Un crescendo demoniaco che mixa un sistema bancario sbriciolato con un Papa che scomunica la repubblica di San Marco e la perdita in battaglia di quasi tutta la terraferma. Una spossante altalena che vede Venezia riprendersi un po’ del tutto perso per ritrovarsi senza scomunica e senza fiato, rinata per l’ennesima volta ma irrimediabilmente indebolita.
Questi sono gli anni in cui si muove il Giorgione misterioso.
Frequenta il circolo di intellettuali che ad Asolo dà lustro alla corte di Caterina Cornaro.
Giorgio da Castelfranco, detto Zorzon perché grande nel fisico e nello spirito, nativo di Castelfranco Veneto (1477 circa) ebbe come maestro il più grande del tempo, Giovanni Bellini, in una Venezia dove passano tutti i migliori, finanche Leonardo. Ma mentre per Bellini tutto è pervaso di sacralità, Giorgione affronta temi laici ambientati in una natura sufficiente a se stessa che ospita personaggi terreni. Singolarmente, lo fa per conto di un ristretto giro di affezionate committenze private che con lui concordano soggetti e significati. Lui, più enigmatico di Leonardo, dipinge da filosofo, crea scenari carichi di allegorie precristiane con un rimando ai classici che pare una forma di contestazione verso la chiesa del tempo, duramente impegnata a perseguire esoterismo e pratiche alchemiche. Via via appronta i suoi capolavori senza fare uso di disegni preparatori, andando a definire un tonalismo fatto di sovrapposizioni e velature che raffigura per masse di colore più che per linee.
Nonostante la morte lo abbia colto giovane (1510) e non avesse una sua bottega, Giorgione lasciò due eccezionali allievi ad alimentarne il ricordo, Tiziano e Sebastiano del Piombo. Portato via dalla peste entra nel mito e vi rimane tuttora.
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