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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
DAL ROMANZO AL FILM
Giorgio (L. Capolicchio) e Malnate (F. Testi) sono tra i pochi frequentatori della casa dei Finzi Contini, aristocratica famiglia ebraica che vive in una lussuosa villa di Ferrara circondata da un vasto giardino. Alberto ama la bella Micol, la quale pur volendo bene Giorgio non esita a concedersi a Malnate. La dolce vita dei Finzi-Contini e le pene d’amore di Giorgio sono interrotte dalla seconda guerra mondiale e dalla politica di discriminazione razziale.
Il giardino dei Finzi-Contini, romanzo del 1962 dello scrittore bolognese Giorgio Bassani è stato non poco osteggiato alla sua uscita da diversi esponenti nella Neoavanguardia italiana che consideravano l’opera costruita attraverso una manovra palesemente ideologica che mira ad un trattamento preferenziale dell’io narrante, ovvero di Giorgio, il protagonista della storia. Una storia di amore (tra Micòl e Giorgio) e di salvazione (quella di Giorgio, la cui buona e cattiva coscienza è incarnata dallo sguardo decadente rivolto al passato dei ricchi Finzi-Contini e da Malnate, amico della famiglia, con le sue scelte politiche e di vita).
Ma se Bassani ha potuto consolarsi con il successo del suo romanzo, contando su una buona parte di estimatori, ben poco ha potuto di fronte alla sceneggiatura del film diretto nel 1970 da Vittorio De Sica, sceneggiatura, stesa da Pirro e Bonicelli, che ha suscitato un fortissimo dissenso nello scrittore, il quale ha chiesto ed ottenuto che venisse tolto il suo nome dai titoli di coda della pellicola. I motivi di tale conflitto sono presto detti: diversamente dal romanzo, il film non utilizza la tecnica dell’Io narrante e si chiude con l’episodio della deportazione mentre Bassani aveva fatto fuggire Giorgio in tempo all’estero, per poter raccontare e rievocare i fatti e la storia della sua giovinezza e del suo amore non corrisposto, a distanza di 14 anni.
È lo stesso Bassani ad esprimere il resoconto della travagliata vicenda della trasposizione filmica del suo romanzo nel 1970 sull’<<Espresso>> con il titolo eloquente de Il giardino tradito: il progetto di rispettare i due differenti piani temporali, il passato (attraverso dei flashes in bianco e in nero) e il presente non era stato tenuto in considerazione, secondo Bassani, da Ugo Pirro. La sceneggiatura di Pirro, in effetti, è instradata in fatti su un solo piano temporale, quello del passato e ha l’effetto di ridurre l’importanza e il significato del ruolo del protagonista; secondo lo scrittore infatti l’attore Capolicchio compie il suo dovere <<ma il film, incerto sempre se rappresentare la storia d’amore tra lui e Micòl, o se dare un quadro documentario dell’Italia mussoliniana alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, o se descrivere le persecuzioni antisemitiche attuate dal fascismo, ne fa un personaggio sbiadito, minore, di nessun rilievo morale>>. E nel romanzo Bassani usa anche mezzi “sleali” per elevare moralmente Giorgio, facendo terra bruciata intorno agli altri personaggi e rendendo funzionale al processo di salvazione dell’io narrante persino il problema ebraico.
Bassani protesta anche contro la rappresentazione del padre di Giorgio proposta sul grande schermo, il quale viene fatto partire per i campi di sterminio nazisti dopo aver detto alla bella Micòl che Giorgio si era salvato.
Le incongruenze e le approssimazioni del film sono evidenti, come una certa freddezza che pervade l’illustrativo e smorzato film. Ma il lavoro di De Sica, al quale non può essere fatta una colpa (come del resto nemmeno a Bassani se non si è riconosciuto nella trasposizione cinematografica) se ha voluto realizzare un’ opera autonoma, ha anche dei meriti, uno su tutti quello di aver proposto uno spettacolo nuovo, per nulla volgare o kitsch come è stato ingiustamente definito, attraversato da una luce crepuscolare che nasce proprio dai sentimenti di speranza (e di inganno) di Giorgio e Micòl. In fondo i protagonisti del film subiscono un estraniamento che si avverte nelle pagine del romanzo, i personaggi di Bassani sono dei fantasmi di un passato perduto, (e in quanto ebrei, avvertono ancora di più lo sradicamento, la perdita di identità), la loro quotidianità fatta di piccole cose si scontra con la grandezza della Storia.
Il regista ha cercato di bilanciare l’ambiguità e la nostalgia dei personaggi con la storia d’amore, con gli eventi storici che trasformano tutto in tragedia, e con le ragioni commerciali. Ne è emerso un film più che decadente, neoromantico, dipinto ad acquerello dove l’ineluttabilità del destino opprime la vita dei personaggi, incapaci di vivere la realtà; De Sica dà maggiore spazio alla splendida protagonista, l’unica che capisce davvero cosa avverrà di li a poco, la cui relazione con Malnate risulta poco credibile. Nonostante i suddetti difetti che però non bastano a decretarne la stroncatura, Il giardino dei Finzi-Contini si è aggiudicato l’Oscar per il miglior film straniero nel 1971 e altri numerosi premi e nominations.
Il giardino dei Finzi-Contini
Anno: 1970
Regia: Vittorio De Sica
Cast: Lino Capolicchio (Giorgio), Dominique Sanda (Micòl Finzi-Contini), Helmut Berger (Alberto Finzi-Contini), Fabio Testi (Giampaolo Malnate), Romolo Valli (padre di Giorgio).
Sceneggiatura: Vittorio Bonicelli, Ugo Pirro.
Fotografia: Ennio Guarnieri
Musiche: Manuel De Sica
Produzione: Gianni Hecht LucariI, Arthur Cohn per DOCUMENTO FILM ROMA, CCC FILMKUNST (BERLINO)
Distribuzione: TITANUS- MONDADORI VIDEO, SAN PAOLO AUDIOVISIVI (IL GRANDE CINEMA), DE AGOSTINI
Paese: Italia
Durata: 93 Min