Ora, ad opera della stessa major, arriva nelle sale Il grande e potente Oz, prequel girato in stereoscopia, diretto da Sam Raimi per la sceneggiatura di Mitchell Kapner e David Lindsay- Abaire.
James Franco
Il buon Raimi ha certo realizzato un film visualmente affascinante, rutilante e colorato, ma frutto evidente, almeno questa è stata la mia sensazione, di un compromesso messo in atto per assecondare tanto le esigenze di una facile fruibilità, imposte dalle logiche produttive, considerando i più piccini come principale target di riferimento, quanto quelle volte a soddisfare guizzi inventivi e (sporadici) lampi di genio.Evidente, infatti, un certo piglio creativo, non propriamente autoriale, comunque sufficiente a conferire una connotazione capace d’andare al di là del solito lavoro su commissione, per quanto frenato da una sceneggiatura sofferente di una programmatica schematicità, che spesso e volentieri latita sulle caratterizzazioni dei personaggi, affidate alla buona volontà degli interpreti.
Mila Kunis
Kansas, 1905, Oscar Diggs, nome d’arte Oz (James Franco), è uno scalcagnato prestigiatore, abile nel visualizzare illusioni tanto sul palcoscenico che nella vita reale. Molte belle figliole cedono alle sue lusinghe mentre lui, perso in sogni di grandezza (aspira ad essere una sintesi tra Houdini ed Edison), è incapace di riconoscere il vero amore nella dolce Annie (Michelle Williams), che vede oltre le apparenze ed intuisce la bontà del suo cuore. Inseguito dall’Uomo Forzuto, cui ha circuito la fidanzata, Oscar sale su una mongolfiera e prende il volo. Risucchiato da un tornado, si ritroverà in un “altrove” luminoso e colorato, il paese di Oz come gli spiega la strega buona, Theodora (Mila Kunis), amministrato dalla sorella Evanora (Rachel Weisz).Oscar viene salutato come il salvatore annunciato dalla profezia, colui che sconfiggerà la strega cattiva, Glinda (Williams). Però, anche qui quanto si vede non è ciò che sembra …
Rachel Weisz
Il grande e potente illusionista del titolo non è certo il protagonista (un James Franco ghignante e compiaciuto, sin troppo avvolto in un gigionismo mono espressivo), ma lo stesso Raimi, abile nell’ingannare gli adulti volontari alla visione con un felice e convincente prologo in bianco e nero, nel formato d’antan 1:1.33, omaggio al suddetto film di Fleming (girato in Technicolor, iniziava e si concludeva virando al seppia), ma, soprattutto, riflessione sul cinema come rappresentazione della realtà, ai suoi albori, e dispensatore, nella sua evoluzione, di un potenziale immaginifico che elargisce l’illusione di un mondo diverso, se non migliore. Ciò è rappresentato dall’ “apertura” dello schermo nel formato widescreen, l’invito a percorrere il sentiero di mattoni gialli, dove, tra fantasmagorie e accesi cromatismi, sarà possibile, in bilico fra fantasia e concretezza, percepire un “altro sé”, inteso sia come propria proiezione che immedesimazione nei confronti del prossimo.Michelle Williams
Così, se nel Kansas Oscar non poteva far camminare una bimba costretta su una sedia a rotelle, ad Oz può invece “riparare” le gambe dell’omologa Fanciulla di Porcellana, evolversi moralmente e riconoscere i valori dell’amicizia (l’assistente Frank, Zach Braff / la scimmia alata Finley) e dell’amore (Annie/Glinda) come fondamentali nella vita d’ognuno di noi, il vero “guadagno” al di là di potere e danaro, assecondando la morale da “buona e bella fiaba” propria della Disney, intuibile fra le spire del vorticoso ottovolante. Occorre comunque riconoscere a Raimi una certa naturalezza nel gestire la stereoscopia e gli effetti speciali, mescolando divertissement e concretezza, vedi a tale riguardo la profondità degli scenari e la bella visualizzazione della Città di Smeraldo.Finley
Peccato quindi che la raffigurazione e conseguente interpretazione delle tre streghe non siano poi così memorabili (personalmente salvo la soave dolcezza della Williams), superate nella resa complessiva sia da quelle di Finley che soprattutto, della bambola di porcellana.In conclusione, Il grande e potente Oz si rivela un gioco di prestigio che fa leva soprattutto sulla forza dei trucchi, quindi, inevitabilmente, riuscito a metà: l’illusione momentanea dell’incanto non riesce a trovare la forza immaginifica dell’ “impossibile che diviene possibile” e trasmutarsi in qualcosa di propriamente affabulante a livello d’emozione pura e semplice, ovvero l’eterna e ricercata chimera della magia che trova nel cuore il suo buon albergo.
La Fanciulla di Porcellana