Il gas di scisto potrà cambiare il mondo ma non l’Europa

Creato il 12 ottobre 2013 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM

Il dibattito su vantaggi e svantaggi dell’estrazione di gas di scisto continua a dividere l’Europa. Pur tralasciando ogni appunto circa gli enormi danni all’ambiente e alle persone che l’industria dello shale sta causando negli USA, rimane il fatto che anche nella (lontana) ipotesi in cui gli ostacoli ambientali, normativi e politici fossero superati, difficilmente gli idrocarburi non convenzionali risolveranno i nostri problemi.

La scorsa settimana il Parlamento europeo ha approvato lo schema della nuova direttiva che introduce la Valutazione di Impatto Ambientale obbligatoria sulle connesse attività di esplorazione ed estrazione e che dovrebbe entrare in vigore entro il 2016. Strasburgo ha inoltre introdotto l’obbligo di indipendenza assoluta del committente rispetto all’autorità competente ed eliminato la possibilità per i Paesi membri di concedere deroghe speciali a determinati progetti (le uniche eccezioni restano le opere motivate con ragioni di sicurezza pubblica).

Negli stessi giorni la Francia ha confermato il bando alle esplorazioni stabilito da Sarkozy nel 2011, mentre il resto d’Europa procede un po’ in ordine sparso. Secondo Altreconomia:

In Europa le riserve di gas non convenzionale sarebbero pari a 15mila miliardi di metri cubi di cui 2 mila miliardi stimati solo in Polonia. Oltre 760 miliardi da estrarre nell’immediato. Un potenziale di shale gas e tight gas che interesserebbe quasi tutti  i Paesi dell’Unione. È quanto emerge da una prima lettura di una mappa diffusa dal magazine americano “Drilling Contractor”. 
Per l’Italia è evidenziata una vasta area di giacimenti ricadenti nella Pianura Padana, in regioni come l’Emilia-Romagna, il Veneto, la Lombardia, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia.

Un quadro, questo, che giustifica l’accesa discussione in atto proprio tra gli Stati membri dell’Ue, che dovrebbero applicare la Direttiva così modificata quando questa diverrà legge. 
Bulgaria e Lussemburgo sono contrari alfracking. La Francia ha deciso di vietare il fracking con una legge del 13 luglio 2011, sulla quale però il Consiglio costituzionale dovrebbe pronunciarsi domani  (11 ottobre, ndr) su una sua presunta incostituzionalità. E proprio questa decisione -molto attesa non solo Oltralpe- potrebbe cambiare le carte in tavola. L’intervento del Consiglio costituzionale è stato richiesto dalla società Schuepbach Energy, secondo la quale “l’annullamento dei permessi di esplorazione è frutto di un’applicazione troppo rigorosa del principio di precauzione”.
Principio di Precauzione, più che legittimo, sulla quale si fondano proprio le ultime modifiche della Direttiva 2011/92/UE. In Svizzera, Gran Bretagna, Olanda, Austria e Svezia, invece, i progetti sono stati sospesi. In Germania, Romania, Irlanda, Repubblica Ceca e Danimarca si parla di moratoria. 

In Italia, infine, in un clima di quasi totale disinteresse, il 18 settembre -su proposta del deputato di Sel, Filiberto Zaratti- la Commissione ambiente della Cameraha approvato una risoluzione “che esclude da subito ogni attività legata al fracking, cioè l’estrazione d’idrocarburi attraverso la fratturazione idraulica del sottosuolo”. 
Un impegno per il Governo, al quale dovrebbero seguire i fatti. Anche se in merito al fracking le grandi associazioni ambientaliste come le reti di movimenti italiani continuano a sostenere che nel nostro Paese non c’è il rischio di trivellazioni con fratturazione idraulica, per lo sfruttamento di shale gas. E perciò non serve una legge nazionale, non impugnabile, che ne sancisca concretamente il divieto.

Come ho già avuto modo di illustrare, se nel resto del mondo questi idrocarburi non convenzionali stanno provocando una vera e propria rivoluzione, qui in Europa lo shale gas non dovrebbe suscitare un boom economico simile. Secondo Les Echos:

La rapidità e l’ampiezza dello sviluppo della produzione oltre Atlantico non potranno essere replicate in Europa perché non vi sono le condizioni eccezionali degli Stati Uniti: presenza di un’importante industria petrolifera e di gas, abbondante materiale di trivellazione, una vasta rete di gasdotti, grandi spazi disabitati. Tutti elementi che hanno permesso agli Stati Uniti di forare più di 200mila pozzi in pochi anni. Anche il contesto giuridico ha svolto un ruolo importante: i cittadini sono proprietari del loro sottosuolo e hanno un interesse finanziario a firmare direttamente con le compagnie. In Europa non solo le infrastrutture rimangono limitate, ma le regolamentazioni locali sono più vincolanti.La Polonia, che ha cominciato l’esplorazione nel 2008, ha solo una quarantina di pozzi. In Danimarca le prime trivellazioni sono state rinviate di un anno, per realizzare degli studi di impatto ambientale. Stessa constatazione nel Regno Unito. “In Europa ci vorranno almeno dieci anni fra l’avvio di un sito e l’entrata in produzione, rispetto ai tre anni degli Stati Uniti”, dice un industriale. “Inoltre per ragioni simili si dovrà limitare il numero di trivellazioni contemporanee nella stessa zona”. Secondo un recente studio di Bloomberg Energy Finance i costi di produzione nel Regno Unito sarebbero fra il 50 e il 100 per cento più alti rispetto agli Stati Uniti.

Meno intensa, più diluita nel tempo, la produzione di idrocarburi di scisto in Europa sarebbe più costosa e probabilmente insufficiente per influire sul prezzo o per ridurre realmente la sua dipendenza economica. Anche se la Francia riuscisse a produrre il 30 per cento del suo consumo di gas, la sua fattura energetica si ridurrebbe solo di 3-4mila miliardi di euro all’anno su un totale di 70 miliardi nel 2012. Inoltre l’impatto sull’occupazione sarebbe limitato. Le poche stime effettuate su questo punto dalle società di consulenza Sia Conseil in Francia e Poyry nel Regno Unito hanno potuto basarsi solo sull’esperienza americana, cioè fare riferimento al numero di posti di lavoro per miliardi di metri cubi prodotti o per numero di pozzi. Tutti calcoli che portano nel migliore dei casi a poche decine di migliaia di posti di lavoro per paese. Cifre senza dubbio non trascurabili nella situazione attuale, ma il gas di scisto non rappresenta quella soluzione miracolosa che permetterebbe all’Europa di uscire dalla crisi.


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