Il gene dell’immortalità 4

Creato il 03 febbraio 2014 da Davide

Capitolo II :Volevamo stupirvi con effetti speciali (parte 2)


di Flavia Busatta

La Bioremediation è una tecnica che utilizza batteri e altre tecnologie biologiche per trasformare scarichi e contaminanti in materiale non più tossico.
L’essenza della bioremediation è semplicemente quella di ottimizzare la capacità dei microrganismi di degradare dei contaminanti fornendo loro i mezzi vitali minimi (nutrienti inorganici, acqua, ossigeno) e minimizzando lo sforzo abiotico. La metabolizzazione dei contaminanti avviene normalmente in 3 modi:
1) Per reazione diretta di degrado per assimilazione (ad esempio beta-ossidazione degli alcani, apertura enzimatica degli anelli aromatici).
2) La produzione di esoenzimi omeostatici.
3) Il cometabolismo che consiste nella rottura delle sorgenti primarie di carbonio in unione alle trasformazioni casuali degli inquinanti.
Frequentemente, la degradazione di composti tossici, richiede una serie di eventi metabolici concertati che coinvolgono numerose specie di batteri o l’insieme delle interazioni tra batteri e funghi.
Un ideale sistema di bioremediation dovrebbe quindi ottimizzare il più possibile, alle condizioni necessarie per i gradi di metabolizzazione individuale che si verificano. L’efficacia del biotrattamento è limitato a fattori come:
1) La difficoltà di isolare le popolazioni microbiche adatte e di mantenerle a livello funzionale nel sito di reazione.
2) La difficoltà di minimizzare le interazioni competitive e le predazioni.
3) I problemi del controllo della fugacità o della parziale trasformazione dei composti (volatilizzazione, lisciviazione) che possono solo parzialmente detossificare o aumentare la tossicità.
4) La difficoltà di ottenere range di concentrazione di inquinanti, accettabili.
5) La regolazione di parametri come il contenuto di acqua, la distribuzione dei nutrienti il gradiente di ossigeno, la temperatura, il pH.
Una complicazione esterna può sussistere considerando la difficoltà di analizzare e interpretare i dati chimici analitici nelle miscele inquinanti complesse e i prodotti di degradazione nell’ambiente.
La presenza di composti organici tossici e cancerogeni nel territorio è in continua crescita in ogni parte del mondo. È stato stimato che più di 70000 reagenti chimici sono usati negli USA e che più di 3000 nuovi composti sono introdotti annualmente. La grande varietà di sintesi, le purificazioni, il trasporto e il conseguente utilizzo di questi materiali provvedono ad amplificare le opportunità per il loro rilascio nell’ambiente, senza contare lo “storico” aumento del carico di contaminanti pirogenici, a causa dell’autotrazione o delle sorgenti energetiche industriali. La presenza di queste complesse miscele nell’aria, nell’acqua e nei sedimenti ha gravi effetti ecologici. Negli ultimi anni la richiesta di abbattimento dell’inquinamento e del recupero territoriale è salita a dismisura, così come la produzione di scarti trattabili.
Il campo è veramente vasto, noi qui tratteremo solo due esempi che possono essere significativi anche nell’ottica dei problemi ambientali in Italia.
La presenza di specie microbiche (funghi, protozoi e particolari batteri) in ambienti estremi è un fatto noto, come è ampiamente documentata, la gamma di strategie metaboliche impiegate da tali microrganismi in questi ambienti. In generale i microrganismi mostrano piccoli cicli cellulari (20-500 min.), alte percentuali di mutazioni e scambi genetici (plasmidi, coniugazione, virus fagi, trasferimenti abiotici) sempre tra ceppi altamente dissimili. Queste peculiarità, in aggiunta alle piccole dimensioni, permettono un buon sviluppo di detossificazione e l’instaurarsi di strategie cometaboliche che permettono loro la vita in sistemi inospitali: gli ambienti acidi per solfuri termali, il permafrost antartico, i detriti ipersalini anaerobici, ecc.
Gli assembramenti microbici sono anche in relazione agli assembramenti degli inquinanti ambientali, come le perdite di petrolio1 , le miscele di idrocarburi clorurati e i rifiuti pirogenici.
E’ bene qui ricordare che ci sono centinaia di batteri, archeobatteri e funghi che possono degradare il petrolio. Molti idrocarburi del petrolio sono biodegradabili in condizioni aerobiche anche se alcuni composti come resine, molecole polari, asfalteni e opani (triterpeni) hanno velocità di biodegradazione quasi impercettibili. I greggi leggeri2, contenendo idrocarburi leggeri, sono più facilmente biodegradabili dei greggi pesanti che contengono idrocarburi pesanti. I composti aromatici policiclici (PAH) sono un componente minore dei greggi petroliferi, ma sono tra i composti più tossici per gli animali e la maggior parte delle piante. I batteri tuttavia convertono i PAH completamente in biomasse, CO2 e H2O, ma essi usualmente richiedono una iniziale aggiunta di O2 tramite enzimi diossigenasi. La digestione anaerobica degli idrocarburi petroliferi avviene anch’essa anche se con velocità ridotta come tutti i processi anaerobici. Gli idrocarburi petroliferi possono essere biodegradati da temperature sotto gli 0° fino agli 80°. I microrganismi richiedono anche altri elementi oltre al carbonio per la propria crescita. Le concentrazioni di questi elementi – soprattutto nitrati (NO3 -), fosfati (PO43-) e ferro (Fe) – possono limitare la velocità della biodegradazione del petrolio. Fornendo adeguate quantità di queste sostanze in modo da ottenere rapporti adeguati con la quantità di carbonio fornita dagli idrocarburi (rapporto C/F/N) si possono controllare le velocità di biodegradazione e pertanto la persistenza di potenziali minacce all’ecosistema.
Ricercatori della Luisiana State University3 trovarono batteri e, in minoranza, funghi e protozoi in sedimenti contaminati con alti tassi intrinseci di idrocarburi aromatici policiclici (PAH),composti aromatici azotati (NCAC) e tracce di metalli. Si venne a concludere che i composti nelle miscele inquinanti con strutture chimiche in relazione ai precursori biochimici o agli intermedi (alcani, indoli, composti pirimidinici, chinoni, fenoli e idrocarburi a basso peso molecolare) possono essere metabolizzati rapidamente e efficacemente dalla microflora indigena. Reagenti chimici con strutture non correlate a substrati tipici (idrocarburi clorurati con alto peso molecolare, composti altamente azotati e PAH (Polycyclic aromatic hydrocarbon)4 o NCAC (Nitrogen-Containing Aromatic Compound) ad alto peso molecolare) richiedono:1) acclimatazione e adattamento5della popolazione nel consorzio indigeno; 2) importazione e proliferazione di microrganismi alloctoni capaci di degradare o modificare la struttura chimica dei composti per creare prodotti a struttura chimica più semplice disponibili alle specie indigene; 3) la somma delle due cose. In altre parole non è che un microrganismo ingerisca una molecola complessa per esempio un idrocarburo complesso e espella Acqua e CO2 + energia (che sono i risultati finali della demolizione), ma vi è tutta una catena alimentare di microrganismi che porta a tale risultato finale.
Il caso che prenderemo in esame riguarda la bonifica di Old Inger a Darrow, Louisiana, una cittadina sulla riva ovest del Mississippi dove era presente uno stabilimento petrolchimico; l’area interessata era a vocazione agricola e copriva 14 acri (5, 67 ettari) in una zona di estuario coperta da paludi e lagune. Nel 1978 vi fu uno sversamento di grandi quantità di fanghi e sedimenti contenenti scorie petrolifere su un’area di 16 ettari compresa la zona paludosa delle lagune. Gli stessi sedimenti e miscele oleose di rifiuto dello stabilimento Old Inger furono analizzate e rivelarono una composizione chimica analoga a quella dei materiali processati nell’impianto: raffineria primaria, olio per autotrazione o macchinari, lubrificanti. Fu confermata la presenza di Toluene, Benzene, Xilene e PHA (Idrocarburi Aromatici Policiclici), fenoli metalli pesanti in quantità superiori alle centinaia di ppm (mg/Kg) fino ad arrivare a 5700 ppm.
Tradizionalmente in situazioni dove grandi quantità di terra sono contaminate e la contaminazione è nello stesso tempo vasta ma diluita i costi maggiori nascono dalla necessità di concentrare gli inquinanti attraverso mezzi chimico fisici o meccanici. Questo comporta non solo la necessità di sollevare una grande quantità di terreno inquinato tramite scavo (con il pericolo di una contaminazione dell’atmosfera tramite polveri), ma anche la necessità di trasportare altrove grandi quantità di terreno inquinato, aumentando i rischi di contaminazione. Questo rende la bonifica di grandi aree non solo un affare estremamente costoso, ma anche estremamente pericoloso. In Italia “inspiegabilmente” questo è tuttavia il metodo che viene ancora utilizzato anche per piccole aree inquinate, oppure come a Porto Marghera si usa mettere il suolo inquinato (dopo averlo scavato dal sito) dentro strutture imballanti (per semplificare brutalmente, ma rendere l’idea, lo si avvolge in un po’ di domopack spesso) e si seppellisce il cadavere come vuoto a perdere per le future generazioni in profondità; il maquillage termina ricoprendo con uno strato di humus la “tomba” e piantandovi sopra degli alberi, meglio degli alberelli, con radici non molto profondo per evitare che forino il rivestimento del materiale inquinato rendendo inutile la bonifica. Nel caso della Old Inger si tentò un approccio nuovo, ovvero trattare in situ i sedimenti contaminati tramite microrganismo appositi su terreni su sedimenti e sabbioso argillosi . L’esperimento svolse anche esaminare quanto la portata di PAH (i composti più nocivi tra gli inquinanti e i meno biodegradabili) venisse ridotta tramite metabolizzazione da parte sia di microrganismi indigeni che di microrganismi geneticamente modificati in base alle tecnologie disponibili nel 1986. La microflora indigena inoculata (bioaugmentation) con un inoculo di colture in vendita commercialmente note per la loro capacità di ridurre i PAH.
Alla fine dell’esperimento si osservò che sia gli idrocarburi che i PAH furono degradati ma in modo diverso. Gli inoculi commerciali mostravano una spiccata attività con aumento della degradazione nei primi 14 giorni per poi calare e mantenersi costante fino alla degradazione dei PAH. La flora indigena invece mostrava una fase di acclimatazione di circa 14 giorni, ma poi seguiva una fase di sostanziale aumento del tasso di degradazione. In entrambi i casi indigeni o commerciale) alla fine dell’esperimento, dopo 35 giorni di monitoraggio, si notò una diminuzione si 4 – 9 volte nella concentrazione di PAC. Poiché la degradazione dei PAH da parte di microrganismi può portare a prodotti intermedi di maggiore nocività di quelli di partenza, l’esperimenti permise di notare che in entrambi i casi vi era stata una diminuzione della tossicità delle frazioni solubili in acqua WSF (Water Soluble Fractions) e che non sussistevano aumenti passeggeri di nocività.
Industrialmente il fatto che i microrganismi indigeni raggiungano gli stessi livelli di riduzione dei PAH rispetto a quelli modificati è importantissimo in quanto in una bioremediation su larga scala, se il tempo non è un fattore cruciale, il costo effettivo e l’efficienza vanno a favore degli inoculi autoctoni.
In seguito a questo esperimento l’EPA dispose una serie di misure e di trattamenti per decontaminare il sito tra questi NON erano compresi lo stoccaggio di fluidi contaminati in pozzi profondi (per motivi di costi), lo stoccaggio off sito (per i costi e in quanto una soluzione non definitiva), l’interramento in situ (per la possibilità di un maggior inquinamento se gli argini cedessero), nessuna azione (per i danni alla salute e all’ambiente)6. Nel sito dopo il trattamento è stata ristabilita la vegetazione e la zona è stata dichiarata zona di conservazione faunistica (wildlife conservation area).
Il secondo esperimento che tratteremo qui è quello dell’uso di pioppi geneticamente modificati per il trattamento di suoli contaminati da inquinanti organici in particolare il tricloroetilene (TCE).
Il tricloroetilene, volgarmente chiamato trielina, è tra i più comuni inquinati del suolo e delle acque sotterranee; essendo un ottimo solvente esso è stato impiegato per decenni (fino agli anni Settanta) nell’industria alimentare per estrarre oli vegetali da semi, nella decaffeinizzazione del caffè, e fino agli anni Cinquanta come solvente per il lavaggio a secco dove è stato sostituito dal tetracloroetilene. Per via della sua tossicità e cancerogenicità è stato bandito fin dagli anni Settanta dall’industria farmaceutica e alimentare. Per fare un esempio il TCE si trova nel 50% dei siti prioritari per la bonifica degli USA.
“Nella Pianura Veneta, così come avviene in molte aree industrializzate è particolarmente grave il problema dell’inquinamento da solventi organo-alogenati; problema ormai noto dalla metà degli anni’70, Questo inquinamento è localizzato sia in alcune parti dell’acquifero indifferenziato che caratterizza l’alta pianura veneta, sia in aree dell’acquifero multifalde presente nella media pianura veneta, dove interessa anche falde confinate a profondità di 200 m.[…] Su 38 casi di inquinamento da “sorgente puntuale” censiti, ben 25 sono dovuti a solventi organo-alogenati e in particolare ai seguenti composti: tricloroetilene (trielina), tetracloroetilene (percloroetilene) e 1,1,1 tricloroetano (metilcloroformio)”7. L’eliminazione del TCE è prioritaria in quanto sospetto cancerogeno, sospetto facilitatore del morbo di Parkinson e anche per il fatto che il suo prodotto di decomposizione il Cloruro di Vinile8(CVM) è ancora più tossico. L’USEPA stima che bere 1 ppm di TCE per l’arco di una vita può causare il cancro in 32 persone su 100.000, mentre l’ingestione di 1 ppm di CVM nell’acqua per una vita causa 9.570 casi di cancro ogni 100.000 persone.
Il TCE tende a penetrare nel suolo attraverso piccole aree come contenitori, tubi o discariche che perdono e che poi diffonde nelle zone non sature del suolo. Poiché il TCE è più denso dell’acqua si concentra in piccole pozze di contaminate sul fondo delle falde acquifere ed è difficile estrarlo. Il metodo tradizionale per la rimozione del TCE consisteva nel rimuovere il suolo contaminato re trasportarlo agli inceneritori dove era bruciato, o pompando in superficie l’acqua contaminata e facendo passare attraverso filtri a carboni attivi. Entrambi i sistemi sono estremamente costosi e l’incenerimento del TCE, se mal condotto può portare alla produzione di diossine.
Negli anni Ottanta la Phytoremediation si fece largo come una proposta per eliminare la contaminazione da TCE. La Phytoremediation usa le piante per rimuovere degradare e stabilizzare i contaminanti nel suolo e nell’acqua. Nel caso della TCE le piante di maggior interesse furono gli ibridi di pioppo (Populus trichocarpa o pioppo californiano o pioppo nero x Populus deltoides o pioppo deltoide) e del Eastern Cottonwood (Populus deltoides nella variante nordamericana) in quanto piante freatofite, ovvero piante le cui profonde radici estraggono acqua dalla falda acquifera. Un dato di ulteriore interesse era dato dal fatto che i pioppi sono piante che crescono velocemente e che hanno dimostrato di saper catturare il TCE sia dal suolo che dall’acqua. Studi in planta alla University of Washington condotti in laboratorio, in serra e su campi controllati per studiare tramite colture axeniche9 le capacità metaboliche del pioppo ibrido P trichocarpa x P deltoides line H11-11 in assenza di suolo, flora micorrizia o attività microbica. Cellule axeniche di pioppo furono incubate con TCE e del metil-t-butil etere fu usato per estrarre i metaboliti dalle cellule per le analisi chimiche. Le analisi mostrarono la presenza di tricloroacetaldeide (cloralio), tricloroacetato, dicloroacetato e tricloroetanolo negli estratti delle celle di piante esposte al TCE. Questi composti erano stati identificati nei mammiferi e nei batteri come metaboliti ossidativi del TCE, per cui i ricercatori ipotizzarono che simili attività di ossigenasi avvenissero anche nelle cellule dei pioppi. Successivi studi in piante trattate con TCE mostrarono significativi livelli di TCE nei fusti, ma scarsi nelle foglie. Le radici mostravano concentrazioni di metaboliti di acido di- e tri-cloroacetico. In conclusione gli studi dimostrarono che i pioppi ibridi erano capaci di assumere, immagazzinare, mineralizzare e traspirare il TCE. In campioni su suolo e trattati con acque contaminate con TCE (15 ppm circa, ovvero livelli molto maggiori di quelli considerati accettabili per l’acqua potabile) si notò che le cellule erano in grado di rimuovere il 99% del TCE aggiunto durante la stagione della crescita. Meno del 9% era traspirato nell’atmosfera durante il secondo e terzo anno di crescita e che lo ione cloro si accumulava significativamente nel suolo, suggerendo che la declorurazione era un altro fato del TCE. Queste indicazioni che i pioppi ibridi erano efficienti nella distruzione del TCE fu di grande interesse per il Department of Defence (DoD) in quanto il TCE è uno dei maggiori inquinanti dei siti di test militari e nei poligoni di tiro. Il DoD fornì numerosi siti per ulteriori test. Nel sito di Aberdeen Proving Grounds in Maryland i pioppi furono piantati con la funzione di pompe idrauliche secondo un disegno che cercasse di prevenire che il TCE si diffondesse verso una palude vicina. Nel sito navale di Ft. Worth, Texas, il più grande sito di dimostrazioni militari, fu invece piantato l’Eastern Cottonwoods (Populus deltoides= per trattare la contaminazione da TCE in una piuma di falda acquifera sotterranea posta alla profondità di 1,2 – 2,5 metri.
Il successo del pioppo come estrattore di TCE e agente di phytoremediation stimolò gli studi a migliorarne l’efficienza attraverso manipolazioni genetiche. Venne creato un pioppo transgenico da un ibrido di pioppo (Populus tremula x Populus alba) modificato geneticamente con il citocromo presente nei mammiferi P450 2E2 (CYP2E1) per valutare se fosse possibile aumentare la capacità dell’ibrido di degradare il TCE in superficie dato che in precedenti ricerche questo pioppo transgenico aveva mostrato un metabolismo notevolmente aumentato verso vari contaminanti organici10. Test per il degrado del TCE furono fatti sia in laboratorio che su campo. I pioppi transgenici CYP2E1 mostrarono una spiccata degradazione del TCE in campo anche se non nelle proporzioni osservata negli studi in laboratorio. Il totale del TCE rimosso fu del 87% nel CYP2E1 nei test beds (un test bed conteneva 12 pioppi transgenici), del 85% nei wild beds (i wild beds contenevano 12 pioppi ibridi selvatici) e del 34% nel bed test di controllo (unplanted) durante la stagione di crescita del 2012. L’evapotraspirazione del TCE attraverso le foglie dell’ibrido transgenico era ridotta del 80& e la diffusione del TCE dal fusto dell’ibrido transgenico era ridotta del 90%. Gli ioni cloruro accumulati nella zona vadosa del suolo di entrambi i test beds piantumati era approssimativamente corrispondente con la perdita di TCE il che suggerisce che la dealogenazione sia il destino della perdita primaria. L’applicazione del modello a regime ha mostrato che la aumentata velocità del metabolismo nelle radici di r2E1 è insufficiente per ottenere una significativa assunzione di TCE sul campo.
Questi studi mostrarono che una certa differenza tra i risultati ottenuti dalle piante transgeniche in laboratorio e quelli ottenuti su campo che se certificò che la phytoremediation del TCE era aumentata dagli ibridi transgenici r2E1.
Ovviamente le ricerche procedono sui pioppi e numerose altre piante.

-segue-

note
1 Il petrolio greggio, o meglio, i composti presenti nel petrolio greggio sono prodotti naturali derivati reazioni chimiche avvenute su da alghe acquatiche, e plancton (zooplancton e fitoplancton) tra i 180 e gli 85 milioni di anni fa in condizioni particolari di temperatura e pressione (profondità). Il petrolio greggio viene classificato in base al contenuto di idrocarburi alifatici e aromatici e di composti organici solforati. Queste composizioni danno greggi di differenti qualità, per esempio greggi “leggeri” o greggi “pesanti”. Il petrolio sfugge regolarmente nell’ambiente dai suoi giacimenti sotterranei (sono famosi gli esempi dei “giacimenti” di petrolio a vista dell’Iran, citati da Erodoto e Marco Polo, e del Texas/Oklahoma le pozze puzzolenti dove il bestiame non voleva abbeverarsi); nello specifico per esempio fessure naturali sul fondo marino del Golfo del Messico fanno fuoriuscire 42 milioni di galloni di petrolio nelle acque del Golfo ogni anno. Queste emissioni naturali che avvengono da milioni di anni, ben prima che gli esseri umani cominciassero a trivellare il petrolio, hanno permesso la nascita e l’evoluzione di una sana popolazione di batteri che hanno la capacità di usare gli idrocarburi come sorgente di carbonio e di energia per la propria crescita.
2 Il petrolio grezzo è una miscela di idrocarburi che può presentare una serie di caratteristiche fisiche e chimiche molto diverse a seconda della provenienza. In genere si presenta allo stato liquido, ma alcuni grezzi contengono tali quantità di paraffine ad alto peso molecolare da essere solidi a temperatura ambiente. Il colore del petrolio può variare dal bruno chiaro (senape) al nero a seconda dalla lunghezza delle catene idrocarburiche e con esse del peso molecolare. Analogamente variano densità e viscosità. Commercialmente i grezzi sono classificati in base alle alla loro composizione misurata anche tramite la densità in gradi API o API Gravity (API = American Petroleum Industries) in Light Crudes (API > 38), Medium Crudes (38>API>29), Heavy Crudes (29>API>8,5), Very Heavy Crudes (API<8.5), o in base alla composizione in “paraffinici” (alcanici), “naftenici”(cicloalcanici), “aromatici” (aromatici), “paraffinico-naftenici”, “aromatico-naftenici”, “paraffinico-aromatici” e “asfaltenici” (cicloalcanoidi) e la conoscenza del giacimento di provenienza permette di sapere di quale tipo di grezzo si sta parlando. Il Brent è un petrolio greggio leggero (LCO, con APY gravity di circa 38,06), ma meno leggero del West Texas Intermediate, dolce (ovvero con bassa percentuale di zolfo (circa lo 0,37%) costituito da una varietà di miscele di greggio estratte dal mare del Nord. Deve il suo nome alla Shell Oil Co sul Brent Goose, acronimo per definire gli strati del campo petrolifero (la composizione di un greggio varia a seconda dello strato da cui viene estratto): Broom, Rannoch, Etieve, Ness e Tarbat. Esso è uno dei tre petroli più quotati (benchmark) che sono il North America’s West Texas Intermediate Crude (WTI), il North Sea Brent Crude, e il UAE Dubai Crude; i prezzi dei benchmark sono usati come barometro per l’intera industria del petrolio, benché in totale vi siano 46 paesi chiave esportatori di petrolio (http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_crude_oil_products).
3 Catallo, J. W. and R. P. Gambrell. “The effects of high levels of polycyclic aromatic hydrocarbons on sediment physicochemical properties and benthic organisms in a polluted stream.” Chemosphere, 1987, 16:1053–1063.
4 Tra i PAH o Idrocarburi Aromatici policiclici più famosi abbiamo il naftalene, l’antracene, i vari isomeri del benzopirene, il benzoantracene. I PAH sono noti per le loro proprietà cancerogene, teratogene e mutagene.
5 Acclimatazione = il tempo o ritardo durante il quale gli organismi indigeni acquistano l’abilità di degradare nuovi composti. Adattamento = è quella modificazione delle caratteristiche di un microrganismo che facilita l’aumento della abilità nel sopravvivere e nel riprodursi in un particolare ambiente.
6 http://www.epa.gov/region6/6sf/pdffiles/old-inger-la.pdf
7 http://www.progettazioneambientale.it/Articoli/Inqui_pv.PDF, p.30.
8 Il famigerato Cloruro di Vinile Monomero è stato l’inquinante sotto accusa nei processi al Petrolchimico di Porto Marghera ed è noto per causare l’angiosarcoma del fegato, un tumore primario del fegato.
9 Relativo a una coltura priva di flora estranea.
10 Doty, S. L.; James, C. A.; Moore, A. L.; Vajzovic, A.; Singleton, G. L.; Ma, C.; Khan, Z.; Xin, G.; Kang, J. W.; Park, A. Y.; Meilan, R.; Strauss, S. H.; Wilkerson, J.; Farin, F.; Strand, S. E., “Enhanced phytoremediation of volatile environmental pollutants with transgenic trees.”, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 2007, 104, (43), 16816-16821.

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