Il Graal e La Dea: l'enigma del santuario alchemico

Creato il 31 dicembre 2014 da Il Viaggiatore Ignorante

C'é una storia misteriosa e non conosciuta tra le montagne occidentali dell'antico ducato di Milano, la vicenda vera di un grandioso Santuario, come mai se ne erano visti in quelle valli, costruito nel XVII secolo intorno all'immagine, sconveniente, quasi eretica e prodigiosa, di una Madonna che allatta a seno scoperto come un'antica dea celtica, la Grande Madre primordiale.

Cent'anni dopo l'edificio, mai portato a termine, svettava sull'abitato con il suo inconfondibile profilo ottagonale. La leggenda vuole che, in ringraziamento per essere sfuggiti alla peste, tutti gli abitanti fossero saliti al pianoro portando ciascuno una pietra. Con quei pochi materiali e il fervore della fede che animava il villaggio di pastori, contadini, falegnami e qualche scalpellino, l'opera sarebbe stata "miracolosamente" compiuta. Gli stralci dei registri di fabbrica, i documenti ufficiali e i conteggi ritrovati negli archivi locali non hanno risolto l'enigma.

Per quali scopi il santuario fu veramente innalzato? Come e perché una comunità di 200/300 anime riuscì a realizzarlo? Dove reperirono i fondi necessari? Chi era veramente l'abate-cavaliere che, pochi anni prima dell'inizio della costruzione, si era stabilito in quello stesso paese?

La vicenda, vera e reale ma che pare uscita da un romanzo, comincia nel 1659, quando un figlio cadetto della nobile e potente famiglia milanese dei Visconti di Modrone si ritira in una sconosciuta località della periferia nord-occidentale del ducato. Qui, in Ossola, a Ornavasso, in soli cinque anni fa erigere la sua dimora privata, un curioso edificio di forma ottagonale, dove immediatamente si ritira.

Negli anni seguenti, proprio a una manciata di metri dai suoi possedimenti, una semplice cappella mariana eretta anticamente tra le balze boscose, diventerà il fulcro e l'altare maggiore dell'immenso santuario, altrettanto di forma ottagonale, la cui cupola raggiunge i 27 metri di altezza reggendosi soltanto su quattro possenti pilastri di pietra. Opera poco nota di uno dei massimi architetti milanesi del tempo, Attilio Arrigoni - allievo ed erede del celeberrimo Francesco Maria Richini - è un capolavoro del più austero Barocco alpino, un monumento di inattesa perfezione.

In esso sembrarono realizzarsi, con la massima precisione, i principi della più rigida Controriforma, gli stessi emersi dal Concilio di Trento e ampiamente trattati da San Carlo Borromeo. Ma, in realtà, fu segretamente concepito, realizzato e costruito come una vera e propria cattedrale d'altri tempi, al pari di Chartres, Stephansdom a Vienna o Notre Dame a Parigi, grazie all'intervento silenzioso e quasi invisibile di esperti magistri costruttori di cattedrali e alla volontà di quel misterioso cavaliere-abate.

Le proporzioni dell'edificio, mai terminato e mai veramente consacrato, manifestano grazie alla presenza in ogni particolare del numero aureo, le leggi che governano il cosmo. Il suo impianto suggerisce la volontà di realizzare un'enorme rotonda che, però, non fu mai portata a termine. La sua posizione e le sue direzioni, apparentemente casuali, nascondono inaspettati, coerenti e potenti allineamenti con i fenomeni astronomici solari e con la Terra. Altrettanto nei dipinti, nelle cornici affrescate, nelle tarsie, negli stucchi, così perfettamente aderenti ai dogmi, alla tradizione e all'ortodossia, occhieggiano i simboli nascosti e i glifi occulti di una sapienza antica e potente, di quel Graal che una statua sull'altare un tempo reggeva nella destra.

La morte dell'abate, i giochi di potere e uno sfortunato cedimento strutturale impedirono all'edificio di giungere alla sua forma definitiva. I successori del nobiluomo, cercarono comunque di portare a termine il progetto, così come l'abate l'aveva concepito: un'altra costruzione, sempre basata sulla stessa geometria a otto lati, vide presto la luce per desiderio della più potente confraternita del paese. Intanto la dimora del prelato, lasciata all'incuria dei suoi eredi, veniva progressivamente abbandonata e smantellata, ma prodigi, guarigioni e perfino ritorni effimeri alla vita si succedevano tra le mura del santuario, grazie al grande potere elargito da Madre Terra.

Nell'Ottocento poi, le piene ripetute del torrente che attraversava l'abitato assestarono l'ultimo duro colpo alla decadenza di quei monumenti, spazzandoli definitivamente via. Resistette solo il santuario, abbandonato e chiuso che, dopo più di tre secoli, si erge ancora sul pianoro, unico e silenzioso testimone della vicenda, alle ombre dell'antica torre di segnalazione.

Al suo interno continua a custodire i preziosi indizi, nascosti e sfacciatamente in vista, di quella storia incredibile fatta di intrighi e di dominio, di sapienze ermetiche e di scienze perfette, di alchimia e di riti antichi, la vera epopea di un progetto impossibile: la storia leggendaria della Cattedrale dei Walser, l'immensa " macchina spirituale" capolavoro dell'ignoto abate-cavaliere-alchimista, che in esso aveva profuso tutta la propria conoscenza e i propri legami di sangue e di potere; un progetto mai eguagliato neppure, più di un secolo dopo, dalla celebre Rennes Le Chateau.

*Francesco Teruggi, Il Graal e La Dea, Giuliano Ladolfi Editore, 2012



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