Il Gargano

Creato il 13 aprile 2013 da Fernando @fernandomartel2

da "Il vento racconta..." Bastogi editrice 2007
Il Gargano
Certe zone del pianeta hanno scelto per prime.
Quando il Creato si dispose sul globo, plasmando continenti emersi e sommersi, foreste e deserti, mari e monti, certe zone ebbero l’occasione di scegliere per prime, in virtù di un ordine stabilito dal Creatore e loro si buttarono capofitto su alcuni optional di grande effetto, il magazzino era pieno.  Successe allo stesso modo in tutto il mondo.  I giapponesi vollero il Fujiyama colla cima imbiancata, gli Stati Uniti del Nord America vollero il fiume più grande del pianeta colle Niagara Falls e il Gran Canyon, l’America del sud volle le Grandi Foreste ed oggi sono nei guai e si puzzano dalla fame, perché tutti vanno lì a tagliare alberi per costruirsi mobili e barche, ma se loro si azzardano a tagliarne uno, tutti sul mondo protestano per proteggere “Il polmone del pianeta” e loro sono fottuti.  Mano a mano che le zone più grandi sceglievano, nel magazzino degli optional cominciavano a crearsi dei vuoti, così chi arrivava dopo era costretto a prendere quello che rimaneva.  In Italia intanto... Napoli scelse di nascere sulla costa Amalfitana e si addobbò l’orizzonte col Vesuvio e col pennacchio, Venezia osò di più e si ritrovò non vicino al mare ma dentro e d’allora veste con gonne e lingerie che, uniche al mondo, rubano merletti e trasparenze, riflessi e colori direttamente all’acqua. Avrebbe voluto anche lei qualcosa che annichilisse il Vesuvio, ma nello scomparto dedicato all’Italia questi optional erano andati a ruba al sud, ad appannaggio delle isole, tra le quali la maggiore la Sicilia aveva dato scacco a tutte con un diamante rosso fuoco come l’Etna e aveva completato l’opera facendo man bassa con tutta una collana di piccole isole vulcaniche: Stromboli; Vulcano; Panarea e Maratea, e tante piccole perline di contorno. Questi bracieri naturali e la loro lava, che stagionalmente si sparano i migliori fuochi d’artificio e disegnano strade nuove di fiumi incandescenti.  La Calabria si inoltrò nel mare più blu del Mediterraneo e si mise in testa la Sila grande e sul petto orgoglioso, la Sila piccola. Le altre regioni, tutte con le coste merlettate dal mare ed un po’ gelose degli sguardi dei vicini, si coprirono alla vista delle confinanti con gli Appennini. Ma nel magazzino rimanevano sempre meno tesori naturali tra i quali scegliere, anche se mano a mano che qualcuno portava via il pezzo migliore, subito qualcos’altro si stagliava all’orizzonte facendosi notare sulle rimanenze. Ma ormai si affrettavano le ultime regioni a prendere quel poco che rimaneva e, tra di esse qualcuno riuscì ancora a soddisfare le proprie mire. Così l’Abruzzo si accaparrò il Gran Sasso, il Lazio scippò dallo scatolone la capitale e la adornò di monumenti gloriosi e l’appannaggio della storia, le Marche le grotte di Frasassi che pochi conoscono ma sono le più belle d’Europa e tanti colori per le sue terre, le regioni del nord pensarono bene a difendere i confini e si coronarono con una catena montuosa unica, nacquero così le Alpi e tra loro, cime spettacolari e valli deliziose e deliziate da merletti di fiumi e cascate e tanti laghetti di montagna blu cobalto. Dettero la cima più alta d’Europa alla valle d’Aosta, la più piccola delle regioni italiane e forse per questo da sempre la più coccolata tra tutte le altre. Il Piemonte, contemplava le sue cime e si perse a guardare quanto erano belle e vaste e così, dopo aver scelto il Po, il fiume più lungo della penisola, la sua Torino, austera e ordinata, si nominò capitale e si adagiò a valle sulle sponde che costeggiavano le bellissime colline monregalesi e prese a addobbarle con la cattedrale di Superga in alto, con la Gran Madre in basso e così via... Poi... Così avvenne dappertutto ed ogni città scelse il suo luogo ed ogni luogo le sue peculiarità. Avvenne così su tutto il pianeta, ognuno sistemava i suoi piccoli e grandi tesori.  Prima gli Stati, poi le Regioni, le Province, le grandi città, poi quelle più piccole ed i grandi comuni e poi infine i piccoli centri e buone ultime le borgate. Quando toccò alle Puglie, tre gemelle molto simili tra loro anche nel dolce carattere, nel magazzino non era rimasto quasi più niente e le chance di prendere qualcosa di buono erano veramente poche, così dopo essersi guardate attorno, non restò che raccogliere le briciole di quello che restava e… quel pavimento vuoto, lucido del grande magazzino ormai completamente saccheggiato.  Le tre ragazze, srotolarono il lungo pavimento a sud del piccolo Molise, di fianco alle vertebre spinali degli Appennini Campani che dalla sua parte chiamarono Monti Dauni, dal nome della prima sorella la quale, felice, si ricordò di quel grumo che aveva raccolto. Daunia tirò fuori dalla tasca del leggero vestito di cotonina fiorita, quella pagnotta di montagna che era rimasta in un angolo del magazzino, come dimenticata da qualcuno e che lei aveva raccolto e messa via senza pensare a cosa farne, la appoggiò sul lato orientale del leggero pavimento per paura che si sollevasse con la brezza del mare Adriatico e lo chiamò Gargano. Raccolse delle briciole che le erano cadute su quella immensa pianura che, ormai aveva deciso, avrebbe chiamata Tavoliere delle Puglie. Anche se le sorelle si erano divisa la regione in parti uguali, la proprietà rimaneva comunque comune, in famiglia. Buttò gli scogli più in là in mare, in quel punto però, il fondale non era molto profondo, le briciole non affondarono del tutto e rimasero visibili sull’acqua, lei si girò a guardarle e nell’ammirarle, un tremito di tenerezza le percorse la schiena: “Tremiti..” pensò, le chiamerò così. Alla fine, stanca ma contenta, si sedette sul cucuzzolo più occidentale del promontorio e, era ormai il tramonto, guardò soddisfatta il lavoro fatto… “Che tramonto…” pensò mentre un sorriso le increspava teneramente le labbra “…veramente da sogno... chi guarderà i tramonti da questo punto si sentirà un regnante...” Daunia faceva le cose con una naturalezza disarmante, sembrava giocare senza impegno, ma appena pensata una cosa la realizzava senza più pensarci, su quel palco naturale nacque Rignano, i suoi tramonti hanno un sacco di ammiratori tutte le sere. Si sdraiò al riparo di due crinali e si addormentò. Si svegliò prima dell’alba il mattino seguente, aveva il capo su un morbido colle interno del promontorio, si girò sbadigliando a guardare dove si trovassero le sue Tremiti e... mentre le cercava sul taglio d’argento dell’orizzonte, la meraviglia le riempì gli occhi: d’innanzi a se aveva un’alba incredibile per la trasparenza e i colori. “Ma questo sì che è un Belvedere!…” chiosò allegra, mentre un Nibbio maestoso fischiò in cielo. Lei decise che lì vicino doveva nascere un paese, dove romantici cantori avrebbero scritto e recitato i loro poemi per uno spettacolo così speciale e siccome in quel luogo c’era un bellissima foresta scura di carrubi, ulivi e faggi secolari, la costruì di pietra bianca ed esposta al sole che riflettesse come una perla: “Si chiamerà Ischitella..” decise sorridendo all’idea… poi si piazzò su una cima più vicina possibile alle stelle, ma comoda per farsi venire a trovare dagli amici della valle e scrisse una lista di cose con le quali arredare quel suo posto. Scelse l’Aurora e non sapendo che tipo di alba scegliere barrò la casella “variabile”, cosicché ogni mattina l’alba, da quel Belvedere, è sempre diversa e spettacolare. Perfino l’ora non è quasi mai la stessa. Ma qualsiasi sia l’ora, qualsiasi sia l’abito che quel giorno ha deciso di indossare per andare a dare la sveglia alla gente, di una cosa potete essere certi, l’alba dal Belvedere di Ischitella sarà sempre la più bella di tutti i posti del mondo! Se inizia con un cielo coperto di nuvole che sembrano promettere chissà quali guai, prosegue di certo, con un gioco di raggi di sole che filtrano tra di loro e che sembrano riflettori puntati su piccoli pezzi di Paradiso. Daunia poggiò un paese in ogni luogo dove filtrava la luce dalle nuvole: Peschici, Vieste, Mattinata e poi Rodi, Carpino, Montesantangelo e San Giovanni Rotondo, San Nicandro e Cagnano Varano. Dopo cominciò ad ornare le coste con mille baie e anfratti segreti: Baia delle zagare e Pugnochiuso, Baia degli Ulivi e Mattinatella e mille altre ancora. Due depressioni nel terreno, vicino alla costa a nord del Gargano, attirarono l’attenzione della giovane donna che, con un dito, fece dei solchi nella sabbia dorata della costa e l’acqua dal mare scorse nelle polle dal canale delle Pietre Nere e da Capoiale e Foce Varano, creando così due magnifici laghi a Lesina e a Varano. Poi si divertì a creare cento magnifiche grotte, spiaggette segrete e bianchissime, faraglioni e strapiombi lungo tutta la costa, dai quali ciondolavano nel vuoto, dei magnifici riccioli e boccoli di capperi in fiore. Disseminò posti stupendi nelle pieghe del promontorio, valli generose e piene di fiori. L’alba, però, rimase l’opzione preferita della giovane Dea della Capitanata e, se un’alba è serena, il vento se ne sta buono buono ad aspettare, che lei abbia indossato il celeste preferito e poi, quasi a fare festa a questo cielo che ha la trasparenza e l’azzurro degli occhi delle donne di queste parti, profondo come il verde del mare, una brezza dolcissima, comincia a soffiare contro le coste frastagliate intorno, disegnando merletti bianchi arricciati sullo sfondo blu cobalto dell’Adriatico, per far l’abito di Daunia più allegro e vezzoso. Che dire poi quando, solo ogni tanto in verità, l’alba decide di indossare quegli abiti che non si sa di dove li tiri fuori e che hanno tutte le gradazioni del rosso e che accendono il cielo in una festa di ciclamini purpurei ed inquietanti che sembrano un’iperbole emotiva che ti travolge in una festa a cui non eri invitato e che sono sempre quelle che riescono meglio, come quelle a casa di amici che nessuno si conosce tra di loro e nessuno sa chi è il padrone di casa. Quelle albe sono per occasioni speciali, giorni in cui nascono amori che dureranno per sempre e si vede il primo dentino nella bocca di un bambino che da grande diventerà importante e tante cose belle, è come quando un caro viene dimesso da un ospedale guarito e tutti si commuovono. In queste giornate, pare che aumentano incredibilmente le giocate al lotto e pare che tutti i giocatori vincano e portano fiori e poi fuori a cena le loro donne e poi va a finire che ci fanno l’amore tutta la notte. Qualche maligno dice che l’alba del Gargano rubi quei vestiti dall’armadio del tramonto, che, distratto com’è dal cercare di fare anche lui qualcosa che faccia rimanere la gente a bocca aperta, davanti alla parata di chiusura che promuove ogni sera e che spesso riesce veramente bene, non si accorge della sottrazione degli abiti migliori a cui, poi, l’alba dà un tocco personale giocando sulle luci e sulle trasparenze, lei che può, aiutata com’è dalla luce del giorno, dagli azzurri del cielo e dal verde-blu del mare, elementi questi imprescindibili per mettere su uno spettacolo all’alba. Lui, poverino, ha provato a trattenere il respiro per fermare più a lungo il giorno, tenerlo ancora un po’ per chiudere con una sinfonia di chiaroscuri degno di una marcia trionfale, ma il risultato è sempre lo stesso: anche se certi giorni comincia prima, appena nel pomeriggio e col sole ancora alto, finisce sempre che piano piano si abbassano le luci, il cielo diventa prima scuro, poi nero ed alla fine gli tolgono del tutto la corrente e lo spettacolo si chiude ed è notte. A me è pure venuto il sospetto che l’alba ed il tramonto, qui sul Gargano non siano rivali, ma in combutta tra di loro e che ci prendono in giro benevolmente facendoci credere ad una loro battaglia per la conquista delle preferenze, ma che invece, ubriacandoci di colori, emozioni e musiche stupende, ci costringano ad essere innamorati di entrambi. Meno male che la notte qui è di quelle che inducono a guardare le stelle, qui tanto vicine, dall’interno di una stanza calda e che dopo aver fatto bene l’amore, possiamo dormire tranquilli.
Meno male.


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