BERGAMO - "I due dna trovati non sono di Yara, dei suoi familiari e di nessuno dei profili in mano alle forze dell'ordine". Lo ha detto il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura. Quindi, allo stato, si tratta di tracce di sconosciuti.
I due segni genetici, un dna maschile e uno femminile, "sono stati trovati su due dita di un guanto che si trovava in una tasca dei vestiti di Yara". Lo ha detto stamani il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni. E' stato precisato anche che nessuna traccia è stata trovata sulla batteria del telefonino.
UCCISA SUBITO DOPO LA SCOMPARSA - Yara Gambirasio "é stata uccisa subito dopo la scomparsa, nell'arco di qualche ora. E c'é alta probabilità che sia morta nel luogo dove è stata trovata". Lo ha detto stamani il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura. Ma, ha aggiunto, non si sa se la tredicenne "sia stata ferita lì".
NON C'E' NOVERO PERSONE SU CUI INDAGARE - In tre mesi non c'é un novero di persone su cui concentrare le indagini in merito al caso di Yara Gambirasio. Lo ha detto il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura, rispondendo con un secco "no" alla domanda posta da un giornalista.
LUNGA AGONIA E FORSE MORTA DI FREDDO - Secondo quanto emerso nella conferenza stampa di oggi, in Procura a Bergamo, Yara Gambirasio ha subito una lunga agonia prima di morire. E nelle incertezze sulla causa della morte si fa avanti l'ipotesi che possa essere stata abbandonata ferita nel campo di Chignolo dove e' stata trovata, e poi morta di freddo.Il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, rispondendo alla domanda di un giornalista sull'ipotesi che Yara abbia avuto una breve agonia, ha risposto con un secco "no" scuotendo emblematicamente più volte la testa. E, nella ricostruzione delle cause della morte, che non sono note, non ha escluso che la tredicenne "sia morta di freddo". Gli inquirenti, infatti, al momento non sono in grado di sapere se chi l'ha aggredita l'abbia anche uccisa o abbandonata magari in stato di incoscienza e ferita, non lasciandole comunque scampo. L'unica certezza è che i primi esami medico-legali hanno confermato che "nessuna delle lesioni riscontrate ha provocato la morte" anche se possono aver "concorso" al decesso.
La vicenda della povera Yara diventa sempre più drammatica. Che Yara fosse non fosse morta per i colpi inferti lo aveva già fatto capire la dottoressa Letizia Ruggeri, il pubblico ministero, la quale ha detto: «le lesività non indicano una chiara volontà omicidiaria. Non si capisce con che logica siano state fatte, se per tramortire, uccidere o solo ferire».Era ovvio da questa frase che stesse dicendo che Yara era morta assiderata. Ma voleva dire anche altro, cioè che l’assassino forse l’ha creduta morta quando l’ha lasciata nel campo. Vi sono elementi che conducono a credere che le persone fossero due: non alludo al dna o alle diverse armi , ma proprio nella logica delle cose. Vediamo di capire…
RAPIMENTO: in questa fase non possiamo stabilire se gli aggressori fossero due oppure uno solo. Non ci sono elementi perché non sappiamo assolutamente nulla della dinamica. Conosciamo l’ora e il luogo, e nemmeno di questi siamo sicurissimi. Comunque, approssimativamente, le 18:45 in via Morlotti, subito dopo che Yara lascia la palestra.
UCCISIONE: apparentemente sembrerebbe opera di una sola persona poiché le ferite da taglio appartengono a una singola arma. Il corpo contundente provoca un’unica lesione a livello del capo. Forse la tramortisce, forse no. Facciamo due simulazioni: un solo assassino, due assassini.
Una sola persona aggredisce Yara, lei si difende, cerca di scappare, ma l’offender è più veloce, la ferma con delle pugnalate alla schiena. Si spezza la lama, oppure, perde l’arma per cui utilizza un oggetto casuale. In ogni caso, se le ferite da taglio non sono così profonde da provocare un’emorragia massiva, pugnalate e colpo contundente avvengono in rapida successione.
Due persone aggrediscono Yara: la prima con il coltello, però, questa, nonostante le ferite inferte non riesce ad avere la meglio su Yara per cui interviene l’altra che ferma l’azione della ragazzina colpendola con un oggetto contundente.
Dove è avvenuta l’aggressione? Nel campo, nel cantiere, in altro luogo, sull’automezzo? Continuo a pensare che tutto sia avvenuto sul mezzo perché le ferite non sono profonde. Nell’area ristretta dell’abitacolo l’arto non poteva estendersi al massimo delle possibilità per cui non accumulava abbastanza energia cinetica da scaricare colpi violenti e profondi. La stessa cosa dicasi per il colpo contundente. Ecco perché le ferite non sono risultate mortali. Il fatto stesso che si riscontrano lacerazioni sui pantaloni e non sul giubbino mi fa pensare che Yara non era né sdraiata né in piedi.
Se fosse stata sdraiata perché le ferite dovevano attingere alle gambe? Semmai al petto. E come avrebbe fatto a girarsi e dunque ricevere i colpi sulla schiena? Ha ricevuto colpi sui polsi, da difesa, dunque l’assassino la sovrastava con il pugnale. Come poteva Yara tentare una fuga? Ecco perché hanno pensato che avesse colpito il suo aggressore nelle parti basse. Da sotto avrebbe vibrato un colpo a livello dello scroto per cui l’aggressore sarebbe risultato temporaneamente fuori combattimento. Yara dunque si sarebbe girata per tentare di sollevarsi ma l’altro sarebbe riuscito a colpirla alla schiena. Tuttavia, se fosse avvenuto ciò, e fosse avvenuto nel campo o in altro luogo all’aperto, avremmo trovato gli abiti tutti inzaccherati. Ma gli abiti non erano sporchi o lacerati dal contatto con un terreno duro o con pietrisco.
Yara non poteva neanche essere in piedi perché non avrebbero avuto significato le pugnalate sulle gambe a meno di credere che ad un certo punto sia caduta e l’aggressore l’abbia colpita dove ha potuto. Inoltre, in questo caso, non si capiscono neppure le ferite a livello lombare. Anche in questo caso dobbiamo pensare che Yara sia caduta e lui l’abbia colpita mentre era a terra. Ma ritorniamo al punto di partenza: i vestiti non ci dicono che ci sia stato un contatto violento con il terreno. Comunque, sia in piedi sia sdraiata, la maggior parte delle ferite dovevano ritrovarsi semmai sul davanti.
Rimane un’unica possibilità: Yara era seduta sul sedile dell’automezzo. Probabilmente quello dietro. Cosa è accaduto? Forse alle prime avance dell’aggressore, o alla richiesta di restituire il cellulare, o alla stessa vista del coltello, Yara reagisce con l’istinto della paura, si rattrappisce con le spalle verso lo sportello, inizia a difendersi come può: parando i colpi sia con le mani sia con le gambe. Sicuramente ha colpito il suo aggressore perché fa in tempo a girarsi per aprire lo sportello, forse riesce persino ad aprirlo, e in questa posizione che si solleva il giubbino e lascia scoperto i lombi che verranno attinti dal coltello. Il colpo contundente potrebbero essere stato dato dallo sportello che le viene chiuso violentemente sul capo dall’altra persona che temendone la fuga la ferma come può. Oppure, questi, vista la malaparata del suo complice, scende dall’auto, si procura un oggetto e mentre Yara sta per uscire la tramortisce. Sarebbe interessante sapere quale regione del capo è stato raggiunto da questo colpo. Nel momento in cui Yara stramazza, l’altro ferma la sua azione con il coltello. Fermiamoci un attimo a pensare. I vestiti non si sporcheranno di terra, non si lacereranno con il pietrisco perché non c’è nessun pietrisco, niente fango: siamo a bordo del mezzo. Durante la lotta si sgancia il reggiseno.
OCCULTAMENTO: se prendiamo per buono che Yara non è stata pugnalata nel campo, per le ragioni su specificate, dobbiamo capire come l’assassino abbia potuto portare il corpo. Non ci sono segni di trascinamento, dunque lo ha sollevato da solo senza trasportarlo per le braccia. Però la posizione finale del corpo ci indica chiaramente che le braccia sono state utilizzate come mezzo per il trasporto. E in questa fase che si rende più chiara la presenza di una seconda persona. Se le braccia non indicano un trascinamento devono indicare per forza un sollevamento, questo conduce inevitabilmente a due soggetti. Da questa fase finale risaliamo a quella iniziale: il rapimento. Yara sarebbe mai salita su un auto con due persone a bordo? Io penso proprio di no. Ma l’esame del dna indica due soggetti, di cui uno femminile. Ragioniamo un po’ su questo dna.
Viene rinvenuto su due dita di un guanto che era nelle tasche di Yara. Sinceramente dubito molto che in questo caso quei dna appartengano agli aggressori. Perché su un guanto sì e l'altro no? E quale guanto, poi? Il destro o il sinistro? Non potrebbe quel dna appartenere a persone alle quali Yara ha dato la mano? Difatti, non trovo nessun senso logico nel fatto che gli assassini si siano pesi la briga di infilare i guanti nel giubbino. Molto più facile pensare che sia stasa la stessa Yara a farlo prima che venisse rapita, poiché dopo essere salita a bordo perché avrebbe dovuto farlo, e se anche l'avesse fatto, una volta risposto in tasca i guanti, come poteva il dna degli aggressori finire nelle sue tasche? L’unica possibilità è che Yara abbia dato la mano ai suoi carnefici prima di salire in auto. Ma se questo dna non appartiene a gente vicino a lei perché avrebbe dovuto dare la mano a due illustri sconosciuti?A meno che questo dna ha qualche caratteristica particolare per cui non può che essere degli aggressori. Ma se non lo è, loro lo sanno poiché ricordano di non aver mai toccato i guanti.
Allora chi ha rapito Yara; un uomo solo, una coppia, o due complici? Io sono propenso a pensare a due persone.
Rivediamo la dinamica:
Due persone decidono di sfidare la società con un gioco a somma zero: ovvero con un solo vincitore, essi stessi. Pensano di rapire una ragazzina e sanno già che non farà più ritorno a casa. Questo gioco lo hanno studiato a tavolino. Non sanno chi sarà la vittima. I due si appostano in via Morlotti o passano di lì proprio mentre Yara esce dalla palestra. Le ragazzine entrano ed escono accompagnate dai genitori. Yara invece, siccome abita vicino, va da sola verso casa. Prende il cellulare, vede il messaggio dell’amica, risponde, nel far ciò bisogna che si tolga i guanti e lì ripone temporaneamente nelle tasche del giubbino. Fa in tempo a inviare l’sms all’amica che i due la rapiscono costringendola a starsene accucciata immobile sul sedile posteriore.
Girano per via Locatelli, fanno la strada meno frequentata, evitano la rotatoria di via Tresolzio, per cui imboccano via Giulio Terzi di Sant’Agata. La loro intenzione non è quella di andare troppo lontano, come non è quella di abusare della ragazzina in una zona all’aperto. Essi hanno una meta precisa che è il cantiere di Mapello, come tutti e quattro i cani molecolari, ma soprattutto l’ultimo, hanno evidenziato. È nel cantiere che le cose precipitano poiché non hanno calcolato la reazione di Yara. Quando la ragazzina emerge dal fondo del sedile posteriore dove l’hanno costretta a stare, vede il coltello, si spaventa, è terrorizzata, si rannicchia su se stessa e comincia a difendersi con i piedi. L’altro, che era insieme a lei seduto sul divanetto, a sua volta reagisce e inizia a brandire il pugnale cercando di colpirla. La ferisce ai polsi e alle gambe, forse alla gola, ma egli stesso deve soccombere per la violenta reazione di Yara che riesce a tramortirlo con un colpo al viso per cui la sua azione offensiva per un momento cessa. Yara cerca una via di fuga, si allunga, piega il busto, nel far questo il giubbino le si alza sulla vita, sta per uscire ma l’altro è più lesto e la ferisce ai lombi. Intanto, anche il complice ha ripreso il controllo della situazione e in qualche modo ferma la fuga di Yara: o con un oggetto contundente o colpendola violentemente con lo sportello. Yara a questo punto sviene. I due sono presi dal panico. Decidono in fretta e in furia dove portarla. Si dirigono verso via Bedeschi. Non la lasciano nel cantiere. Ovunque sia stata colpita Yara essi non la lasciano lì ma la portano in via Bedeschi. Come mai? Il luogo dell’aggressione potrebbe collegarli a loro. Non c’è altra spiegazione. O meglio ce ne sarebbe un’altra: Yara ha urlato e loro temono che qualcuno abbia potuto sentire e quindi aver avvisato i carabinieri. Meglio sloggiare al più presto.In via Bedeschi parcheggiano in una zona poco illuminata, prendono Yara per le gambe e le braccia. La reputano morta poiché non si muove più. La lasciano sul campo e vanno via. Il freddo intenso, lo strazio dei colpi, il tramortimento, uccidono Yara. Forse il gelo accelera la coagulazione del sangue per cui dalle ferite sgorga poco sangue. Nella lotta Yara ha perso il cellulare che forse in qualche modo si è aperto. Se questo fosse accaduto in una zona aperta non avrebbero potuto ritrovare la sim e la batteria. E comunque, se ciò fosse avvenuto nel campo di via Bedeschi perché prendersi al briga di riporre questi oggetti nello zainetto di Yara? Lo fanno perché la manovra dello smontaggio del telefonino, casuale o voluta, avviene sull’automezzo mentre questi è in marcia, per cui per essere sicuri che nulla rimanga a bordo, ripongono il tutto nello zainetto. Se non ci sono impronte digitali sulla sim e sulla batteria perché dovremmo averli lasciati sui guanti? E se hanno riposto tutto nello zainetto perché i guanti li avrebbero messi nella tasca del giubbino? Non ha senso. I guanti li ha messi lì la stessa Yara. Per cui, ripeto, spero di sbagliarmi, quel dna non appartiene ai suoi aggressori.
I due aggressori sono alla loro prima esperienza. Sono giovani. L’uno più dell’altro se uno dei due potrebbe essere il dominate, colui che ha deciso tutto. Conoscono tutti i luoghi del dramma: la palestra, il cantiere e via Bedeschi. In questo momento sono molto nervosi, si sentono il fiato addosso, il loro aspetto è trascurato. Siccome le cose sono precipitate, il piano è saltato, per cui non sanno se qualche elemento potrebbe ricondurli a loro. Ecco la ragione del nervosismo.Ripeto, non so quale valenza abbiano dato al dna ma se non vi è certezza che si tratti di quello degli aggressori, cercherei due uomini e non una coppia.Non esiste nessuna pista satanica: i colpi a X sono stati inferti in modo casuale mentre Yara provava a scappare.