“Guarda. Entra. Scegli. E spera che non ti costi troppo” (Il giocattolaio – Stefano Pastor)
È il romanzo uscito vincitore della passata edizione di “Io Scrittore”, concorso nel quale l’autore si è distinto per la sua comprovata bravura. Pastor, nato a Ventimiglia e residente a Ferrara, infatti, è conosciuto nel mondo del web come un autore prolifico del genere horror-thriller, avendo ottenuto numerosi riconoscimenti in altrettanti concorsi.
La perdita dell’innocenza, bambini che devono crescere in fretta e “forzatamente”, tematica cara a Stephen King, ritorna spesso nelle opere di Pastor. Ma ne “Il giocattolaio” l’indifferenza degli adulti ed il loro distacco dal mondo dei bambini, che ormai costituiscono due universi paralleli e inconciliabili, assume un tono doloroso, commovente come se l’autore volesse unire la tensione tipica del romanzo thriller e la favola. In copertina una bambola, che a prima vista mi ha ricordato, anche se in versione più “pacata”, la bambola assassina dell’omonimo film del 1988 di Tom Holland, chiamata Chucky.
Qui il viso, in primo piano, è disteso, quasi assente, con l’occhio azzurro vitreo, senza vita né pulsioni, siano esse di qualunque genere. Poi ho guardato meglio. Mi sono presa il mio tempo. Aprendo la copertina e stendendo la figura, in fondo, compare solo quello che potrebbe essere un bambino, ferito e spaesato. Un cucciolo di uomo considerato a tutti gli effetti come fosse un bambolotto senz’anima. In questa storia ho ritrovato alcune fiabe, come per esempio “Pollicino” oppure “Hansel e Gretel”, in cui bambini abbandonati dai genitori vengono messi alla prova: riusciranno da soli a cavarsela e a sopravvivere?
Alcuni bambini sono infatti scomparsi di recente in questo paese depresso ed incolore, quasi regnasse un’energia malefica, nascosta fra i grandi palazzi abbandonati. Gli adulti rimangono in secondo piano, ai limiti del dramma. Essi avvertono la paura del mostro, ma sono personaggi marginali, concentrati su loro stessi e sui loro problemi. Tutti tranne uno. Colui che ha conservato un animo puro di bambino, una sorta di eterno Peter Pan.
È l’agorafobico titolare di un banco di pegni, pieno zeppo di giocattoli, che sembra essere il solo a riuscire a comprendere i desideri e le paure del mondo dei piccoli. Quando uno dei bambini scomparsi viene ritrovato ucciso e barbaramente torturato, il pregiudizio del “diverso” prenderà il sopravvento, e l’intera città sarà pronta a puntare il dito proprio su “Peter”, identificandolo con il mostro. Il piccolo Massimo si rende conto che la prossima vittima designata sarà proprio lui, ma è consapevole che nessuno possa aiutarlo, quasi dovesse compiersi un destino crudele ed ineluttabile.
Il lettore rimane “inchiodato” alla scena, quasi fosse al cinema. Il libro si legge tutto d’un fiato, nonostante si componga di quasi quattrocento pagine, poiché subentra, da subito, la voglia di voler sapere che cosa ne sarà dei protagonisti. Tutti i personaggi sono accomunati da una profonda solitudine, che forse diventa il vero demone da sconfiggere. Essi sono in balia di eventi che appaiono più grandi di loro. Il loro scopo è quello di riuscire a sopravvivere, in un modo o nell’altro, scoprendo che l’unione fa la forza e che insieme, si può fronteggiare ogni cosa.
Pastor non ha bisogno di dare troppe spiegazioni. I tasselli del mosaico vanno a posto a mano a mano che la storia si dipana, e questo significa che ci troviamo davanti ad un libro scritto bene. E mentre tutti siamo consapevoli di quanto difficile e lento sia il mondo delle adozioni, ecco che la favola, quando ormai nessuno più se l’aspettava, ricompare. Eviterò di svelare particolari che potrebbero rovinare la lettura.
Essendo io da sempre una lettrice appassionata di thriller, mi limiterò a dire che non ho riscontrato nessuna differenza fra quest’opera scritta da un autore esordiente, e quelle composte dai “grandi” del genere. Peculiarità davvero rara. Trama e personaggi sono ben strutturati, la conclusione non è affatto scontata, successi derivati anche dalla grande naturalezza con cui l’autore materializza le sue scene. Terminare questo libro mi è dispiaciuto.
E mentre già sento che quei personaggi, ormai diventati “amici”, mi mancheranno, vorrei complimentarmi con l’autore. Spero di poter leggere al più presto un’altra delle sue avvincenti storie, come lo è stata per me questa de “Il giocattolaio”.
Written by Cristina Biolcati