Buongiorno da Andrea, vi parlo di un albero da frutto ed altri usi che troviamo ancora nelle nostre campagne; Il Gelso. La sua storia è strettamente legata a quella del baco da seta che, fino ad una cinquantina di anni fa, era allevato da molte famiglie contadine. Il baco da seta è infatti un bruco che si nutre esclusivamente con foglie di gelso. Da esse trae il nutrimento necessario alla crescita e alla produzione di circa un chilometro di filo di seta, con cui costruisce un involucro protettivo, chiamato bozzolo. Qui avviene la trasformazione del bruco in farfalla, sempre che l’uomo non lo raccolga prima per procurarsi il prezioso filo. Oggi però, in Italia, l’allevamento del baco è quasi scomparso, sebbene la nostra industria di lavorazione della seta abbia ancora il primato mondiale per quanto riguarda la qualità. È per via di questo allevamento che nei secoli scorsi il gelso era così presente in alcune regioni italiane. Introdotto dagli arabi, fino al Cinquecento era una coltivazione tipica del sud Italia poi, gradatamente, si diffuse fino alla pianura padana. Veniva piantato in lunghi filari disposti ai bordi dei campi ed era annualmente sottoposto a drastiche potature per la raccolta del fogliame da dare in pasto ai nuovi bachi nella tarda primavera. In questo periodo infatti si schiudevano le uova di baco, che i contadini facevano crescere su scaffali sovrapposti in un ambiente chiuso, ad esempio in casa, nella stalla o in un capannone. Ancor oggi si possono vedere alcuni vecchi gelsi capitozzati, cioè con il tronco tagliato a due o tre metri da terra, per poter raggiungere più facilmente i rami. Queste piante sono vere e proprie testimonianze di una agricoltura che non c’è più. Tra l’altro si trattava di un metodo, come dicono in Toscana, per “tenere i prati sugli alberi”, cioè per non sottrarre spazio alla coltivazione del grano, ed avere nello stesso tempo foraggio sufficiente anche al bestiame che, come il baco, può essere nutrito con le foglie di gelso. Attualmente, cessato il suo interesse economico, si sta riscoprendo il valore di questa pianta come albero ornamentale e dai frutti dolci e gustosi. In passato il gelso fu fortemente minacciato da un insetto parassita molto dannoso: la cocciniglia bianca del gelso e del pesco (Pseudaulacaspis pentagoni). Questo insetto proveniva dalle stesse zone di origine del gelso, l’estremo Oriente, e si era diffuso a dismisura in quanto, in Italia, non erano presenti i suoi naturali “antagonisti”, cioè gli animali che se ne nutrono. Un famoso entomologo (così si chiamano gli studiosi del mondo degli insetti), di nome Berlese, per sconfiggere la cocciniglia bianca del gelso introdusse in Italia un altro insetto a cui, in suo onore, fu dato il nome di Prospaltella berlesei. Depone nel corpo schiudendosi, queste danno vita alle larve che finiscono letteralmente coi divorare dall’interno il corpo dell’insetto ospite. La diffusione della prospaltella fu tanto efficace da ridurre notevolmente la presenza delle cocciniglie sui gelsi. E così la coltivazione di queste piante, e con essa l’industria della seta, furono salvate. Si tratta del primo esempio ben riuscito di lotta biologica. Questo tipo di lotta, davvero ecologica perché evita l’uso degli antiparassitari, ebbe in seguito un grande successo. Oggi infatti esistono addirittura le cosiddette biofabbriche, grandi allevamenti che sfornano, ogni anno, miliardi di organismi predatori o parassiti degli insetti dannosi alle piante coltivate.
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