Dio sa se io non sia riluttante all’impiego sgangherato del turpiloquio, ma vi sono costretta quando il sistema di governo è riassumibile con lo slogan: cazzi vostri.
Terremoto? Cazzi vostri. Straripano i fiumi? Cazzi vostri? Frana la montagna? Cazzi vostri? Aspettate una tac da un anno? Cazzi vostri. Dovete lasciare il lavoro per accudire un malato? Cazzi vostri? Siete disoccupati? Cazzi vostri.
La cultura imperante dice che bisogna essere ambiziosi, intraprendenti, flessibili, dinamici, spregiudicati, egoiste, egocentrici, finanziariamente fantasiosi, consumisti, globalizzati, cosmopoliti. E al tempo stesso temperanti, oculati, obbedienti, conformisti, familisti. Perché sono cazzi nostri. Smantellato l’welfare? Teniamo a casa le donne. Le scuole pubbliche non hanno attrezzature? E portatele da casa, compresa la carta igienica. Siete ammalati? Andate in clinica oppure provate con ingegnose terapie alternative, stamine fai da te, cura Di Bella oppure, scelta estrema, Lourdes. I vostri figli sono disoccupati? Ma licenziatevi, perbacco e lasciate il posto a loro.
Perfino l’Imo, l’International Labour Organization nel ‘Rapporto sul mondo del lavoro 2013′ sembra sconcertato dall’ultima trovata delle relazioni industriali creative del governo italiano, una simpatica evoluzione familistica che propone, come soluzione al “problema giovani”, la staffetta generazionale. All’Italia servono circa 1,7 milioni di “nuovi” posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi,ma vanno bene anche quelli usati, di seconda mano, come i libri di scuola.
L’Italia occupa un’invidiabile collocazione tra i Paesi dove la disoccupazione continua ad aumentare (era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione, segnando anzi «uno degli aumenti più brutali» dell’Unione europea: la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni. Il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012». Il rapporto conferma anche il diffondersi dell’occupazione precaria: dal 2007 il numero dei lavoratori flessibili e mobili secondo gli eufemismi di governo, é aumentato di 5,7 punti percentuali e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012, percentuale incrementata dalla cosiddetta riforma Fornero.
Eh si, perfino l’Ilo ritiene sconsiderata l’ipotesi immaginifica del nuovo ministro, noto per essersi prodotto in una cauta rinuncia a calcolare le remunerazioni del ceto partitico, ma spericolato nel proporre soluzioni spericolate per i comuni cittadini. Perfino a un organismo ben incuneato nel sistema decisionale globale, la trasmissione in via ereditaria del posto di lavoro, pare, nel migliore dei casi, una solenne cretinata. e per di più, non nuova, che si sa i ricchi e i privilegiati lo hanno sempre fatto, ma garantendosi la personale permanenza in atenei, industrie, cliniche, baronie, feudi, fino a età avanzata. O meglio trovando forme compensative ancora più remunerative, pingui consigli di amministrazione, presidenze, elezioni molto promosse e facilitate, mentre i delfini crescono in terreni di coltura ben concimati.
Ma non per noi, non per i nostri figli, cui sono stati negati reddito di cittadinanza, tutoraggio, apprendistato, perpetuando la condanna alla precarietà, alla mobilità. No, per le famiglie italiane dovrebbe sembrare desiderabile e auspicabile una nuova declinazione della guerra sociale, non più solo quella di classe, ma la sua escalation in conflitto generazionale, già innescato peraltro, se ormai è convinzione diffusa che pensionati, lavoratori dipendenti, altro non siano che fastidiosi parassiti, mangiapane a tradimento, sanguisughe ben rappresentata da partiti corrotti e corruttori, egoiste e malsane da punire con la miseria, l’indigenza e la riprovazione sociale.
Perfino l’Ilo capisce che siamo di fronte alla forma più estrema e iniqua di ricatto, oltraggiosa dopo una riforma che ha spostato l’età pensionabile, infame perché rovescia sugli individui il peso di scelte poco solidali e che minano la coesione sociale, ingiuriosa in presenza di una situazione di crisi indotta e incrementata proprio per favorire l’arbitrarietà e la discrezionalità dell’economia “informale”, tanto che ormai l’unico bene che si può trasmettere alle generazioni future, insieme alla miseria è lo sdegno.