Il grande Gatsby

Creato il 15 giugno 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

di Daniele Morgese

Prendere un romanzo e trarne un film è sempre un’operazione abbastanza problematica. Non solo per le innumerevoli incognite e differenze da dirimere per due mezzi di comunicazione che, per quanto simili, sono notevolmente distanti, ma anche perché inevitabilmente si finisce col subire l’impari confronto con le immagini che ogni lettore ha creato all’interno della propria fantasia sfogliando le pagine di quel mondo, magari al riparo sotto le proprie coperte. Ma se c’è qualcosa di ancora più difficile, questo è il prendere non un romanzo qualsiasi ma un capolavoro della letteratura contemporanea e tramutarlo in immagini.
Questa sfida è stata colta da Baz Luhrman, regista australiano con la passione per le rivisitazioni di pietre miliari della letteratura (si veda ad esempio “Romeo + Giulietta di William Shakespeare“, del 1996), che si cimenta con un classico americano, il libro che dagli anni venti dello scorso secolo forma milioni di giovani americani. Tanto per intenderci e per spiegare la portata di questo testo, è come se un regista italiano decidesse di portare sugli schermi “I promessi sposi” di Manzoni o “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo.
Il Grande Gatsby” è un romanzo complesso, intricato, anello di congiunzione ideale di due secoli di letteratura: un intreccio aggrovigliato, misterioso, con dettagli capaci di condurre il lettore a comprendere in anticipo ciò che gli sta per esser raccontato, tipicamente romantico, e uno scenario contemporaneo all’autore, quei ruggenti anni venti nei quali emerge il Jazz, si balla il Charleston e i contrabbandieri fanno affari d’oro col proibizionismo creando una nuova generazione di nuovi ricchi. Due fluidi che nel romanzo si mescolano in modo magistrale per raccontare l’epopea ed il declino di Jay Gatsby ed il suo tormentato amore per la bella Daisy; l’apatia e l’indolenza di Nick, narratore dell’intera vicenda, e Jordan; il machismo di Tom e le due Americhe in contrasto, quella abbondante, sfarzosa, opulenta delle feste e quella cinerea, annerita dal carbone e indolenzita dalla fatica della classe operaia, proprio fuori dalle luci della grande mela.
Nonostante il gelo di Cannes e la freddezza della critica europea, Luhrman riesce nel compito più arduo, ossia recuperare l’atmosfera del libro e riprodurla attraverso le immagini brillanti, una fotografia forse al limite dell’eccesso ma appropriata, e l’incedere della trama. In Europa c’è chi ha avuto il coraggio di definirlo noioso, di parlare di delusione schiacciante, addirittura barocco. La verità è che queste accuse, se non ingiustificate, risultano almeno ingenerose. Non siamo assolutamente di fronte ad un capolavoro. Ci sono attimi di estrema lentezza, abusi di effetti scenici e ostentazione di vacuità nella rappresentazione dell’America di quegli anni e soprattutto (ed è la pecca maggiore), un eccessivo rimaneggiamento del testo di partenza (capitale è infatti la totale assenza del rapporto tra Nick e Jordan). Ma nel complesso siamo davanti ad un film artisticamente riuscito e dal potere evocativo indubbiamente di assoluto livello. L’incontro tra Nick (l’ottimo Tobey McGuire) e la cugina Daisy (la sempre brava Carey Mulligan) in una camera ricoperta di veli bianchi non solo riproduce perfettamente le parole di Fitzgerald, ma contiene in sè l’essenza della scena: la bellezza estrema e la sua vuota essenza, elegante metafora per rappresentare il personaggio di Daisy, incastrata tra una natura profonda ed un desiderio di serena superficialità. Non certo inferiore è poi ad esempio la scena del thè a casa di Nick con la ricongiunzione di sua cugina con Gatsby, dove uno straordinario Leonardo Di Caprio sbatte in faccia allo spettatore il lato nascosto del giovane miliardario, ossia il giovanissimo ufficiale squattrinato ed innamorato, ferito da una storia interrotta cinque anni prima e che ha fermato lo scorrere del suo tempo.
Ed è proprio su questo tasto che Luhrman insiste, ponendo il focus sulle contraddizioni del protagonista: sullo scontro virile con il suo antagonista e sul desiderio di rivalsa che permea la sua intera vicenda e che ha come apice la scena in cui esplode la rabbia di Gatsby dopo che Daisy non riesce a dire ciò che lui le suggerisce, ossia che non ha mai amato Tom, perchè sarebbe una menzogna. È dunque paradossalmente la profondità di Daisy a condurla verso la sua superficialità mentre lui, distrutto, subisce l’ennesimo colpo di un destino infelice, con la complicità di Tom.
Una volta John Irving, parlando delle fortissime incongruenze tra il suo romanzo “Le regole della casa del sidro” e la versione cinematografica della quale lui stesso aveva curato la sceneggiatura, disse che laddove non fosse stato possibile ricrearne perfettamente le immagini o la trama, l’importante sarebbe stato trasmetterne l’essenza, il significato ultimo. In questo il film di Luhrman non è stato compreso, in particolare dalla critica europea che vede nel testo di Fitzgerald un buon libro, ma non un romanzo formativo intramontabile e capace di andare oltre lo status di romanzo generazionale. Non si è riusciti ad andare oltre il rapporto diretto e strettamente letterale. Un vero peccato.

Voto 7/10



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