Il giovane favoloso, Elio Germano impeccabile – La recensione

Creato il 02 settembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Elisabetta Bartucca

Summary:

Il giovane favoloso: Germano, Leopardi ribelle per Mario Martone

Non deve essere stato affatto semplice, no. Decidere di realizzare un film sulla vita di Giacomo Leopardi significava prima di tutto fare i conti con il senso di inafferrabilità, perché Leopardi è tutt’uno con la sua scrittura, la sua poesia, le sue parole. Ma per Mario Martone che a teatro aveva già messo in scena le sue “Operette morali”, “Il giovane favoloso”, terzo e ultimo film italiano in concorso alla 71. Mostra d’’Arte Cinematografica di Venezia, è stato un passo quasi naturale per riesumare, dopo il dramma storico di “Noi credevamo”, un altro pezzo del passato di questo paese senza memoria.

Così gli è toccato districarsi tra la mole infinita di carteggi, studi, lettere e mettere a fuoco l’uomo, il lato più inquieto e insieme quello più ribelle e ironico; ma la sfida più grande è stata dare vita a un’anima e restituire l’ineffabile attraverso il linguaggio del cinema. Immagini per raccontare parole, sensazioni, malinconie cosmiche. Ma soprattutto un corpo: quello che Elio Germano ha sapientemente trasformato in uno strumento narrativo agendo parole, pensieri e sensazioni del personaggio.

Una performance che ha il sapore della trasfigurazione e che lo porta dritto tra gli interpreti favoriti per la Coppa Volpi: “Troppo spesso siamo chiamati a essere attori del quotidiano. – racconta – Restituire invece queste vibrazioni è stata un’esperienza unica; l’unico modo che avevo a disposizione per rendere il personaggio era farsi tramite, essere scrittura”. E mentre giravano lo chiamava per nome, Giacomo, perché ormai “era diventato uno di famiglia”.

Il valore aggiunto de “Il giovane favoloso” è proprio Germano, protagonista di un’interpretazione impeccabile insieme a quelle del resto del cast da Isabella Ragonese a Paolo Briguglia, Massimo Popolizo e Michele Riondino nei panni del compagno di una vita, Antonio Ranieri. È con lui che per oltre due ore lo seguiremo nel suo peregrinare da uomo libero: dalla prigionia nella biblioteca di famiglia a Recanati ai salotti fiorentini, dall’amore non corrisposto per Fanny Targioni-Tozzetti alla Napoli dei ‘pulcinella’, dei taralli, della convivialità e infine del colera. Un viaggio che terminerà sulle pendici del Vesuvio.

Ma se la performance dell’attore Palma d’Oro a Cannes nel 2010 non ha macchia, lo stesso non può dirsi del film che ha senz’altro diversi meriti, tranne quello di aver sfruttato pienamente le suggestioni che solo un personaggio così complesso, immenso, gigantesco poteva offrire. Il racconto riesce comunque nell’impresa di non inciampare in velleità didattiche e procede dall’inizio alla fine esplorando diversi livelli stilistici, risultando più organico in alcuni punti e meno in altri. Sublime poi, l’accompagnamento ‘spregiudicato’ delle musiche firmate Apparat: è proprio lui infatti, l’icona dell’elettronica mondiale Sascha Ring, a produrre la colonna sonora.

A trionfare su tutto è il ‘favoloso’ Leopardi di Germano: incantato dalla vita, rivoluzionario e appassionato. Pura poesia.

di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net


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