Ora.. o io ho una particolare predisposizione ad andare a ficcarmi in mezzo al casino, oppure nel mondo sta davvero succedendo qualcosa.
Perché ero convinto di essere semplicemente diretto verso il Paramount Cafè sulla 16ma strada a godermi un po’ di sanissimo junk-food, e invece, proprio come il protagonista dell’ultimo romanzo di Stephen King, mi sono ritrovato immerso anima e corpo nel passato.
La voce dei ragazzi che urlavano nei megafoni costruendo frasi in rima subito ripetute dalla folla dei manifestanti, la coinvolgente energia che saliva su da quel gruppo di giovani d’ogni età (due-trecento persone in tutto, sette secondo la questura), la loro voglia di stare uniti e di ribellarsi insieme, senza aggressività ma con tanta rabbia in corpo, e la bellezza scaturita dalla trasformazione del dolore e del senso di umiliazione in un movimento che sogna di distruggere tutto per poi ricostruire da capo, mi hanno ricordato immagini viste sì tante volte, ma sempre e solo nei documentari dell’History Channel: quelle della contestazione della fine degli anni ’60. Così, per un attimo, ho avuto l’impressione di essere anche io parte di un progetto sociale e politico, e di poter avere anch’io una speranza, una speranza di lotta prima ancora che di conquista.
Sembrava davvero di essere di nuovo all’epoca di John Lennon e del “Give peace a chance”, anche se questa volta il nemico numero uno non è più la guerra, ma l’arroganza delle lobbies e la morte della dignità dei lavoratori.
Insomma è stato emozionante, uno spettacolo ancora più intenso e mozzafiato di quello offerto, sullo sfondo, dalle Montagne Rocciose innevate sotto il cielo terso di Novembre. Tenendo una mano sugli occhi per non farsi abbagliare dalla luce accecante di quei cartelli, all’orizzonte, in coda a quel corteo così odoroso di passato, sembrava quasi di vedere il futuro, ed è stata una straordinaria emozione inedita l’accorgersi che, chissà, forse c’è ancora una folle scalata che vale la pena di essere intrapresa.