Sì, cari lettori, siete avvertiti: dietro il fascino di questi viali e lo splendore della vicina Porta di Brandeburgo si annida l’appassionante rappresentazione della progressiva discesa verso l’abisso di un’intera nazione.
Un racconto che l’autore Erik Larson riesce a rendere inaspettatamente intimo e coinvolgente grazie al punto di vista adottato. Lontano dall’accademismo e dall’elenco di nomi ed eventi famosi, Il Giardino delle bestie vede muoversi a Berlino, tra 1933 e 1934, un padre e una figlia. Non due persone qualsiasi, certo. Eppure due individui sorprendentemente normali, semplici e profondamente umani: l’ambasciatore americano William E. Dodd e sua figlia Martha.
Per tutte queste ragioni il ruolo dell’ambasciatore statunitense a Berlino era delicato ed essenziale e doveva essere ricoperto da una figura di spicco, dotata di grande carisma e polso fermo. Il presidente Roosevelt tentennò diversi mesi e alla fine optò per un oscuro professore di storia dell’università di Chicago. Dodd aveva sessantaquattro anni, era un fervente assertore dei più puri ideali democratici, incarnati da Jefferson e amava smodatamente la sua rustica casa di campagna. Sua figlia Martha era una giovane donna appassionata, piena di vitalità e di leggerezza, con una lunga lista di spasimanti e amanti, destinata ad allungarsi sempre di più e il non troppo segreto desiderio di dedicarsi alla scrittura. Il loro arrivo a Berlino fece alzare più di un sopracciglio all’interno dell’ambasciata: Dodd mirava a contenere le spese e ad ergersi a vessillo dei principi americani, Martha si tuffò subito nella bella vita berlinese.
All’epoca Berlino era bella, ricca e in piena fascinazione per il nazismo, fascinazione che Martha finì col condividere. Sembrava che la Germania dovesse rinascere, esaltata dalla gioventù ariana e dalla ripresa economica. Ma gli stessi affascinanti soldati con cui Martha ballava fino a tarda notte coprivano i pestaggi e le brutalità delle SA verso i suoi compatrioti. E l’industria tedesca si convertiva al militare, preparandosi alla guerra di conquista già bramata da Hitler.
Larson segue questi due personaggi storici dal loro arrivo a Berlino fino al punto di non ritorno della Notte dei lunghi coltelli, la tremenda purga operata da Hitler per disfarsi dei personaggi sgraditi. Ma quel che conta davvero è il resoconto della loro vita berlinese, delle loro amicizie e conoscenze più o meno illustri, della fascinazione e dell’amara disillusione.
Larson è veramente abile nel rendere l’atmosfera sospesa della Berlino dell’epoca: il mostro in agguato dietro l’angolo, la tensione crescente, il soffocante senso di pericolo e accerchiamento. Politica, diplomazia e quotidiano, mese dopo mese si intrecciano sempre più strettamente: Dodd e la sua forse ingenua purezza, Martha con il suo amante dell’ambasciata russa, la Germania sempre più preda volontaria del nazismo.
Si ritrova in queste pagine la rievocazione delle luci e delle ombre della Berlino di allora.
Quando si chiude Il Giardino delle bestie si prova un grande senso d’impotenza al pensiero di quanto le nazioni si siano lasciate ingannare da Hitler, scegliendo di aspettare fino a quando non è stato troppo tardi. Ma si ripensa anche con affetto a chi è passato attraverso quegli anni, mantenendo gli occhi bene aperti e la testa alta, a Dodd e ai suoi infruttuosi tentativi di smuovere l’amministrazione americana e a Martha che cercava ostinatamente la felicità. E poiché non si può cambiare il passato, non resta che tenere noi stessi gli occhi bene aperti e ringraziare Erik Larson per aver riscoperto e piacevolmente narrato questo angolo di storia dimenticato e importante.