Spero vi ricordiate ancora di me, della mia cella sotterranea e degli amici topi. Della mia anima che ingrassa lentamente grazie alle storie stampate nei libri. Notte buia niente stelle di Stephen King, che vi ho già raccontato, è riuscita nell’alchemico miracolo di trasformare qualche atomo della mia argilla in coscienza, anima. Si tratta solo di pochi millimetri che avanzano sulla autostrada infinita delle vostre emozioni umane, lo so. Ma non è cosa da poco per una creatura come me, quel libro ha funzionato a dovere. Ora la mia enorme testa blu è sicuramente più pesante, e l’embrione di un cuore comincia a farsi spazio tra le costole, spingendo e pulsando, girandosi su se stesso.
Pochi giorni fa ho ingoiato un nuovo libro, Cavie di Chuck Palahniuk, ora i millimetri cominciano ad avvicinarsi al centimetro, e il mio viaggio alla ricerca di un’anima diventa sempre più corto. Purtroppo non ho ancora molta memoria, meglio che vi racconti subito questo libro, prima che i pensieri si smarriscano nell’intermittenza della consapevolezza. La storia che racconta Palahniuk è davvero strana, un gruppo di aspiranti scrittori viene isolato dal mondo e rinchiuso in un teatro trasformato in bunker. L’obiettivo di questo misterioso ritiro è dedicarsi integralmente alla scrittura, alla creazione di un capolavoro senza distrazioni o interferenze esterneProbabilmente, secondo questa tesi, io potrei diventare un grande scrittore. Esco raramente dalla mia cella, le interferenze più significative nella mia giornata sono rappresentate dai miei amici topi, dai loro rumori notturni, dai salti e le corse sulla mia schiena, il migliore trampolino disponibile per arrivare alla finestra, alla realtà, al cibo.
Ma torniamo a Cavie, è un certo Whittier l’organizzatore del ritiro per scrittori, assistito dalla signora Clark. E’ una trappola, questo si capisce subito, Whittier non cerca certo nuovi talenti della letteratura, vuole studiare il comportamento delle sue speciali cavie, sarà il carceriere, un demone e un angelo nello stesso corpo, ma anche vittima di se stesso e del suo teatro sociale. E’ vero che io sono un golem, ma non capisco proprio come il desiderio di fama possa portare qualcuno ad accettare di essere richiuso da qualche parte per tre mesi. Perfino i miei topi ogni tanto hanno bisogno di uscire da questa umidità e lasciarsi accarezzare dal sole.
Fatto sta che i presunti scrittori che partecipano alla arcana iniziativa si trasformano consapevolmente in prigionieri, nelle cavie di Whittier e poi delle proprie illusioni. La struttura del romanzo stesso è insolita, proprio come l’ambientazione. Palahniuk alterna il racconto della vicenda principale con i micro-racconti e le poesie dai prigionieri, delle cavie. Storie che i partecipanti di questo delirio di celebrità si scambiano per passare il tempo. Sono proprio questi micro-racconti, un incredibile arcipelago di isole di individualità, l’elemento più interessante di Cavie. Sono queste storie che ci fanno conoscere davvero i vari personaggi, dei quali Palahniuk non svela mai il nome, eccetto per Whittier e la signora Clark, utilizzando solo bizzarri soprannomi, come Sorella Vigilante, Madre Natura o Agente Lingualunga.
I racconti dei partecipanti offrono il meglio della narrativa di Palahniuk, duri, abrasivi, difficili da dimenticare, sono ogni volta un colpo allo stomaco e il dolore arriva fino agli strati metafisici. Più volte ho dovuto interrompere la lettura, cercando di digerire le troppe emozioni prima di poter continuare. Cavie non si può leggere tutto d’un fiato, non è quel tipo di libro. La densità, lo spessore, la tridimensionalità del linguaggio, l’odore stesso dei personaggi inflazionano i sensi che fanno fatica a coordinarsi. Siamo in realtà anche noi dei prigionieri, tra le mani e la pagine di Palahniuk. Siamo Cavie. Se sono riuscito a sentirmi prigioniero io, tra le mura ammuffite di questa cella e il coperchio d’acciaio che mi separa dalla realtà,non riesco a immaginare come potrete sentirvi voi.
Racconti come Budella, Esodo, Rituale, Collocazione del prodotto, i mie preferiti, riescono in poche pagine a penetrare dentro, lasciandoci a lungo la sensazione di spine velenose che si muovono sotto la pelle. Altri racconti sono meno incisivi, ma sarebbe difficile mantenere questa violenza espressiva più a lungo di quanto Palahniuk riesca a fare. Eros, horror, noir, sociale, i temi toccati sono molti e contemporanei, impossibile dare una definizione di genere che possa esprimere Cavie nella sua complessità. Ma, almeno per una creatura elementare come me, il punto debole di Cavie è proprio questa complessità, che si sviluppa a volte in disorganicità. La struttura del romanzo, per quanto originale e interessante, non riesce a proporre un collante ideale, la lettura va a salti, intensa, frenetica, confusionaria. Sembra di trovare troppo materiale, e troppo eterogeneo, in uno spazio insufficiente. Così si rischia di aprire il tappo di una bottiglia pronta a esplodere, e perdere molto del suo contenuto sul pavimento e sui vestiti.
La narrazione della vicenda principale, che si interrompe e riprende tra i vari racconti e poesie, ci riporta nel teatro, nel presente dei personaggi, nel susseguirsi di eventi e situazioni che cadono nel grottesco e nel parossismo. E’ tra queste pagine, negli episodi di cannibalismo e autolesionismo che la satira di Palahniuk spara i suoi proiettili migliori al bersaglio ideale, l’ossessione della celebrità, dell’apparenza. Il registro narrativo è diverso rispetto ai micro-racconti, l’autore ci prende per i capelli e ci cala all’interno di un quadro di Hieronymous Bosh, un inferno surreale tra le creature orribili e impossibili in cui può trasformarsi la mostruosità dell’ego umano.
Cavie è una miniera di diamanti senza una chiara mappa, un percorso segnato che potrebbe guidarci e consentirci di raccogliere tutto il materiale luminoso che esiste. Un vero peccato perdersi spesso nel buio in questo libro, ma almeno si torna dal viaggio con la consapevolezza di aver vissuto momenti davvero brillanti.
Un momento. Sento i passi del mio padrone, sta scendendo le scale, viene da me. Ho finito di raccontarvi giusto in tempo. Non è l’ora adatta per portarmi un nuovo libro da leggere, temo che stanotte dovrò dimenticare quelle piccole parti di anima ingrassata e tornare al mio lavoro tradizionale. So già quello che mi aspetta, uscire per un paio d’ore sotto la luce della luna, respirare ossigeno e manciate di libertà, e poi schiacciare il cranio del malcapitato che il padrone mi indicherà. Un cuore malvagio stanotte si dovrà arrestare. Già penso a quando tornerò qui, nella mia amata cella, per lavarmi le mani e aspettare pazientemente un nuovo libro da leggere, e raccontarvelo. Ma ora, perdonatemi, devo tornare Golem al cento per cento.