di Flavia Busatta
CAPITOLO I: Gli apprendisti stregoni (parte 2)
La sparizione delle specie indigene e selvatiche vale tuttavia a senso unico, cioè solo per le popolazioni locali. Fin dal XVIII secolo gli ufficiali della marina inglese avevano l’ordine di prelevare campioni di piante ignote e di portarli nella madrepatria, ove venivano allevati nei Royal Botanic Gardens di Kew per studiarne le possibilità commerciali e un ordine analogo avevano gli ufficiali della allora neonata marina americana. Nel 1973 fu istituita una banca internazionale per la raccolta e la conservazione di semi dei tipi vegetali sparsi nel mondo, l’International Board for Plant Genetic Resources (IBPGR). Questa “banca” fa parte della F.A.O. e ha sede a Roma; essa ha il compito di elaborare un programma per la conservazione dei semi, unitamente all’addestramento del personale. Ma ovviamente anche le grandi trasnazionali hanno le loro banche: secondo la F.A.O. la United Brands (ex United Fruit) conserva circa i 3/4 delle varietà di banane esistenti. Queste banche dei semi private costituiscono la riserva genetica da cui le grandi compagnie traggono il materiale per le manipolazioni e la creazione di nuovi ibridi. La conservazione è comunque segreta e le compagnie, anche se richieste, non divulgano il tipo e la quantità di materiale genetico in loro possesso. Già nel 1990 Afghanistan, Egitto, Corea potevano ottenere semi di proprie varietà indigene tradizionali di frumento (Triticum) solo chiedendole agli Stati Uniti.
Tornando alla United Brands esemplificheremo cosa significa produzione attraverso ibridi genetici per incroci, cioè tramite processi in via di obsolescenza, una cosa che ci permette anche di capire perché i burocrati di Bruxelles sono ossessionati dall’angolatura delle banane.
La produzione più famosa della U. B. è la Chiquita Banana; essa veniva prodotta in questo modo per garantire la maggior uniformità possibile del prodotto. I fiori dei banani femmina venivano infilati in sacchi di plastica trasparente appena cominciavano a sbocciare e restavano chiusi fino a “maturazione”, in modo che nessun insetto potesse impollinarli con polline di selvatici; quando i tecnici stabilivano che era tempo, dai laboratori USA arrivava il polline dei banani maschi selezionati nelle serre della compagnia, i braccianti centroamericani “spennellavano” i fiori con polline D.O.C. e richiudevano il sacco. Il casco di banane cresceva già “imballato” e bastava solo tagliarlo e spedirlo.
Tutto questo fece un salto con lo sviluppo delle biotecnologie avanzate e la tecnica del DNA ricombinante, ma i capisaldi legali ed economici erano già stati posti nel 1961 quando nacque la Convenzione Internazionale per la Protezione di Nuove Varietà di Piante con cui si affermò l’esistenza dei “Diritti dei Creatori di Piante” (Plants Breeders Rights - PBR).
Il seme era visto soprattutto come un veicolo di biocidi e fertilizzanti, ma soprattutto esso veniva già trattato in modo da possedere qualità antiparassitarie che venivano introdotte sotto la forma dei cosiddetti “concianti”. L’introduzione di sementi ibride e di manipolazioni genetiche sul DNA unitamente all’introduzione di “royalties” sui nuovi ibridi sviluppati aumentarono a dismisura l’interesse delle “Sette Sorelle del Petrolio”1 e delle grandi della chimica e della farmaceutica. Tra il 1972 e il 1979 dei 562 brevetti rilasciati dall’ufficio Protezione delle Varietà Vegetali in USA, oltre il 46% erano a nome di 17 compagnie. Il mais, che è la coltivazione più importante degli Stati Uniti, vede i 3/4 delle vendite dei semi a beneficio di 4 compagnie: Dekalb, Pioneer, Sandoz; Ciba-Geigy. Tuttavia il leader mondiale del settore sementiero è la Shell che controlla 30 aziende in Europa e USA.
L’entrata delle Corporations nel mercato dell’ingegneria genetica trasformò i genetisti in procacciatori di profitto oltre che in scienziati. Le mutazioni “genetiche”, fino agli anni ’90, riguardavano soprattutto le qualità commerciali delle specie vegetali. Non tutti sanno che il pomodoro è protetto da circa una trentina di brevetti di manipolazione genetica per renderlo più resistente alle malattie del suolo (ma anche al maneggio delle macchine), più sensibile ad una vasta gamma di pesticidi e fertilizzanti artificiali, programmato per maturare uniformemente e a colorarsi nelle atmosfere di gas (S03 o altro) nei containers, e per giunta provvisto di una pelle resistente agli urti nel trasporto e sui banchi del mercato. Analogamente la patata ibrida preferita è la Idaho Baking Potato perché è la più adatta a trasformarsi in patate fritte e soprattutto, se fritta con l’olio di palma africana, dà il migliore “scrunch” testato sul mercato.
Con la palma da olio africana entriamo nel vivo della moderna biotecnologia: quella delle specie clonate.
I dieci comandamenti della produzione biogenetica di merci sono condensati nella sigla Y.U.P. (yield-uniformity-processing = produzione – uniformità – trasformazione). Per massimizzare lo Y.U.P. si possono utilizzare appunto le tecniche del rDNA che permettono di creare cellule completamente studiate a tavolino nelle loro possibilità in base alle esigenze del mercato. Tappa fondamentale dell’ingegneria genetica è stata l’identificazione con conseguente isolamento delle endonucleasi, enzimi capaci di tagliare in ben definite posizioni una molecola di DNA, e delle ligasi, enzimi che invece legano tra loro segmenti di DNA. Tramite le endonucleasi è possibile tagliare il DNA in corrispondenza di un gene (portatore di determinate caratteristiche) e successivamente purificare e isolare quel particolare segmento dal restante DNA. Le ligasi consentono di legare covalentemente tra loro nella sequenza voluta questi pezzetti di DNA e quindi di creare molecole di DNA totalmente nuove, non esistenti in natura.
Un modo efficace per indurre mutazioni genetiche controllate consiste nell’isolare geni o segmenti di DNA ed inserirli tramite vettori adatti (plasmidi, fagi o virus) in una cellula da modificare.
Il DNA ricombinante, o plasmide ibrido, può essere inserito in batteri o in lieviti con tecniche “in vitro” e può replicarsi nella cellula generando ibridi clonati; oppure può esprimersi e produrre le proteine da esso codificate.
Attualmente molte specie vegetali possono essere riprodotte per donazione su scala industriale a partire da cellule indifferenziate. Con la coltura di cellule vegetali è possibile riprodurre asessualmente colonie di piante tra loro assolutamente identiche e copie esatte dell’originale a partire da una sola cellula della pianta di origine. Con questa tecnica ad esempio si possono ottenere in 10 mesi 200.000 piante di banano assolutamente identiche a partire da un solo germoglio.
Tra le specie che vengono oggi coltivate da soggetti clonati vi sono: l’albero della gomma, l’avena, l’ananas, l’arancio, l’asparago, il banano, la barbabietola, il broccolo, la carota, il caffè, il cavolfiore, il cavolo, il cavolino di Bruxelles, la cipolla, il cotone, il cetriolo, il dattero, la fragola, il frumento, il girasole, il limone, il lino, il kiwi, la lattuga, il lampone, il mais, il mandorlo, la melanzana, il melo, il mirtillo, il melone, il noce, l’olivo, la papaya, la patata, il pepe, la palma da olio, la palma da cocco, la patata dolce, il pesco, il pomodoro, il pompelmo, il pisello, il rafano, il riso, il sedano, la soia, lo spinacio, il susino, il tabacco, la vite, il pino, l’abete e il pioppo, più numerose piante ornamentali.
Oltre alle colture in sé va anche tenuto presente che le cellule appartenenti ad un particolare tessuto svolgono specifiche funzioni biochimiche cui è associata la produzione di ben precise sostanze chimiche e che queste cellule, in opportune condizioni, mantengono la loro attività biochimica anche quando sono isolate dall’organismo vegetale di appartenenza, il che permette di ottenere grandi quantità di prodotti di interesse commerciale (esempio per uso farmaceutico o altro) da colture di cellule particolari. Queste “colture” sono possibili con cellule specifiche sia vegetali che animali.
Per quello che riguarda la possibilità di intervento sul DNA umano facciamo presente che a questo sono orientate tutte le majors della farmaceutica, ma che i numerosi esperimenti, per esempio tramite le staminali, sono orientati più a tecniche di controllo medico o demografico che alla produzione di esseri umani “golem”. Dobbiamo tener presente che l’eccesso di offerta di forza lavoro soprattutto dequalificata oppure obsoleta, in contrasto con le aspettative di “reddito” che essa nutre, pone problemi politici e sociali non indifferenti. Già il Rapporto Brundtland sottolineava come il peccato e la colpa consistesse nell’essere indigenti e stabiliva l’equivalenza povero = inquinamento. Pur essendo vero che gli esseri umani sono consumatori, di fronte alla crisi del villaggio globale il numero fa scadere la qualità. Così anche le ricerche commerciali sono sempre più orientate verso un concetto di qualità globale che posso riassumere nella figura del “cliente-servo” preconizzata da F. Pohl e C. M. Kornbluth, cioè nel consumatore che non può più mollare il suo fornitore, pena la morte neppure tanto metaforica.
La Shell, ad esempio, è sempre più orientata verso modificazioni genetiche del seme che forniscano alte rese solo se accoppiate a fertilizzanti e biocidi Shell, e così fanno anche le altre ditte. Chi non divenisse cliente globale si troverebbe subito a subire le perdite legate a un prodotto scadente e in minore quantità.
All’interno della bioingegneria entra ovviamente tutto lo sviluppo delle cosiddette “fattorie marine” in cui la produzione di alghe verdi tipo Chlorella acquista peso sempre maggiore.
I maggiori successi nel campo della clonazione attualmente sono stati quelli effettuati su bovini e ovini, dove è possibile suddividere la massa embrionale in gruppi di cellule che possono poi venir reimpiantati nell’utero di madri portatrici, dove quei nuovi embrioni continueranno il loro sviluppo. Il numero di individui identici ottenuti è limitato e comunque non si tratta di clonazione di un individuo, ma di un embrione le cui caratteristiche devono ancora manifestarsi.
Queste brevi osservazioni servono solo a dare lo scenario di insieme su ciò che esiste in produzione su scala di massa.
Certamente i bioingegneri ben più degli scienziati atomici sembrano oggi potersi fregiare del titolo di apprendisti stregoni, ma faremo bene a riconsiderare anche il mito del “naturale” così caro a vegetariani, ecologisti, alternativi ecc: fino a che punto possiamo parlare di alimenti o medicinali naturali, quando fin dagli anni Sessanta tutti i semi in commercio sono artificiali e prodotti per un certo sistema agro industriale e quelli indigeni sono o scomparsi o esistono solo nelle serre delle grandi multinazionali delle sementi? Forse è perché non sono i semi certificati dagli organismi internazionali che tutte le merci alternative e bioecologiche hanno un aspetto “sfigato”, ma attenti: poiché il naturista è un consumatore rispettabile in termini economici, alcune multinazionali hanno modificato geneticamente alcune varietà di frutta in modo che si presentino con bozzi e l’aria “bacata”, così da sembrare naturali!!
Note
1Le Sette Sorelle petrolifere erano Exxon (ex Standard Oil of New Jersey), Mobil (ex Standard Oil of New York), Standard Oil of California, Texaco, Gulf Oil, Royal Dutch-Shell e British Petroleum. Di esse le prime cinque erano di origine americana e le prime tre appartenevano alla famiglia Rockefeller, la Gulf ai Mellon, la Shell era anglo-olandese e la BP britannica a partecipazione statale. Oggi le Sette Sorelle sono diventate le Big Four. Nel 1984 la Gulf Oil Co fu assorbita dalla Standard Oil of California mentre nel 2001 la Texaco si fuse con la Chevron per diventare la Chevron Texaco. Nel 1999 la Mobil si fuse con la Exxon dando la ExxoMobil; la fusione tra Exxon e Mobil ha un significato particolare nella storia americana, perché ha riunito le due principali compagnie (la Standard Oil Company of New Jersey, progenitrice della Exxon e Standard Oil Company of New York, da cui è nata la Mobil) che formavano il trust Standard Oil di J. D. Rockefeller e che erano state divise dalle leggi antitrust di Theodore Roosevelt. La ExxonMobil è, riguardo a fatturato, profitti e capitalizzazione di borsa, il più grande ente privato al mondo e supera così le altre tre Big Four del mercato petrolifero mondiale: BP, Total e anche la principale concorrente Shell, che però è leader mondiale nel mercato delle sementi. Alle Big Four vanno aggiunte le grandi compagnie nazionali di stato che hanno fatturati molto maggiori come Saudi Aramco, la Kwait Petroleum Company e ad altre compagnie nazionali.