Uno dopo l’altro ci hanno lasciato, e se gli induisti hanno visto giusto, sono certo che si reincarneranno in esseri umani. Miki, così si chiamava la dolce creatura della foto, fino a cinque giorni prima stava bene e nulla lasciava supporre che avrebbe potuto ammalarsi e morire in meno di una settimana. Quando si sono manifestati i primi sintomi, la diagnosi non era stata di quelle che fanno pensare al peggio: un calcolo e molta sabbiolina nella vescica. A detta del veterinario, dopo tre, quattro giorni, l’antibiotico avrebbe dovuto fra regredire l’infezione… Il quinto giorno invece, dopo un’ora di coma, Miki è spirato nella culla che avevamo allestito sul pavimento della cucina. Quando abbiamo capito che stava per lasciarci ci siamo stretti tutti intorno a lui, per accompagnarlo all’ultimo respiro con le nostre carezze.
C’è chi dice che i gatti siano animali selvatici, incapaci di stabilire un rapporto di affetto con noi: forse è vero per quelli che sono stati vessati e, a ragione, non si fidano degli umani. Ho udito persone affermare che i gatti sono animali senza personalità, che non ubbidiscono ai “padroni” e, per questo loro modo di essere, non riscuotono le stesse simpatie di cui godono i cani, non sono considerati “animali intelligenti”. Io credo, al contrario, che l’intelligenza del gatto non sia seconda a nessun altro animale, e che il fatto di non assecondare le stupide pretese di obbedienza di chicchessia, ne sia la prova più evidente.
Sento di essere in debito nei confronti dei gatti; qualcosa di simile a quello che hanno provato i Liguri al termine della seconda guerra mondiale, anche se per ragioni diverse. I vecchi sanno di cosa parlo, perché hanno vissuto quegli anni terribili in cui spesso si cenava con una zuppa di ortiche o qualche altra erba raccolta nei prati. Trovare qualcosa con cui alimentarsi era l’occupazione di un esercito di disperati che ogni mattina vagava per le spiagge, le strade e le campagne in cerca di cibo; in cerca di qualcosa da portare a figli sempre più magri, con gli occhi pieni di domande alle quali nessuno poteva rispondere. Era il tempo del pane nero e delle bucce di patata, quando la notte, se non erano le bombe a tenere sveglia la popolazione, lo facevano gli spasmi delle pance vuote. Era il tempo in cui non erano gli umani a dare da mangiare ai gatti ma il contrario…
Il mio debito nei confronti dei gatti è di natura diversa, perché ho avuto la fortuna di nascere in un periodo nel quale si può guardare senza sospetto quello che cuoce nella casseruola; il mio è un debito di riconoscenza per l’affetto che mi hanno regalato, per la silenziosa e discreta presenza con cui hanno condiviso i periodi più solitari della mia vita.
Per quella che è stata la mia esperienza con i gatti, non riesco a comprendere come sia possibile non essere affascinati dalla grazia delle loro movenze, dall’eleganza delle strategie di seduzione che mettono in atto per richiamare la nostra attenzione.
MiKi, a volte mi pare di vederlo giocare con un’oliva nel corridoio, che amava lanciare con un colpo di zampa e poi rincorrere, sbocconcellarne la polpa fino al nocciolo, che ci faceva trovare in cucina a testimonianza del suo apprezzamento. Al contrario di molti esseri umani dei quali ho pochi ricordi sfuocati, quella magnifica creatura è tuttora viva nella memoria. Affettuoso oltre ogni dire, mansueto, sempre pronto al gioco, a quasi quattro anni di distanza ne soffriamo ancora la perdita.
Sentimenti eccessivi per un gatto? Chi se lo sta chiedendo non ha capito niente della vita, non solo dei gatti.
Il secondo dei figli di Lilli che hanno allietato la nostra casa aveva 15 anni.
Riposa sotto un albero di ulivo.
Arvales presenta un nuovo intervento: Il gatto che amava le olive