Il grande Gatsby

Creato il 17 maggio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1


Talvolta non basta il sorriso radioso e lo sguardo celestiale di un uomo bello come il sole, credo a quel che dico. Così come più passano gli anni più mi convinco che, maggiori sono le attese (nel cinema e nella vita in generale) maggiore il rischio di rimanere delusi. Fatta questa premessa probabilmente già si capisce in netto  anticipo quali siano le mie impressioni generali su questo grande Gatsby rivisitato da Baz Luhrmann
Può un romanzo essere classico e al tempo stesso moderno? Difficile certo, eppure non impossibile, ditelo a Fitzgerald, chissà cosa direbbe lui oggi, del suo Gatsby rivisto in chiave postmoderna dal regista australiano. Dalla trasposizione ad opera di Francis Ford Coppola ne sono passati di anni, era il 1974 e nessuno fino ad oggi, aveva mai pensato di replicare l'impresa. Quando nel 1923-24  Fitzgerald decise di raccontare questa storia, pensò a qualcosa di straordinario, questo è certo. Perché con quella storia semplice e dal fascino irresistibile, legato allo stupore di un "nuovo" modo di intendere la letteratura, egli segnò un'epoca ben precisa e un genere narrativo mai concepito prima. Non appena il nome di Luhrmann venne accostato al grande Gatsby, la mia fantasia già preannunciava uno "spettacolo spettacolare", musicalmente eccessivo e travolgente, dai colori più vivaci tanti quanti gli stati d'animo racchiusi in un grande romanzo. Nick Carraway/Tobey Maguire è colui che si fa narratore e coprotagonista al fianco dell'uomo che dà il titolo al romanzo, così come al film. Jay Gatsby/Leonardo DiCaprio ha esattamente ciò che richiede una rispettosa incarnazione di un personaggio così complesso e romantico. Non sarà stato complicato per Luhrmann pensare a Leo, perché lo conosceva bene, avendolo diretto nel suo Romeo + Giulietta di William Shakespeare, e poi perché dove avrebbe trovato lo stesso sorriso rassicurante e quel paio d'occhi di disumana bellezza? 

La storia parla di una New York degli anni '20, di questo giovane arrivato dal Midwest Americano e di tutto ciò che egli ricordi a proposito di un certo Gatsby. Un vicino insolito, proprietario di un casa lussuosa (che sembra disegnata dalla Disney con tanto di fuochi d'artificio), il quale è solito dare ogni fine settimana delle feste sfarzose, ancor più che regali. C'è qualcosa però che ai più sfugge, dietro la misteriosa figura di un uomo ricco e dal passato oscuro, si nasconde in realtà un uomo soprattutto romantico, di quelli che non abbandonano mai la speranza e che, anche nella nebbia più fitta, intravedono quella soffusa luce verde. In quella luce Gatsby riponeva tutte le sue ragioni, una soltanto in realtà, e portava il nome di Daisy Buchanan/Carey Mulligan. Lei e Gatsby si erano conosciuti cinque anni prima, prima del giorno in cui le loro vite si separarono irrimediabilmente. Il giorno del matrimonio con il ricco giocatore di polo Tom Buchanan/Joel Edgerton. Fu così che il giovane scrittore e azionista in borsa Nick ricevette l'invito direttamente dal signor Gatsby (cosa assolutamente insolita), a partecipare a una delle sue grandi feste. Non un caso certo, Nick e Daisy erano cugini e Jay lo sapeva bene...

Coniugare l'immaginario di Fitzgerald a quello di Luhrmann, ad un primo approccio l'idea è allettante. Perché se pensiamo a tutto ciò che può prender vita dalle pagine del romanzo, è probabile che non si pensi ad altro regista che sia così d'impatto visivo. E' per questo infatti che parlare de Il grande Gatsby rivisto oggi in un contesto postmoderno, ha senza ombra di dubbio il suo fascino. Tentando una sorta di mappa critica, summa dei cosiddetti pro e contro del film, direi prima di ogni altra cosa che il film si fa straordinario e rispettoso mezzo di trasposizione dell'anima stessa del romanzo. E' vero, in quell'America lì regnava il jazz, erano gli anni delle scoperte, delle azioni in borsa, dell'alcol, delle belle donne e delle belle automobili. E in quella New York, che lo stesso Fitzgerald definiva "splendido miraggio", si intravedeva tra lo sfarzo e l'apparente ricchezza un indecifrabile senso di infelicità, o malessere esistenziale (forse anche perché di lì a breve avrebbe fatto la sua entrata in scena la "Grande depressione"). Luhrmann osa sempre, questo si sa, ecco perché al jazz egli sovrappone senza preavviso una track list che compie di colpo un arco temporale abbastanza lungo, che catapulta tutto e tutti ai tempi di JAY Z, di Lana Del Rey, Florence + The machine e così via. Però questo appartiene al regista, è parte di sé lo sapevamo più o meno tutti e ce lo aspettavamo. Per questo, affermare che il film non convinca del tutto, a causa di una mescolanza consona al regista, sarebbe sbagliato, quantomeno non sufficiente. Il problema risiede tutto, o in gran parte, proprio in questa esuberante cifra stilistica del regista, la stessa che poi condanna l'intero film a risultare perfino parodia di sé stesso. Capita infatti di non comprendere fino in fondo il reale profilo di Nick, perché le espressioni di Maguire appaiono inaccettabili, comiche. Si insomma con quel capello e quel fiocchetto che fa troppo il bamboccio di turno, non mi convince affatto. Lo stesso DiCaprio impeccabile come sempre, nulla da dire, però non mi ha rapita fino in fondo. Ripeto, non basta la sua bellezza che qui veramente raggiunge delle vette impressionanti (quando si dice bello come il sole...) ma ci si aspetta quel non so che in più che lascia senza fiato. La Mulligan è fastidiosamente brava così come Edgerton sa rendere onore al personaggio di Tom Buchanan. Ultimo dramma certamente evitabile, il 3D, ma questo si sapeva.

Il film, per concludere, lascia addosso un grande senso di mancanza, di insoddisfazione. Per le ragioni che ho provato a spiegare sopra. Io credo valga la pena in ogni caso la visione, perché si può dire di aver preso parte comunque a un grande spettacolo, seducente e romantico come non se ne vedevano da anni. Forse ciò che ha messo in difficoltà Luhrmann è stata la sua stessa personalità, che per il grande Gatsby magari avrebbe dovuto mettersi un pochino più da parte, non del tutto per carità. Però risulta uno spettacolo eccessivo, non è sempre il Mouiln Rouge, ci sono storie che richiedono a un certo punto quella pausa fondamentale che faccia riprender fiato, che lascia assaporare ogni singola sensazione. E in questo film, di occasioni per far riprender fiato allo spettatore, ce ne sono state parecchie... 

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