In articoli precedenti, pubblicati da questo blog, ho presentato alcuni argomenti tratti da “Sardegna l’isola felice di Nausicaa”, volume che illustra la potenza nuragica nel Mediterraneo attraverso la rilettura delle fonti antiche paragonate con altre discipline scientifiche come l’archeologia, l’antropologia e la morfologia del territorio.
La ricostruzione dello scenario politico-economico del Mediterraneo esistente nell’Età del Bronzo, comprendente anche la Sardegna nuragica, proietta, come ipotizzo nei suddetti articoli, gli antichi Sardi in Egitto e nel Vicino Oriente (conosciuti come SRDN), nell’isola di Creta e in Anatolia (conosciuti come Cari-Fenici) e nella Grecia continentale (conosciuti come Pelasgi-Tirreni).
Ora, accettando l’esistenza, nel versante occidentale del Mediterraneo, di una cultura nuragica capace di competere con le maggiori potenze orientali nella navigazione, nelle costruzioni, nella produzione di manufatti in bronzo e nelle arti, è del tutto verosimile che tali potenze conoscessero la Sardegna e i Sardi in modo diretto o indiretto.
Mi riferisco in particolare ai Greci della cultura micenea, i quali testimoniano, tramite la tradizione orale messa per iscritto ad iniziare da Omero, dell’esistenza di una lontanissima isola felice che, a dispetto dei differenti nomi, risulta sempre collocata ai confini del loro mondo conosciuto, nel mare Oceano e al tramonto del sole. Tutte le narrazioni riferite a quest’isola felice la descrivono con ammirazione e con punte di struggente nostalgia, tanto è vero che il luogo diventa una delle mète favorite per i grandi eroi e per alcune divinità.
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Nella foto: Lekythos pestana a figure rosse rappresentante il giardino delle Esperidi, attribuita al ceramografo di Asteas, 350-340 a.C. (J. Paul Getty Museum – Los Angeles)