Il gas naturale di Trinidad e Tobago

Creato il 10 agosto 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Distante solo 11 km dalle coste nord-orientali del Venezuela, lo Stato insulare di Trinidad e Tobago è situato nell’arcipelago delle Piccole Antille ed è bagnato dal Mar dei Caraibi a nord, dall’Oceano Atlantico a est e dal Golfo di Paria a ovest. Con una superficie di quasi 5.000 km2, Trinidad è la più estesa e la più popolosa delle due isole caraibiche. La sua conformazione geografica è anche la causa del suo nome poiché quando Cristoforo Colombo, nel 1498, avvistò per la prima volta l’isola, fu colpito da tre gruppi di rilievi che ai suoi occhi simboleggiavano gli elementi della Santissima Trinità: per tale motivo la ribattezzò “Isla de la Trinidad”.

La piccola Tobago – la cui denominazione deriva, questa volta, della sua caratteristica forma a sigaro – si estende diagonalmente per 300 km2 da sud-ovest a nord-est ed è, dal punto di vista amministrativo, l’unica regione autonoma tra le 15 che compongono la Repubblica di Trinidad e Tobago. Geologicamente le due isole si configurano come un’estensione del subcontinente latinoamericano: le catene montuose di Trinidad, infatti, rappresentano il naturale proseguimento della Cordigliera Andina del Venezuela.

Le dimensioni ridotte dello Stato non devono trarre in inganno poiché le isole di T&T si sono ritagliate nel tempo un ruolo di grande rilievo a livello internazionale. A partire dagli anni Ottanta, infatti, i governi successivi a quello di Eric Williams – considerato il padre della Nazione in quanto fautore dell’indipendenza nel 1962 – abbandonarono le politiche stataliste che avevano caratterizzato il mandato di Williams, aprendo la strada agli investimenti esteri e inaugurando una nuova stagione di politiche economiche “market friendly”. Il nuovo corso imposto all’economia trinidadiana ha sortito gli effetti desiderati, tanto che, spesso, ci si riferisce alla Repubblica di Trinidad e Tobago con l’appellativo di “Tigre dei Caraibi”1.

Grazie anche ai flussi di capitali provenienti dall’estero e diretti principalmente al settore petrolifero e a quello del gas naturale, le due isole possiedono oggi uno dei più alti PIL pro-capite dell’America Latina, con una media del 3,7% più elevata rispetto agli altri Paesi del subcontinente (media che si è solo leggermente abbassata nel triennio 2009-2011 per poi tornare a stabilizzarsi)2. Tali valori sono destinati a crescere se riusciranno a essere attuati gli ambiziosi progetti elencati nella “Vision 2020″, il piano posto in essere dal Governo di Port of Spain che mira – coinvolgendo tutti i settori dell’economia trinidadiana – a sviluppare una strategia in grado di trasformare T&T in una “nazione sviluppata” entro il 2020, cercando di scongiurare gli eventuali effetti collaterali derivanti da un futuro, e a detta degli esperti non troppo improbabile, rischio di Dutch Disease.

Sebbene sia necessario nominare risorse strategicamente fondamentali di cui è ricco il territorio di T&T come il “Pitch Lake”, il più grande deposito al mondo di asfalto naturale, le maggiori entrate dello Stato derivano dallo sfruttamento del petrolio e dalle ingenti quantità di gas naturale. Se il settore petrolifero ha subito un calo negli ultimi anni per via del progressivo esaurimento dei giacimenti, non si può dire lo stesso per il gas naturale che rappresenta la principale risorsa produttiva del Paese.

Fonte energetica che si è ritagliata – e si ritaglierà sempre di più in futuro – un ruolo da protagonista a livello mondiale, il gas naturale è un gas combustile composto da una miscela di idrocarburi (principalmente metano) che ha la sua origine nella porosità delle rocce. L’importanza del gas naturale, considerato un “carburante verde” per via della quantità minore di anidride carbonica che produce rispetto agli altri combustibili, è testimoniata dalla sua crescente richiesta da parte della comunità internazionale. Si prevede, infatti, che solo all’interno dell’UE si assisterà entro il 2030 a un incremento del 43% del consumo di gas naturale, facendo salire il livello della domanda dal 25% al 30%3. Scenario non dissimile interesserà i Paesi latinoamericani e caraibici per i quali la richiesta di gas subirà una crescita annua del 3%, arrivando nel 2025 a un incremento totale del 60% rispetto al 20104.

E’ proprio alla luce di tale dati che ha preso concretezza l’idea di realizzare un gasdotto in grado di collegare Trinidad alle altre isole caraibiche. Nonostante il progetto fosse stato già teorizzato più di dieci anni fa dall’allora Primo Ministro Manning, le trattative hanno preso avvio solo nell’ultimo anno, dopo che due compagnie statunitensi – Beowulf Energy LLC e First Reserve Energy Infrastructure Fund – hanno acquisito la quota di maggioranza della Eastern Caribbean Gas Pipeline Company Ltd, l’azienda trinidadiana incaricata di portare avanti il progetto. Il gasdotto, della lunghezza di 300 km, collegherà entro il 2016 il Cove Eco Business and Industrial Park di Tobago alle Barbados, fornendo fino a un massimo di 30 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno5. Il gas proveniente da Trinidad sarà utilizzato dal governo di Barbados come alternativa al più dispendioso olio combustibile (derivato del petrolio) per ridurre i costi derivanti dalla produzione di energia elettrica.

Con riserve stimate per oltre 380 miliardi di metri cubi, T&T risulta, ad oggi, tra i primi quindici Paesi esportatori di gas naturale6. Più del 90% della produzione di gas è affidata a tre industrie (BP Trinidad and Tobago, EOG Resources Trinidad e British Gas) e il suo principale utilizzo è relativo al settore del GNL: nel 2012, infatti, ben il 57% del gas naturale ricavato è stato impiegato per la produzione di gas naturale liquefatto. Il GNL, che diviene tale in seguito a particolari trattamenti di depurazione e decompressione, permette di diminuire notevolmente il volume del gas e, di conseguenza, facilita e riduce i costi di trasporto: per tale ragione gli impianti di GNL rappresentano la migliore alternativa ai gasdotti, soprattutto per quel che riguarda trasferimenti di lunga distanza. Al contrario per tratte ridotte risulta maggiormente economico il trasporto via gasdotto che non necessità dei 3 passaggi costitutivi del GNL: liquefazione, shipping (ovvero trasporto attraverso navi metaniere) e rigassificazione.

Dietro solo ad Algeria, Indonesia, Qatar, Australia e Malesia, Trinidad e Tobago è oggi tra i primi produttori al mondo di gas naturale liquefatto e possiede uno dei più moderni impianti di liquefazione esistenti. Proprio a Trinidad, infatti, nel 1999 la Atlantic LNG collaudò con successo uno dei primi treni di liquefazione in grado di superare il tetto massimo precedentemente fissato dei 2 milioni di tonnellate, fattore che raddoppiò, all’alba del nuovo millennio, la domanda di gas di Trinidad e Tobago. Il grande successo dell’operazione diede il via alla costruzione di altri treni che accrebbero sempre di più la portata degli impianti di liquefazione di T&T: l’ultimo di essi, la cui produzione è iniziata nel 2006, è oggi il più grande al mondo con una capacità di 5,2 milioni di tonnellate l’anno.

Testimoniano l’importanza crescente del settore del GNL anche i massici investimenti che imprese straniere continuano a rivolgere verso Trinidad: in particolare la Gran Bretagna, negli ultimi anni, sta incrementando il suo ruolo all’interno del mercato gasiero sudamericano attraverso una delle sue principali società, la Centrica Energy. Allo stesso modo, l’azienda lussemburghese Gasfin, ha di recente firmato un accordo con T&T al fine di costruire, nella “fertile” zona di La Brea, nel sud-ovest del Paese, un impianto dal costo di 400 milioni di dollari in grado di produrre annualmente 500.000 tonnellate di gas da esportare verso i Paesi caraibici.

Grazie alla sua strategica posizione geografica, T&T ha in passato trovato negli Stati Uniti uno dei suoi partner privilegiati: circa l’80% del GNL importato dagli USA proveniva dalla Repubblica di Trinidad. Il perché tale trend abbia subito un’inversione di tendenza a partire dal 2008 è presto detto: negli ultimi cinque anni la scoperta di enormi giacimenti di shale gas non solo ha reso gli Stati Uniti il secondo maggior produttore di gas naturale dopo la Russia, ma ha anche profondamente modificato gli equilibri geopolitici del mercato gasiero. Si prevede, infatti, che gli investimenti e i miglioramenti che stanno interessando il fracking – la (poco ecologica) tecnologia utilizzata per estrarre il gas di scisto – potrebbero portare Washington all’indipendenza energetica, trasformando gli USA in uno dei principali esportatori netti di gas.

E’ anche per tale motivo che Trinidad ha dovuto cercare nuovi clienti, orientando la sua attenzione verso il Sud America e cercando potenziali acquirenti in Europa e Asia. Un particolare occhio di riguardo sembra essere rivolto alla Cina. Durante la recente visita del presidente cinese Xi Jinping a Trinidad, la questione del gas naturale è stata uno dei principali argomenti affrontati: come affermato dal Ministro dell’Energia Ramnarine, si prevede che la fornitura di carichi di GNL aumenterà di molto nei prossimi anni, anche grazie al progetto di espansione del Canale di Panama. Nemmeno gli elevati costi di trasporto sembrerebbero rappresentare, secondo il Ministro, un problema poiché il prezzo del gas naturale in Cina è tre volte superiore a quello degli Stati Uniti, motivo per cui le spese sarebbero completamente ammortizzate7.

L’”appetito cinese”, che da anni soddisfa le sue necessità nei mercati latinoamericani, risponde in primo luogo alla necessità di approvvigionamento energetico di Pechino, soprattutto in considerazione del fatto che la Cina risulta essere ad oggi il primo consumatore di energia di tutto il mondo. D’altra parte la scelta di orientarsi sempre di più verso il Sudamerica, in un momento in cui – come si è detto – gli USA hanno fortemente allentato i loro rapporti con il subcontinente, sembra inserirsi in un’ottica strategica non solo dal punto di vista commerciale ma anche e soprattutto da quello politico. Attraverso la penetrazione in America Latina, Pechino mira a garantirsi la sopravvivenza energetica affievolendo il ruolo del nemico di sempre, Washington, nel subcontinente e aspirando a giocare un ruolo di sempre maggiore rilievo nello scenario geopolitico. Risponde a tali astute esigenze la proposta cinese di costruire in Colombia un “dry canal” alternativo a Panama che, collegando il Mar dei Caraibi con l’Oceano Pacifico, faciliterebbe ulteriormente l’insinuarsi di Pechino nei mercati latinoamericani8.

Merita un’attenzione particolare la questione delle relazioni tra Trinidad e il suo più prossimo vicino, il Venezuela. Le contrapposte visioni ideologiche e politico-economiche dei due paesi sono alla base delle conflittualità che hanno segnato i loro rapporti nell’ultimo ventennio. Sebbene il petrolio rappresenti la maggior entrata per il governo di Caracas, il settore del gas naturale è un’importante ricchezza per lo Stato, con riserve stimate per oltre 5.500 miliardi di metri cubi9. Tuttavia le politiche portate avanti nei quattordici anni di governo di Chávez – progettazione dell’hugoducto in primis – non hanno mai favorito gli accordi con T&T, nemmeno quando si è trattato di definire le zone di demarcazione dei rispettivi confini marittimi, i cui fondali sono ricchi di riserve di gas naturale.

Soltanto dopo anni di contrattazioni, tra alti e bassi diplomatici, è stato firmato nell’agosto 2010 un accordo di esplorazione riguardante l’area di Loran-Manatee in cui si stabilisce l’unitizzazione del territorio per uno sviluppo congiunto che vedrà assegnare al Venezuela il 73% del totale del gas ricavato e a Trinidad il restante 27%10. Questo importante accordo contiene il potenziale non solo per ottimizzare i negoziati sulle altre “zone costiere di conflitto” tra i due Paesi ma anche per modificare il volto della geopolitica dell’energia nel Bacino Caraibico.

Nonostante tali ottimistiche premesse, le relazioni tra i due vicini riguardo la situazione del gas transfrontaliero non sembrano essere mutate nell’ultimo periodo e nemmeno la morte di Chávez ha sortito effetti in questo senso: al contrario Maduro, dopo l’insediamento, ha riaffermato con vigore le politiche del caudillo, soprattutto quelle riguardanti l’integrazione energetica latinoamericana nell’ambito del Petrocaribe. Il progetto chavista, che nell’ottica di un incremento socio-economico del Sudamerica prevede condizioni di favore per l’acquisto degli idrocarburi, è stato da subito accolto con diffidenza dal governo di T&T. Il Primo Ministro Manning, infatti, non solo si era rifiutato di ratificare l’accordo ma aveva anche ripetutamente messo in guardia gli altri Stati caraibici dal pericolo del Petrocaribe, colpevole di rendere la regione energeticamente dipendente da un unico fornitore statale, il Venezuela. “It is a question of cutting your own throat if you are not careful11 aveva affermato Manning nel 2005, all’alba del concepimento del progetto.

Eppure, a dispetto delle raccomandazioni del governo di Port of Spain, quella del Petrocaribe è oggi una realtà più tangibile che mai, come ha dimostrato l’ultimo vertice dell’organizzazione che si è tenuto nel maggio 2013: non solo anche Guatemala e Honduras sono diventati membri a tutti gli effetti dell’associazione, ma – ed è questo un passaggio da non sottovalutare – è stata ufficialmente adottata la proposta di collegare l’ALBA con Petrocaribe formando una nuova zona economica che raggrupperà i membri delle due organizzazioni promuovendone investimenti, commerci e progetti di sviluppo economico.

In conclusione risulta evidente come la visione chavista dei rapporti energetici tra i paesi latinoamericani e caraibici – che Maduro ha ricordato proprio in occasione dell’ultimo vertice di Petrocaribe affermando “as Chávez said in the past, oil was a tool for domination and now it’s becoming an instrument of liberation12 – non sembra essere gradita al governo trinidadiano.

Alla prospettiva integrazionista, infatti, il piccolo ma geopoliticamente cruciale Stato insulare sembra preferire una strada solitaria, avulsa il più possibile dalla “minaccia venezuelana”. Tuttavia risulta quantomeno paradossale il fatto che tale strada si sta indirizzando sempre maggiormente verso il governo di Pechino, senza tener conto del fatto che l’appetito cinese di cui si è parlato potrebbe, presto o tardi, fagocitare il mercato di Trinidad e Tobago.


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