Il gabinetto del Dottor Caligari - Recensione

Creato il 15 febbraio 2016 da Lightman

La rassegna Cinema Ritrovato riporta in sala, a quasi un secolo dalla sua uscita, il capolavoro del Cinema muto di Robert Wiene, opera inquieta e claustrofobica ricca di un fascino ancestrale.

Holstenwall, 1830. Francis e Alan sono amici inseparabili, entrambi innamorati della stessa donna, Jane. Un giorno i due si recano alla fiera annuale dove, tra le attrazioni presenti, vi è anche quella del dottor Caligari, un signore losco ed eccentrico, che esibisce in un baraccone il sonnambulo Cesare; dopo la loro comparsa, la cittadina è vittima di una serie di inquietanti omicidi: il primo a pagare con la vita è lo scrivano del Paese, reo di aver trattato poche ore prima con sufficienza proprio Caligari. Francis e Alan si recano a visitare l'attrazione e, vista la presunta capacità del sonnambulo (una volta svegliato), di predire il futuro, il secondo gli chiede quanto tempo avrà ancora da vivere, ricevendo come risposta "fino all'alba di domani". Questa profezia si realizza e Alan viene ritrovato barbaramente ucciso; Francis, convinto che il dottor Caligari e il suo "protetto" abbiano a che fare con il delitto, comincia ad indagare con l'aiuto del padre di Jane.

Un secolo e non sentirlo

Caposaldo immortale del muto e del Cinema espressionista tedesco, Il gabinetto del dottor Caligari torna in sala in versione restaurata a quasi un secolo dalla sua uscita (avvenuta nel 1920) grazie alla rassegna Il Cinema Ritrovato, che già sette giorni fa aveva riproposto il Nosferatu (1922) di Murnau. Occasione ghiotta per i cinefili di vedere su grande schermo il Capolavoro di Robert Wiene, parabola inquietante in continua oscillazione tra follia e realtà, con un epilogo che va a ribaltare tutte le carte in tavola. Ritenuta giustamente da molti come il primo e vero film horror, l'opera è la prima e vera incarnazione della mitica corrente cinematografica, andando a riprendere intuizioni e stilemi visivi del movimento pittorico: dall'affascinante e contorta resa scenografica, con costruzioni e spigoli zigzaganti ad aumentare il senso di maliarda oppressione narrativa, sino al cromatismo bi-colore (dal giallo al viola) a sottolineare i vari momenti delle giornate, i settanta minuti di visione sono un continuo piacere per gli occhi, un allucinato viaggio poetico in una storia di amore e morte. Il tutto in una pregnante satira sulla Germania allora contemporanea, con feroci graffiate all'autoritarismo che trasforma gli uomini in robot pronti ad uccidere per una qualsiasi guerra: non è un caso che si intravedano echi di quello che solo poco tempo dopo porterà alla nascita della dittatura nazista. Tra dramma e ironia si tessono le fila di un delirio psicologico che fa più paura della violenza fisico/terrena, pur contemplando al suo interno una manciata di scene sicuramente innovative e coraggiose per i tempi; ad alimentare l'aura dark vi è il forte contributo del trucco, con i personaggi (in particolare Cesare) vistosamente tendenti all'eccesso. Ma a creare maggiore atavico terrore è sicuramente il Caligari di Werner Krauss, calatosi con mimetica e doppiogiochista disinvoltura in un ruolo assurto a icona della Settima Arte.

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