Saremo sinceri, cercheremo di sbrigarcela - e ci vorrete scusare - per poi tornare goduriosi a ciacolar di England-All Blacks. In altri momenti ce ne sarebbe a josa di spunti da analizzare in questa gara, ma come dimostrò Einstein tutto è relativo; di più, a Cardiff non si è certo vista una gara memorabile in sé.
L'importanza fondamentale, con ripercussioni in avanti sino al 2015 di questo ultimo Test novembrino, sta tutta nel risultato: esso comporta che l'Australia recuperi il secondo posto nel ranking mondiale, che non significa granché (testa di serie lo era già), piuttosto gli Aussie han lasciato qualche bella cicatrice su diversi gallesi e inglesi che sperano di essere dei Lions in giugno. Nonché sul loro selezionatore. Le conseguenze sono meno "immateriali" per i Dragoni: precipitano al nono posto nel ranking, nella infamante (per loro) terza fascia delle nazionali mondiali assieme a Italia, Tonga e Scozia; ciò con sommo sospiro di sollievo degli Argentini risalenti in seconda fascia per il rotto della cuffia e con la massima soddisfazione per Samoa che eredita con merito la settima piazza. Il tutto just in time, alla vigilia delle estrazioni dei gironi per i Mondiali 2015.
Esagerando ma nemmen troppo, tutto quel di memorabile che accade in questa partita avviene dal minuto 79'35" in poi: quando Kurtney Beale con uno scatto di quaranta metri in cui impiega fino all'ultima stilla di ossigeno rimastogli, porta in meta l'iniziativa Aussie il cui merito è crederci fino all'ultimo, imbastita da un break di Harris sulla fascia destra sostenuto da Dennis che lancia in meta la controversa apertura. Nel farlo, secondo evento importante della gara, travolge Leigh Halfpenny, pluri-concusso in partita che ne esce imbarellato (tutto bene dopo gli esami ospedalieri, nessun danno al collo come temuto). Terzo evento, l'addio al rugby giocato di capitan Nathan Sharpe, celebrato col tentativo di trasformazione ben indirizzato ma senza potenza (non è pari a John Eales nemmeno in questo, verrebbe da malignare ...); tra i buuu del pubblico gallese che se ne frega o non sa, e vede nel piazzato di un lock una irrisione, una mancanza di rispetto, sfogando la rabbia repressa per l'ennesima cocente delusione novembrina.
E' tutto come se nell'alto dei Cieli, dove il rugby dei Dragoni si dice venga seguito con attenzione, gli Dei avessero deciso di punirli crudelmente con tanto di beffa per quanto NON han fatto vedere in questo novembre, dopo l'incanto al Mondiale di fine 2011 e il Grand Slam di inizio anno. Incuranti del sacrificio finale di sangue offerto da Leigh, novello Isacco.
Detto del minuto 79'35", verrebbe da dire con Califano, tutto il resto è noia. Due squadre che giocano speculare, a monotone testate, illuminate da brevi lampi non conclusivi di Halfpenny da una parte, di Berrick Barnes dall'altra, con qualche iniziativa notevole di Drew Mitchell da una parte e di Alex Cutberth dall'altra, più l'instancabile Liam Williams e qualche pizzico di Cummins e Ashley-Cooper. Una sfida all'ultimo grillotalpa in cui Pocock all'unico test novembrino supera senza far granché l'emulo Warburton.
Si distingue anche Priestland ma in negativo (l'orrore ... l'orrore): la sua ligia e accurata precisione tattica era l'unico motivo per cui aveva pensionato anzitempo Stephen Jones e tenuto in panca il più talentuoso James Hook ai mondiali e nel Sei Nazioni; ora invece fallisce persino le penaltouche, per non parlare del numero di placcaggi falliti.
Vogliamo parlare del rientro emergenziale in panchina di Warren Gatland sin da prima della sconfitta con gli All Blacks? Non ha cambiato nulla e sarebbe stato strano il contrario: il Galles di questo novembre emula il gioco australiano, prevedibile e basato sugli sfondamenti, senza averne il peso. L'ombra di Jamie Roberts e qualche traccia di Toby Faletau non fan primavera, il resto son testate tra pack e guarda caso infortuni a profusione, tanto che il management degli Ospreys alle prese con la Heineken Cup dal prossimo weekend, non ha risparmiato le lagnanze.
Se il Galles guida 12-9 a trenta secondi dalla fine, è perché piazza Halfpenny (due nel primo e due nel second tempo), mentre Beale ne sbaglia due da vicino ma ne azzecca tre dalla lunga distanza, tutti nel primo tempo (ma perché le punizioni "normali" non le fan calciare a Barnes? Forse il novello e imprescindibile estremo non è del tutto a posto fisicamente: non lo è mai del resto).
Tutto procede tra sangue sudore lacrime e testate sino al fatidico 79'35", in cui si consumano i destini di questo Galles volonteroso come non sempre ma privo di neuroni, sotto gli occhi del "suo" Gatland. Faceva meglio ad andare a Twickenham questo weekend, se sta pensando ai Lions.
Ah, avviso ai naviganti italiani: visto che questo giro di Sei Nazioni il Galles deve passare da Roma e memori di quel secondo tempo degli Azzurri contro i Wallabies che giocano mono-dimensionale come loro, solo più "pesante", se non evolvono vale la pena che li mettiamo seriamente nel mirino 'sti Dragoni, assieme alla Scozia in rifacimento (stavolta fuori casa). Certo più dell'Irlanda, ancora troppo marpiona per noi; quanto a Francia e l'Inghilterra no, meglio non contarci troppo anche se ha ragione McCaw: "nessuno sa il risultato prima di giocare".