IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato
puntata numero 5
Il Matto
Non riesco a capire dove mi trovo, e a quest’ora sarà difficile incontrare qualcuno per chiedere informazioni. E’ l’una passata, e mi sento letteralmente stordito dagli ultimi avvenimenti e dall’alcool ingurgitato. Non riesco a riconoscere queste strade, il quartiere cittadino che sto attraversando.
A quest’ora dovrei essere a letto, a sognare di Giulio e, invece, come lui vago, incerto, per i vicoli della Città Eterna. E’ successo tutto troppo in fretta, e dopo non ho trovato di meglio che entrare in un bar ed attaccarmi alla prima bottiglia. Dovevo, in qualche modo, diluire il caos dei miei dubbi, disperdere la nebbia inquietante delle sensazioni di morte e dissoluzione che obnubila la mia psiche. Ora che mi gira la testa, è inutile proseguire e mi siedo sul gradino di una vecchia bottega. Sento il brontolio sordo di un animale, alla mia destra. Alzo lo sguardo e vedo un enorme gatto bianco che soffia, minaccioso, a qualche centimetro dal mio viso. Mi alzo, barcollando: sembra deciso ad aggredirmi. Che sia rabbioso? Mi allontano, camminando ancora alla luce dei lampioni. La bestia mi segue, gli occhi gialli fissi su di me. Avrei voglia di correre, ma sarebbe ridicolo. Cerco di scalciarlo, ma, mezzo brillo come sono, perdo l’equilibrio e vado a sbattere goffamente contro il muro. Il gatto reagisce, furibondo, aggrappandosi alla mia gamba con gli artigli delle quattro zampe. Cerco di liberarmene ma non molla la presa e sento le sue unghie lacerare la stoffa dei pantaloni ed arrivare alla pelle. Che belva è questa? Sento un dolore lancinante: sta mordendo il polpaccio. Lo prendo dal collo, con la destra, e stringo. Per respirare, è costretto ad aprire la bocca e si aggrappa al mio braccio, che ruoto violentemente, mandando a sbattere l’animale contro il muro tre, quattro volte. Finalmente, lascia la presa e cade a terra, immobile. Mi volto per andarmene e mi trovo davanti un uomo, che fissa il gatto.
- Brutte bestie, i gatti, bestie pericolose… - mormora, forse solo a sé stesso.
- Forse era rabbioso… Dovrò farmi vedere al pronto soccorso. – rispondo, lieto d’aver trovato qualcuno che possa aiutarmi a ritrovare la strada.
- E’ vero, amico mio: si direbbe che sei ferito, oltre che ubriaco… Barcolli, eh? – ridacchia lo sconosciuto, annusando rumorosamente il mio alito…
- Eppure – riprende – dall’aspetto non sembri un disperato, e nemmeno un barbone abituale! – si china ad esaminare la mia gamba – Sì, la bestia t’ha graffiato e morsicato ma non era rabbiosa.
- Come fai a saperlo?
- Non aver paura – risponde, convinto – e in ogni modo, le ferite vanno medicate subito. Vieni a casa mia, tanto abito qui vicino! – ed indica il palazzo alla mia destra.
Non posso far altro che accogliere la proposta e lo seguo… Solo ora riconosco via Cavour. Mi sembrava d’aver camminato per ore, invece sono a pochi passi dalla Questura.
- Mi chiamo Sirio – si presenta il mio compagno di strada che non ha smesso un attimo di parlare dal momento in cui ci siamo incontrati.
- Ed io Mario Bersani. Piacere di conoscerti… anche se, ti avverto, stasera ho avuto qualche problema con la polizia!
- A me, la polizia non piace granché… Ma pensiamo prima alle tue ferite, poi, se vuoi, mi racconterai la tua storia.
- Dovrei forse andare al pronto soccorso…
- Caro amico, che tu creda o no, nonostante il mio aspetto, sono laureato in medicina! Eccoci arrivati.
Svoltiamo in una via laterale e ci fermiamo davanti una porticina dipinta di verde: probabilmente, l’entrata d’un piccolo magazzino seminterrato.
Sirio estrae una chiave dalla tasca dei pantaloni sdruciti e fa scattare la serratura; entriamo nell’oscurità più totale. Sento il mio ospite muoversi di qualche passo e dopo qualche secondo, accende una candela. Siamo in una sorta di deposito da rigattiere, abbastanza vasto e pieno delle più svariate cianfrusaglie, ma anche di vecchi mobili, materassi legati, ed oggetti metallici anneriti dal tempo. In un angolo, una brandina ed una dispensa.
- Chiudi la porta, per cortesia! – chiede Sirio, mentre continua ad accendere candele, sparpagliate un po’ ovunque. Il fumo va a disperdersi da piccole bocche d’areazione che si aprono all’altezza del marciapiede nella via laterale.
- Dobbiamo sbrigarci a medicare le tue ferite perché hai perso poco sangue, e questo è male!
Mi fa stendere sulla brandina, stranamente pulita, mentre inizia a sghignazzare.
- Li rubo! – dice poi, al culmine dell’ilarità.
- Cosa?
- I ceri e le candele. Li rubo nelle chiese. I preti s’infuriano ma sono costretti a rimetterne altri, che io rubo ancora. Per i candelabri è lo stesso.
- Mi pare che qualcuno sia d’oro.
- L’oro non m’interessa! A me, i candelabri servono per reggere le candele. Ora, vediamo la tua gamba: il pantalone, ormai, è rovinato… - e così dicendo, strappa la stoffa fino all’inguine e si mette ad esaminare le mie ferite molto attentamente, ed anch’io lo guardo meglio.
Sirio è un uomo dall’età apparente di quaranta-quarantacinque anni, basso, corpulento, con il viso tondo e rosso forse per il gran bere. Indossa abiti puliti ma lucidi per il troppo uso, sotto un grembiule nero. Solo i capelli lunghi ed arruffati, nell’insieme, lo fanno somigliare ai mendicanti che s’incontrano per strada. Ma potrebbe dare l’idea di un grande uomo ridotto in miseria per gli accidenti del destino, ancora traboccante d’energia e spirito d’iniziativa.
- Hai la macchina, qui vicino?
- L’ho lasciata vicino alla Questura, se ricordo bene. Pensi debba andare in ospedale? Non potresti darmi un passaggio?
- Ti pare che uno come me possa avere un’automobile?! Io vivo d’elemosina! – ribatte, quasi offeso – E per te, una passeggiata è l’ultima cosa che ci vuole, in questo momento.
- Questa è la tua casa?
- E’ un magazzino da rigattiere, non vedi? Il padrone è morto, ed ora ci vivo io. Ero il suo migliore amico!
La luce delle candele illumina perfettamente il polveroso ambiente, ingombro d’oggetti d’ogni tipo, perlopiù senza alcun valore, candelabri a parte.
- Non vedo servizi igienici…
- Infatti, non c’è acqua corrente, né elettricità, e neanche un water. Posso benissimo farne a meno. La mia vera casa è la strada. Questa è solo la mia camera da letto. – Dice, convinto, Sirio, mentre apre un armadietto per prendere garze, una bacinella ed un flacone d’alcool denaturato. Poi, chinandosi dietro una poltrona mezza sfondata, tira fuori una vecchia borsa da medico.
- I ferri del mestiere! – commenta, con una certa soddisfazione nella voce. – E nel caso dovessi morirmi tra le mani, posso sempre benedirti, figliolo!
- Magari sei anche un prete!…
- Lo ero. Uno spretato, direbbe il popolino. Hai qualcosa in contrario?
- Se puoi fare qualcosa per questa gamba, ti ringrazierò ugualmente!
Sirio sogghigna, soddisfatto dalla mia risposta, ed accende un fornelletto a spirito. Poi, riempie la bacinella smaltata internamente con l’acqua presa da un fiasco e spiega:
- Ho bisogno di un po’ d’acqua bollita. Sentirai un po’ di fastidio, ma devo pur ripulire la tua ferita! Piuttosto, dimmi: perché eri in Questura?
- Ho una tale confusione in testa! Mi sembra di non esser più me stesso!
- Non è un male. Comunque il tuo caso comincia ad interessarmi. Una bella storia è l’ideale per aspettare l’alba. Racconta!
L’alba, o quel che ne appare, una vaga luce incerta e soffice, s’intrufola nella grata di una delle finestrelle del seminterrato di Sirio. Il mio ospite ha già spento tutte le candele e la mia gamba duole ormai molto meno. Ho quasi terminato il mio racconto e resta solo la parte più sconvolgente:
- … E quindi decisi di recarmi in Questura per denunciare la scomparsa di Claudine ed il furto della mia sceneggiatura. Non immaginavo minimamente quel che mi aspettava.
- La polizia procura soltanto guai! – sentenzia Sirio, con l’aria di uno alquanto esperto in faccende del genere.
- Credo che i miei guai abbiano altra origine, Sta di fatto che, una volta terminato il verbale della mia denuncia, il poliziotto che lo stava compilando deve aver notato che i dati della mia amante scomparsa corrispondevano ad una segnalazione giunta in mattinata; è andato a chiamare un commissario ed hanno cominciato a torchiarmi, senza spiegarmi nulla, almeno inizialmente. Dopo due ore piuttosto snervanti, hanno deciso di comunicarmi che il cadavere di una ragazza, pescato nel Tevere proprio ieri mattina, poteva somigliare a Claudine. Dopo un po’ mi hanno mostrato le fotografie del viso di quella sventurata… Ed era proprio lei, Claudine!
L’emozione mi chiude la gola, mentre Sirio fissa un punto sulla parete dietro di me, grattandosi il capoccione mezzo pelato.
- E tu, prima di saperlo con certezza, hai raccontato tutta la verità?!
- No, e penso sia stato un errore. Avevo esposto solo una parte della vicenda: in pratica, ho rapportato la scomparsa di Claudine a quella della sceneggiatura, collegando il tutto ad una probabile ritorsione di Deschi.
- Beh, se non altro, avranno due piste da fiutare i cagnacci che ti sei tirato dietro! Andranno a rompere le scatole anche a lui!
- Il commissario Nori, della Mobile, sembra un osso duro, un gran figlio di puttana. Ho dovuto firmare le mie dichiarazioni ed assicurare che non mi sarei mosso dalla città, in attesa della convocazione da parte del giudice istruttore.
- Quel che non capisco è perché hai perso la bussola per un semplice interrogatorio della polizia!
- Ma la mia amante è morta! C’è bisogno d’altro? Eppoi, non sembra anche a te che qualcuno stia cercando, molto abilmente, d’incastrarmi? Non riesco a ragionare lucidamente… Quei sogni che mi tormentano… Giulio sta diventando un’entità reale, vive un’esistenza parallela alla mia e, in qualche modo, sta condizionando anche la mia vita! E mi sono reso conto che la prima vittima di Giulio, nel sogno, Marietta, era in realtà Claudine!
- Andiamo, non l’hai fatta fuori tu, ma Giulio! – ride sguaiatamente Sirio – E lascia stare queste scemenze! Ti dico che se anche l’avessi eliminata tu, quella puttanella, avresti tutte le ragioni di questo mondo! In fondo, è stata lei a rubare il tuo lavoro, no?
- Piantala! Non è il momento di scherzare!
- Non hai ancora imparato la lezione? Se è vero che hai dei nemici segreti, non fare il loro gioco. Inoltre, le tue lamentele sulla sfortuna ed il destino avverso sono risibili! I guai maggiori te li sei creati con il tuo comportamento. In quanto alla francesina, dimenticala!
- Dunque, per te tutto è risolvibile!
- Intanto, comincia a diffidare dei falsi amici: quel Sandro, per esempio e madame Clermont! La conosco: una vera e propria vipera.
- Quando l’hai conosciuta?
- Anni fa. Evitala accuratamente.
- Okay, Sirio. Sei riuscito a farmi calmare. E la gamba non mi fa più male.
Guardo l’orologio: le sei. Devo andare anche se quasi mi spiace. La compagnia di questo poveraccio non è per niente sgradevole. Gli stringo la mano per ringraziarlo.
- Vai, fratello – sorride – Qualunque viandante notturno incontrerà, da parte mia, la stessa ospitalità. Vieni a trovarmi quando vuoi, ma solo di notte.
Via Cavour torna ad essere completamente familiare. Cammino nel primo sole del mattino per dieci minuti buoni e la gamba non mi dà alcun fastidio. Arrivo nei pressi della mia automobile e vedo un agente di polizia seduto sul cofano.
- Le spiace togliersi di lì?
L’agente punta gli occhi sulla mia gamba fasciata, sotto il pantalone strappato.
- Il signor Bersani, vero? Il commissario Nori vuole vederla.
- Ancora? – protesto, ma è perfettamente inutile. Mi tocca tornare in Questura.
Vengo introdotto nello stesso ufficio della sera prima e trovo il panciuto funzionario di polizia intento a divorare un’abbondante prima colazione. In maniche di camicia, si sta abbuffando di cornetti, maritozzi alla panna e cappuccini che basterebbero per quattro. Mi saluta con uno strano verso, forse un mezzo starnuto; continuando a masticare, fa cenno di sedermi. Sulla scrivania ha le foto del corpo nudo di Claudine.
-… Peccato, proprio una bella bambina…. – commenta, con un mezzo cornetto alla crema in mano – Sa che non le hanno usato violenza? Il medico legale è quasi certo. Parlo di violenza sessuale, ovviamente; perché l’hanno strangolata, prima di buttarla nel Tevere: questo è certo.
- Commissario, sono distrutto…
- Volevo conoscere le sue impressioni in merito… Eh! Era nuda quando l’hanno ripescata! A meno che non sia stata aggredita mentre faceva la doccia, ci sarebbe da chiedersi il motivo che ha spinto l’assassino a denudarla. Che la ragazza fosse a letto con lui?
- Non ho nulla da commentare. L’investigatore è lei.
- Da uno sceneggiatore, m’aspetterei un po’ più di fantasia! Provi ad immaginare una spiegazione plausibile.
- Forse, la ragazza ed il suo assassino volevano fare un bagno nel Tevere.
Nori interrompe la sua masticazione nel tentativo di controllarsi ma scoppia a ridere lo stesso.
- Ah, Ah… - chioccia, quasi strozzandosi – Sarà per deformazione professionale, ma l’umorismo nero mi fa impazzire… Ah, ah…
- Beva un sorso di latte o finirà per strangolarsi anche lei.
L’imbecille continua a sganasciarsi dalle risate, tanto che la porta alle mie spalle si apre e lascia intravedere testa e cappello di un graduato della polizia; Nori lo scaccia con un cenno della mano e la porta si richiude immediatamente.
Dopo essersi asciugato le lacrime dal faccione congestionato, sposta in un angolo della scrivania il vassoio di quel che resta della colazione, incrocia le dita sulla pancia e cerca di assumere un’espressione che vorrebbe risultare maliziosa.
- Non ci credo! – dichiara – E’ troppo strano e c’è qualcosa che non va! E lei non mi sembra neanche tanto sconvolto.
- Sono stanco e sconvolto, glielo giuro!
- Allora, mi sbaglio. Ed io che cominciavo a pensar male!
- Commissario, non ho ancora capito se mi sta accusando, sfottendo, o vuole solo scherzare.
- Che ha fatto alla gamba?
- Un incidente. Posso andarmene a casa?
- Uhm, sa che puzza d’alcool? Una sbornia per dimenticare?
Sbadiglio. Ancora. Credo sia il modo migliore per far capire a questo sbirro che sto per addormentarmi sulla sua scrivania.
- La tensione comincia a calare e subentra la stanchezza… Tutto normale. Non si offende, vero, se la faccio sorvegliare un pochino, come stanotte…
- Se ha qualcosa da contestarmi, lo faccia; mi troverò un avvocato.
- Noo… ma cosa dice. Queste sono decisioni che prenderà il dottor Romano, il magistrato che si occuperà del caso. Ma noi, che siamo due galantuomini, perché non raggiungiamo un accordo?
Dove vuole arrivare questo serpente vestito da clown?
- Il dottor Romano è piuttosto anziano, vicino alla pensione e non ha più certi stimoli a far bene. Dovremo collaborare per svolgere l’inchiesta e penso, sinceramente, che sarà una faticaccia. Perché non ci aiutiamo a vicenda? Lei potrebbe raccontarmi la verità, ed io le garantirei, in cambio, di risparmiarle una tale quantità di seccature che non immagina nemmeno.
- Ma ho già risposto a tutte le sue domande!
- Non mi basta. Lei mi nasconde qualcosa, amico mio. Se vuole, in me troverà un grande alleato… Ci pensi.
- Sono sfinito. Voglio andarmene.
- Ohè, Bersani! Cosa crede? Neanch’io ho dormito, stanotte. Del resto, un po’ di tempo per riposare, l’ha avuto. E’ colpa mia se, invece, ha preferito andarsene a spasso per Roma? La sua posizione è delicata… non faccia ostruzionismo…. Potrei persino trattenerla per almeno quarantotto ore per gli accertamenti di rito!
- Ma cosa vuole accertare? Mi sono presentato volontariamente e per denunciare la scomparsa del mio lavoro… poi ho saputo di questa tragedia, purtroppo…
Nori sbuffa, seccato:
- Se ha proprio sonno… Ne riparleremo. Sono convinto che troverà motivi sufficienti per aiutarmi come le chiedo. E non s’illuda di poter incastrare quel regista, Deschi! Quella gente ha sempre un ottimo alibi. In ogni caso, lo convocherò nel mio ufficio, ed il resto lo deciderà il giudice istruttore.
Mi alzo. – Allora, posso andare. Sapete dove trovarmi.
- Pare che la sua amichetta non avesse parenti, in Italia. Qualcuno dovrebbe riconoscere il corpo, mentre cerchiamo di rintracciare chi di dovere in Francia. Non le piacerebbe vederla per l’ultima volta?
Di colpo, capisco d’aver perso una persona importantissima solo per il mio ego. Qualcosa, pesante come il piombo, crolla dal mio cuore fino al fondo della mia anima.
- Sarebbe inutile… E spiacevole. – rispondo.
Nori si alza e viene a posare una mano sulla mia spalla.
- L’amava davvero?
- Non lo so. Era la mia gioventù, l’illusione che tanti uomini della mia età si fanno quando incontrano una ragazza giovane e bella. Forse, in futuro, l’illusione sarebbe passata.
- Ma per la signorina Jouber il futuro non verrà mai. Già: così giovane e troppo bella! Il tipo di donna che sconvolge la mente ed il sangue degli uomini!
***
Henkel aprì la porta del piccolo cottage, e fece entrare prima Leila e non per cortesia: l’abitudine alla massima prudenza, acquisita in tanti anni di spionaggio, lo costringeva a comportarsi istintivamente nel modo meno rischioso possibile.
- Di chi è quest’appartamento? – chiese la ragazza, una rossa dal fisico agile e sensuale – Lo hai preso in affitto?
Henkel la accompagnò nel soggiorno; oltre una parete di vetro si vedeva agitarsi un mare inquieto, sotto nuvoloni grigi e veloci.
- Sono stato fortunato – disse – Il mio diversivo era una checca d’alto bordo. Si fanno affari d’oro, in certi ambienti, qui in Brasile.
- E’ morto?
- E’ nel bagagliaio della Mercedes. La spiaggia è grande, e quando sarà buio, gli troveremo un posticino più confortevole.
Leila si lasciò cadere sul divano di pelle chiara, affranta. Alle sue spalle, Henkel poteva vedere centinaia di gabbiani volare basso, mentre il cielo si faceva sempre più cupo.
- L’uragano è vicino… - commentò – Mi piace la tempesta, l’aria elettrica, la natura che si rivolta contro l’uomo. E mi ricorda una notte di tanti anni fa, un angolo diverso del Brasile, lontano da qui, quando mi sentii, per la prima volta, invincibile!
- Non lo sei, Will… - mormorò lei – Nessuno lo è veramente. Tu sei molto abile, scaltro, ma io ho paura per te. Stati Uniti d’America contro Henkel! Come pensi che finirà?
- Guardami! – ringhiò il Tedesco – Guardami, sgualdrina! Quanti anni mi dài? L’hai detto tante volte che sembro un quarantenne! Ed invece, ne ho settanta! Per la CIA sarei ormai pensionato, come quel rudere di Hautzer! Ma io non sono un uomo qualunque, ed attualmente è il mondo intero che deve temermi e rispettarmi, e non solo gli USA! Ho in pugno la vita di miliardi d’esseri umani, potenzialmente tutti vittime del peggior morbo apparso sulla faccia della Terra! Ed io solo posso decidere quanto vale la cura in termini economici!
Leila rispose a quel delirio d’onnipotenza con un gemito soffocato. Stava per cedere alla tensione accumulata dall’inizio di quel progetto e, piano piano, scivolava verso una strana depressione. Henkel pensò di averla sopravvalutata. Poteva davvero fare affidamento su una creatura tanto fragile? Tuttavia, le sedette accanto, guardandola con avidità; la vista del suo corpo lo eccitava sempre e la bellezza provocante della ragazza poteva, forse, essergli ancora utile e non solo a letto.
- Hai spedito il pacco a Roma? – le chiese, accarezzando le lunghe cosce ben tornite.
- Certo, come hai detto. Ed anche la lettera, allo stesso indirizzo. Uno dei tuoi complici, immagino, riceverà il tutto entro i tempi stabiliti.
- Esatto, bambina, ed è la nostra polizza di garanzia.
- Cosa vuoi dire?
- Ancora non capisci? Li prenderanno tutti, i nostri amici lasciati negli States a far da specchietto per le allodole. Compresa tua sorella, ovviamente. Un piccolo, necessario, sacrificio prima del trionfo finale.
Leila alzò gli occhi fino a fissare quelli di lui.
- La CIA sa tutto di te…
- Appunto – sorrise Henkel – Ed è per questo che non mi prenderà! Sai qual è il mio nome in codice? Serpente. Ed io, ancora una volta, cambierò pelle! Ora, andiamo a riposare un poco. Domani ci aspetta un lungo viaggio. Tu andrai a Città del Messico, e da lì in treno fino ad Acapulco. Mi aspetterai, comportandoti come una qualsiasi turista un po’ annoiata.
- E tu? Dove andrai? Quanto ti farai attendere?
- Meglio che tu non lo sappia. La CIA vuole me e la cartellina di pelle gialla con il sigillo del Pentagono. Se riuscissero a prendere uno di noi, l’altro potrebbe liberarlo con il ricatto! Nel caso toccasse a me, sai già che dovrai raggiungere l’indirizzo di Roma che non dovrai segnare da nessuna parte, ma ricordare accuratamente. Da lì, con l’aiuto dell’ultimo alleato che ti rimarrà, contratterai la mia liberazione.
- E cosa potrei offrire, in cambio? La cartellina non sarà forse con te?
- Non preoccuparti. Pensa solo ad eseguire alla perfezione le mie istruzioni!
Il cielo divenne nero in un solo istante, mentre il mare si gonfiò di rabbia. Henkel guardò all’orizzonte una linea chiara che attenuava la drammaticità degli eventi climatici. Poi gli occhi velati di lacrime della ragazza, finché l’eccitazione divenne insopportabile e lui cominciò con l’abbracciarla…
***
Un grande studio pieno di sole, arredato con sobrietà, e senza buon gusto. Chuck Andrew era seduto già da una decina di minuti ed ancora non aveva capito dove volesse andare a parare l’uomo che lo arringava dall’altra parte della scrivania.
- Nessuno di noi poteva sospettare un disastro simile! – continuò il direttore della CIA – Ed ora dobbiamo agire in fretta, senza far troppo rumore: questa sarà l’operazione più segreta degli ultimi cinquant’anni! Il nostro Presidente è distrutto.
Andrew ghignò:
- Sono distrutto anch’io. Sono stato buttato giù dal letto alle tre di mattina, ed ho sei ore di volo sulle spalle. Se non le spiace, vorrei sapere la mia destinazione, tanto per fare la lista dei bagagli!
- Andrew, non scherzi! – urlò il suo superiore – Se ancora non sono arrivato al nocciolo della questione, è perché da dieci giorni dormo poco o niente! Forse non sono stato abbastanza chiaro: è in gioco la politica estera del nostro Paese, e forse il destino dell’Umanità!
- Allora, voglio un aumento di stipendio! – replicò l’agente, calmissimo. Nonostante l’aspetto comune, persino dimesso, era il miglior elemento attualmente disponibile; Hugler si trovava a Berlino Est, mentre Carrol e Dynnock sarebbero tornati solo a fine settimana dall’Afghanistan, ed il colonnello Dane era già impegnato a torchiare a dovere i complici di Henkel rimasti negli USA. Poi, Andrew era sicuramente il più adatto a mettere il sale sulla coda al Quarto Cavaliere dell’Apocalisse.
- Andrew, lei è un ottimo elemento. La migliore delle sue qualità è che non dà mai nell’occhio. Agisce bene, in silenzio, con precisione e puntualità. E, soprattutto, sa tenere la bocca chiusa.
- Mi sta facendo preoccupare.
- Per favore, sia serio. – Il direttore della CIA si versò un altro bicchiere di whisky, che tracannò in fretta.
Come al solito, sudava abbondantemente, ed i suoi occhi porcini erano circondati da un cerchio rossastro. Si slacciò il secondo bottone della camicia e riprese, con voce meno alterata:
- E’ scomparso, dalla stanza più inaccessibile del Pentagono, un incartamento della massima importanza. Nome in codice: Piano Apocalisse. E’ stato rubato, quasi certamente, da uno di noi. Un individuo che lei conosce benissimo: avete lavorato insieme a Praga, Roma, Vienna, Stoccolma e Berlino Est…
- Il Serpente! – esclamò Andrew.
- Cioè Willhelm Henkel. E’ inutile che io le faccia leggere la sua scheda: scommetto che vi conoscete molto bene.
- Esatto. Eravamo quasi amici. A Berlino, mi salvò la vita. Credevo si fosse ritirato da tempo; nonostante il suo aspetto giovanile, dovrebbe avere oltre settant’anni…
- Vedo che lo conosce davvero bene. Avevamo molta fiducia in lui. Alla fine della Seconda Guerra, l’Organizzazione lo prelevò tra la crema degli ufficiali nazisti addestrati nella famosa scuola di spionaggio in Amburgo. Aveva operato, con molto profitto, in Sud America, facendo dannare l’anima ai nostri. A poco più di vent’anni, era già colonnello. E’ stato, poi, molto utile anche a noi: i Russi darebbero il Cremlino pur di mettergli le zampe addosso!
- Lo so, signore – rispose Andrew, ripassando mentalmente le imprese di Henkel di cui era a conoscenza.
- Ed il Serpente, tenendo fede al suo nome di battaglia, ci ha traditi, ed ha rubato il dossier più importante del Pentagono!
- Come mai un agente della CIA ha potuto accedere così facilmente a tale documentazione?
Il direttore della CIA lo squadrò con ferocia – Non ho ancora finito! Nella stanza che conteneva l’archivio segreto, potevano accedere soltanto quattro persone: il Presidente degli Stati Uniti, il Segretario di Stato, io ed Henkel; quest’ultimo doveva essere proprio il garante della sicurezza interna.
- Ma davvero… - Andrew non riuscì a trattenere un sorriso.
- Il Piano Apocalisse è stato ideato e curato da un centinaio di persone: i tre Cavalieri ed i loro collaboratori tecnici e scientifici, già nel 1965. Solo i Cavalieri potevano accedere alla stanza segreta ed aprire, tra mille, la cassaforte giusta. La porta blindata e la schermatura laser erano controllate da un ottimo sistema computerizzato di riconoscimento acustico. La chiave d’accesso, in pratica, era costituita dalle voci unite in coro dei Quattro Cavalieri che avrebbero dovuto pronunciare una frase segreta… Il presidente dell’epoca pensò di inserire nella memoria centrale, per il riscontro del sistema di sicurezza, le voci di soli tre Cavalieri; la voce del quarto Cavaliere doveva essere la garanzia massima perché sconosciuta a tutti. La sua identità, infatti, restava l’unico elemento misterioso del Piano Apocalisse: nessuno sapeva chi era, dove viveva e cosa faceva, perché scelto direttamente dal supercomputer Agnus Dei. L’elaboratore fu programmato per scegliere uno tra tutti i cittadini degli States, secondo questi parametri: doveva essere sempre disponibile per l’Amministrazione – doveva essere il più affidabile militarmente – doveva possedere una capacità di sopravvivenza pari al 200% della media – doveva avere un passato ineccepibile in relazione al compito che doveva svolgere – doveva essere totalmente adatto al ruolo che, eventualmente, gli sarebbe stato affidato. Dopo tre giorni di ricerca, Agnus Dei scelse il nominativo segreto e si collegò alla rete telefonica per comunicare direttamente al prescelto la parola-chiave per sbloccare il sistema di sicurezza. Poi blindò i file relativi all’identità del prescelto, per riservarli solo alla memoria interna e richiamarli in base alle necessità indicate dal programma, al di fuori di qualunque tentativo esterno se tali condizioni non si fossero manifestate…
- Sistema rischioso. Prevedeva la totale comprensione e disponibilità del prescelto.
- Nonché, da parte dell’Amministrazione, la totale fiducia nel supercomputer. In teoria, erano state calcolate tutte le variabili possibili, nella scelta tra uno qualsiasi dei cittadini degli States. Ora comprende perché abbiano ritenuto il Piano del tutto al sicuro anche negli anni a venire? Considerando che ognuna, tra le Amministrazioni che si sono succedute, ha provveduto a nominare i suoi Tre Cavalieri, sostituendo le vecchie password con le nuove, anche se un ex Cavaliere avesse maturato qualche decisione negativa… beh, arrivare al Piano Apocalisse sarebbe stato impossibile!
- Il seguito della storia dimostra il contrario, se ho ben capito…
- Henkel ha pensato bene di sovvertire ogni pronostico… - ringhiò il direttore della CIA – Agnus Dei contiene tutto lo scibile umano: è sempre stato ritenuto perfetto, infallibile! Non riusciamo a spiegarci come abbia potuto scegliere l’ex nazista per il ruolo di Quarto Cavaliere!
Andrew sorrise – Forse, in tutto il pianeta non esisteva nessun altro in grado di portare con tanta disinvoltura il nome di Morte…
- Lo trovi, Andrew, e lo elimini senza troppi patemi d’animo. E, soprattutto, recuperi il Piano! Non importa se abbia divulgato o no il segreto: il Serpente deve sparire per sempre!
- Posso sapere in cosa consiste il Piano Apocalisse?
- No, ovviamente. Se dovesse venire a conoscenza del segreto, per qualunque motivo, lei farebbe la stessa fine che stiamo augurando a Willhelm Henkel!
FINE QUINTA PUNTATA