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“Il giorno degli eroi” di Guido Sgardoli e “Una rosa in trincea” di Annamaria Piccione.

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

ilgiornoeroi

Recensione di Fulvia

Gli anniversari e le commemorazioni stanno diventando sempre di più una ghiotta occasione per sfornare libri a tema, con la speranza di suscitare interesse nelle scuole, che con tutti i loro limiti (di formazione del corpo docente, di badget, di aggiornamento delle biblioteche…) restano ancora una fetta di mercato appetibile e in una certa misura “sicura”.
Non potevano quindi mancare i libri sul primo conflitto mondiale, di cui quest’anno si ricordano i cento anni dell’entrata in guerra dell’Italia.
La retorica patriottica ha da tempo lasciato spazio alle considerazioni sull’atrocità e l’insanità di una guerra lunga e logorante, che costò all’Europa milioni di vittime, soldati per lo più. Soldati improvvisati, che erano e rimanevano povera gente, la maggior parte contadini, perché il nostro era ancora un paese prevalentemente rurale.
E due giovanissimi contadini sono i protagonisti di altrettanti bei romanzi per ragazzi su questo argomento: Il giorno degli eroi (Rizzoli) di Guido Sgardoli e Una rosa in trincea (Paoline)di Annamaria Piccione.
Potremmo definire le due storie complementari per l’approccio geografico: Silvio è l’eroe veneto di Il giorno degli eroi, cresciuto a polenta e fede robusta, con il fronte a pochi chilometri da casa e i duelli aerei sopra la testa mentre Peppino, protagonista di Una rosa in trincea, è invece nato e cresciuto nelle campagne intorno a Palazzolo, in provincia di Siracusa, e la guerra la conosce solo dalla scarne notizie dei giornali e dal vuoto che si crea tra gli amici più grandi di lui partiti per il fronte. Entrambi smaniano per arruolarsi: Silvio per emulare le gesta del fratello maggiore, Peppino al contrario per salvare il fratello maggiore, che ha un figlio piccolo e un altro in arrivo.
Silvio è uno di quei famosi ragazzi del 1899 mandati al macello appena diciottenni nell’ultimo anno di una guerra infinita, mentre Peppino, grazie al suo fisico prestante, finge di essere il fratello e si ritrova in trincea appena sedicenne, con una rosa sul cuore dono di una giovane che gli vuole bene e che lo proteggerà dai pericoli.

Con entrambi i romanzi si rivivono tutte le fasi del conflitto: i primi tentennamenti del governo italiano, l’entrata in guerra a fianco delle potenze fino a poco prima nemiche, l’addestramento sommario dei nuovi arrivati, il fango, la fame, il freddo e i pidocchi della trincea, la solidarietà tra commilitoni, l’importanza delle lettere a casa.
Di tutti gli aspetti forse quello che più indigna il lettore, è la crudeltà degli alti ufficiali che non esitano a fucilare non solo i disertori ma anche coloro che rientrano in ritardo da una licenza, che di fronte alle disfatte, causate soprattutto da errori strategici, accusano di codardia quei poveri soldati devastati dalle privazioni e che non comprendono le ragioni di quella guerra. E in entrambi i romanzi ha un ruolo cruciale una tregua di Natale tra i fronti opposti, che rievoca un episodio davvero accaduto nel primo Natale di guerra tra francesi e austriaci. .

Una delle differenze, invece, tra i due romanzi è il target di riferimento.
Una rosa in trincea si colloca all’interno di una collana, Il parco delle storie, divisa per fasce di età. Immagina un pubblico che va dagli 11 ai 13 anni, e scandisce la narrazione con un’alternanza di tempo presente (per la vicenda di cornice: una coppia di cugini tredicenni in visita ai nonni siciliani) e passato (per la storia vera e propria: quella del bisnonno Peppino, sviluppata a partire da una serie di vecchie fotografie).
Pur con un esordio molto drammatico (una scena di guerra forte e dolorosa durante una delle tante battaglie catastrofiche per l’esercito italiano), vengono risparmiati ai lettori i particolari più duri, e non manca il più classico dei lieti fine.

Il giorno degli eroi – che ha un target di young adult, quindi dai 13 anni in su – non concede facili speranze. Ci fa conoscere, attraverso il punto di vista di Silvio, una vita povera ma in una certa misura serena, con i riti della campagna, le gioie semplici all’interno di una famiglia già provata dai lutti e dalle privazioni, ma solida e unita. Le certezze si sgretolano tutte, scandite dai titoli del Corriere della sera. Cadono le bombe dal cielo e la patria si rivela una matrigna, che non protegge i suoi figli, ma ne chiede solo il sangue.
Silvio lentamente acquisisce una nuova consapevolezza, e con lui i suoi compagni. E le schermaglie tragicomiche della vita in trincea sono forse la parte più bella del romanzo, con quel sapiente mescolarsi di dialetti stretti: il veneto, il bolognese, il calabrese, la nostalgia per i propri cari, e il desiderio feroce di essere tra i quattro su dieci che a ogni assalto, secondo le statistiche, sopravvivono. Con il bolognese, detto Rame, che porta sul petto il cartoncino della moglie con scritto FERMATI.

Non c’è retorica in quell’essere eroi. Non certo per la “patria” (ma qui non vi svelerò il perché), ma per l’umanità, avendo scelto di essere persone e non pedine di un gioco infinito, quello che vuole in ogni tempo e in ogni luogo, uomini divisi da trincee scavate nella terra o trincee ideologiche, ma pur sempre uomini che si tolgono la vita.

Una curiosità: entrambi gli autori hanno scritto della propria terra essendo Sgardoli di Treviso e Piccione di Siracusa.

E infine una doverosa citazione per le belle tavole a fumetti di Roberto Lauciello, che arricchiscono Una rosa in trincea di particolari visivi sulla storia di Peppino e della sua rosa e sulla grande Storia.


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