioni democratiche nazionali e dalla recrudescenza di fenomeni violenti e criminali nel Paese.

Ma ad acuire la crisi sociale incide anche la profonda incertezza politica legata alla successione all’interno del Partito Socialista Unito (PSUV), in cui convivono diverse anime. La morte del caudillo di Barinas ha posto gli alti quadri del PSUV e dell’esercito dinanzi alla scelta di una rapida soluzione. Sebbene i rappresentanti delle due fazioni opposte siano convenute sul Presidente ad interim Nicolàs Maduro, le divisioni interne al PSUV sono forti e riguardano non solo l’eredità spirituale del lìder defunto ma anche e soprattutto la spartizione del potere e dei proventi petroliferi legati alla PDVSA (Petroléos de Venezuela SA), la holding petrolifera nazionale e “cassaforte di Stato” che gestisce un budget annuale da 150 miliardi di dollari. Da un lato, infatti, si confrontano l’ala civilista facente capo appunto a Maduro, dall’altra i militari legati al Presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello e al potente Ministro del Petrolio Rafael Ramirez. Se quest’ultimi due sono chavisti della prima ora e legati alla retorica antimperialista e antiliberale, Maduro, invece, è un politico dotato di poco carisma ma che gode di grande stima nella regione sudamericana. Infine, due personaggi molto influenti e alternativi a Maduro e Cabello sono quelli di Adàn Chávez, fratello maggiore di Hugo, governatore dello Stato di Barinas e legato a logiche nepotistiche, o quella del Ministro degli Esteri Elias Jaua, percepito invece come un personaggio dei “cubani” che vedono in lui un uomo in grado di dare continuità al Chavismo.

Da parte loro le opposizioni, attualmente, ricompattatesi sotto la guida del loro candidato ufficiale, Herinque Capriles Radonski, governatore dello Stato di Miranda, leader della piattaforma Mesa de la Unidad Democràtica (MuD) e unico sfidante autorevole in grado di poter contrastare il candidato del regime, non avrebbero grandi opportunità di vittoria nel breve periodo. Proprio la sconfitta che lo stesso Capriles aveva subito nelle recenti elezioni presidenziali di ottobre, congiuntamente con l’onda emotiva per la morte del Presidente, dovrebbe rendere abbastanza agevole la strada di Maduro verso il Palazzo di Miraflores.

Il sogno bolivariano e il panamericanismo

La morte di Chávez potrebbe avere degli effetti anche sulla politica estera ed in particolare sulla politica di integrazione regionale. Durante la sua presidenza, Chávez ha avuto il merito di rilanciare gli ideali di panamericanismo e terzomondismo come forme di riscatto sociale dei popoli latini – lanciando una sorta di dottrina Monroe del Sud America – attraverso progetti di integrazione regionale a forti tinte bolivariane come l’ALBA, l’UNASUR e la CELAC. L’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe) è stato il primo progetto di cooperazione politica, sociale ed economica sorto nel 2004 per volontà di Chávez e di Fidel Castro come strumento da contrapporre alle altre iniziative regionali di stampo liberista come il MERCOSUR, il CARICOM, il NAFTA o l’ALCA, organizzazioni nelle quali la longa manus statunitense è più o meno sempre presente. L’ALBA ha avuto il merito di rivoluzionare gli equilibri regionali proponendo un modello alternativo a quelli finora esistenti sostenendosi soprattutto grazie alle risorse petrolifere venezuelane. L’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) e la CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), invece, sono due progetti più recenti e rientranti in una logica di unificazione politica del Sud America. Se il primo è una piattaforma regionale di integrazione politico-economica nata nel 2008 sul modello dell’Unione Europea che ha avuto il merito di riunire al suo interno gli Stati della Comunità Andina e dello stesso MERCOSUR, la seconda è sorta nel 2011 con lo scopo di contenere l’influenza nordamericana nel subcontinente e sostituirsi all’OSA (Organizzazione degli Stati Americani). I progetti di integrazione regionale di stampo bolivariano e il conseguente peso geopolitico acquisito dal Paese nella regione grazie al petrolio hanno rappresentato delle vittorie fondamentali per la politica estera chavista ma proprio la scomparsa del suo lìder potrebbe verosimilmente portare a dei cambiamenti nelle strategie venezuelane nel contesto regionale.

Infatti, la vera sfida sarà individuare colui che raccoglierà l’eredità internazionale del caudillo venezuelano. Sebbene si facciano i nomi dei presidenti di Rafael Correa e Evo Morales, rispettivamente Presidenti di Ecuador e Bolivia, non sembrerebbe emergere ad oggi alcuna personalità di spicco capace di eguagliare o quantomeno raccogliere la sfida bolivariana di Chávez. I due leader amerindi, benché importanti interpreti del pensiero chavista, non hanno né il carisma né le capacità economiche di cui disponeva l’ex Presidente di Caracas per esprimere un progetto politico/ideologico pari. In particolare Correa non sembra avere un disegno strategico di lungo termine da proporre ai Sudamericani, mentre Morales è troppo impegnato in una difficile corsa alla rielezione per le presidenziali boliviane del 2014. Il pericolo, dunque, è che i progetti bolivariani possano incontrare un brusco ridimensionamento se non addirittura una “morte” prematura proprio a causa dell’assenza di un degno erede capace di promuovere il sogno latino.

Il rapporto conflittuale con gli Stati Uniti: una nuova era?

La scomparsa di Chávez potrebbe aprire una nuova stagione anche nei rapporti con l’odiato nemico statunitense. Già poche ore dopo la morte di Chávez, il Presidente Barack Obama aveva parlato di “un nuovo capitolo per la storia del Sud America”.

Da diversi mesi, in realtà, Obama sta meditando l’idea di normalizzare le relazioni con Cuba dei fratelli Castro e con il Venezuela post-Chávez. Ma l’isola caraibica è solo un tassello per scongelare le difficili relazioni tra Washington e Caracas. Infatti, al di là della retorica anti-imperialista del regime e della tensione nelle relazioni politiche, i rapporti economici sono sempre stati ottimi come dimostrato dal fatto che gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale del Venezuela, il principale cliente del petrolio con il 40% di esportazioni.

Sebbene i rapporti tra i due arci-rivali non siamo ai minimi storici registrati come durante la presidenza di George W. Bush – accusato dallo stesso Chávez di aver avuto un ruolo nel tentato e fallito golpe ai suoi danni dell’aprile 2002 –, dal 2010, ossia con l’inizio del mandato Obama, i rapporti bilaterali sono in una fase di disgelo. Se a breve termine è impensabile un riavvicinamento tra Venezuela e Stati Uniti, non è improbabile che nel medio periodo ci possano essere dei segnali di riavvicinamento soprattutto se i Cinesi, principali detentori per circa il 42% del debito venezuelano, dovessero iniziare a ridurre le proprie azioni nelle partecipazioni statali venezuelane e se il ruolo di potenza regionale del Brasile dovesse aumentare ridimensionando il Paese bolivariano e incrementando così la crisi economica interna. In questo modo Caracas potrebbe trovarsi costretta a chiedere aiuto al rivale nordamericano per cercare di arginare la crisi.

La scelta del futuro Presidente detterà dunque anche la rapidità del disgelo dei rapporti diplomatici bilaterali e il ruolo di Caracas nella regione. Maduro, pur essendo legato ai Castro, viene considerato da Washington un candidato sì più affidabile di altri chavisti, ma pur sempre avvertito come un pericolo per gli interessi USA nella regione. Infatti durante il suo incarico al Ministero degli Esteri, i problemi con Washington, sebbene minori rispetto al passato, non sono stati pochi e le tensioni sono state comunque forti. Pertanto la strategia di Maduro di alimentare la retorica anti-statunitense immediatamente dopo la morte del Presidente Chávez rientra in un percorso coerente con la politica finora adottata.

D’altra parte, un’eventuale vittoria di Capriles risponderebbe, invece, ad una maggiore apertura verso Washington e ad un rapido riallineamento alle istanze filo-occidentali. In questo caso il Paese potrebbe abdicare al suo ruolo di potenza regionale e di opposizione agli USA, rinunciando, al contempo, alle alleanze anti-imperialiste regionali (Cuba, Ecuador, Bolivia e Argentina) e internazionali (Iran, Cina, Russia e Bielorussia) e favorendo così una politica estera molto più pacata e vicina alle posizioni filo-statunitensi. Insomma una sorta di nuova “Colombia”.

Cosa succederà dunque al Venezuela post-chavista? I dubbi e le incertezze circa il successore e le preoccupazioni sulla grave stagnazione economica nazionale verranno definitivamente cancellate? I fantasmi chavisti che aleggeranno sul prossimo erede regionale saranno in grado di rivoluzionare il sistema di equilibri finora vigente? Sebbene siano tanti gli interrogativi, in molti, però, credono che d’ora in poi molte cose cambieranno nel Paese di Bolivar.

Probabile quindi che il vuoto di potere lasciato da Chàvez verrà colmato con un successore adeguato ma pur sempre diverso per carisma e capacità dal caudillo di Barinas. In un verso o nell’altro, la nuova leadership di Caracas sarà tentata dal rivedere le proprie relazioni commerciali con Cuba, se non altro perché anche il Venezuela, a dispetto di enormi risorse energetiche, soffre per la stagnazione economica e le forti disuguaglianze sociali. Ma anche con il resto dell’America Latina e con Cina, Russia, Iran, Bielorussia e gli stessi Stati Uniti le relazioni potranno subire dei cambiamenti radicali. Il futuro del “nuovo” Venezuela inizia adesso.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

Photos credit: Index Mundi – IMF 


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