Accingendosi a vedere Il grande Gatsby è opportuno tenere a mente una raccomandazione: sarebbe unfair chiedere a Baz Luhrmann di essere un novello Francis Ford Coppola. Luhrmann è rococò, eccessivo e grandioso ed è proprio su queste caratteristiche che ha costruito una fama, che - pure - è dovuta fondamentalemente agli ormai lontani nel tempo Romeo+Juliet e Moulin Rouge (assumendo che Ballroom e Australia li han visti relativamente in pochi); entrando in sala meglio non aspettarsi la misura estetica ed emotiva che caratterizzava il film con Robert Redford e Mia Farrow. Detto questo meglio non proseguire con i paragoni, chè il discorso sarebbe lungo e complesso; meglio concentrarsi sul film attualmente in sala.
Se ancora non sapete nulla della trama, leggetevi il libro perché se lo merita; qui mi limiterò a riferire che il film si concentra sulla parabola del sogno d'amore "impossibile" di Gatsby che finisce nell'annientamento da una parte e nella indifferenza dall'altra proprio come nella Back to black di Amy Winehouse non a caso presente nella colonna sonora, pur se nella versione di Beyoncé e André 3000; la voce narrante una volta tanto è giustificata (ma cosa c'entra lo psicanalista?), le differenze fra la sceneggiatura ed il romanzo sono (quasi) sempre comprensibili.
La scenografia ed i costumi sono opera della moglie di Luhrmann, Catherine Martin (un sodalizio che funziona sia sullo schermo che nella vita). I vestiti da sera sono Prada e varrebbero la pena da soli, ma in più ci sono abiti da giorno per i personaggi delle più varie estrazioni sociali (per la moda uomo Carraway ha sempre pesanti tweed sportivi, mentre Gatsby è vestito leggero e colorato, Buchanan ha completi scuri impeccabili). Il castello di Gatsby è esattamente come dovrebbe essere: fuori di testa.
Luhrmann delizia gli occhi soprattutto nella prima parte con piani sequenza e dolly che fanno volare lo spettatore da un lato all'altro della baia, dalla sontuosa e raffinata villa dei Buchanan al castello fatto per stupire di Gatsby. La scena della festa è tutto sommato meno "moulin-rougesca" di quanto mi aspettassi. L'utilizzo di musiche moderne su una ambientazione d'epoca è l'aspetto, a questo punto, più prevedibile; però rende bene l'idea di sfrenatezza alle orecchie dello spettatore di oggi per cui il jazz - ancorchè caldo - suona un po' troppo "passato".
Leonardo di Caprio l'ho trovato perfetto. Con quella faccia da bambini invecchiato rende benissimo l'idea romantica dell'uomo che in una certa misura si rifiuta di accettare la realtà e tenta di costruirne una a misura della propria immaginazione. Non riesco a capire come qualcuno lo trovi bello, però è molto, molto bravo. Joel Edgerton è un Tom Buchanan molto fisico e snob ma anche un po' viscido: un'ottima intepretazione per un attore che si sta rivelando anche versatile. Tobey Maguire ha occhi che sembrano di vetro e una faccia un po' beota, pertanto è un'ottima scelta per rappresentare l'ingenuo Carraway. Carey Mulligan ha convinto Luhrmann che pure per il ruolo di Daisy aveva preso in considerazione quasi tutte: Keira Knightley, Rebecca Hall, Amanda Seyfried, Blake Lively, Abbie Cornish, Michelle Williams e Scarlett Johansson. La scelta si è rivelata azzeccata, la Mulligan è forse meno bella di altre pretendenti, ma è molto credibile in quel fondo di tristezza che contraddistingue il personaggio. La vera rivelazione del film a mio avviso è però la giovane Elisabeth Debicki nel ruolo di Jordan Baker, la migliore amica di Daisy. La Debicki, ingaggiata direttamente da Luhrmann dopo che l'ha vista recitare a teatro, ha classe da vendere e di tutte è la meglio vestita e pettinata. Nella realtà è bionda, ma fossi lei prenderei in considerazione la possibilità di tenere i capelli neri, che le stanno benissimo (vedere foto sopra per credere).
Il film è lungo due ore e venti, ha una fase centrale che ho trovato un po' noiosa, ma tutto sommato il tempo scorre senza troppo farsene accorgere. Luhrmann, come dicevo prima, si concentra sulla storia d'amore e passa allegramente sopra alla critica sociale ed agli aspetti morali (più che moralistici, cosa apprezzabile) del romanzo. A mio avviso il limite del film è proprio questo: dato il periodo che stiamo vivendo e il metraggio della pellicola ci sarebbe stato spazio e modo per salire di livello con poco sforzo. Luhrmann sceglie invece di restare fedele a se stesso confezionando un fumettone che è una gioia per gli occhi ma resta un po' troppo sulla superficie. Da uno che ha come motto "una vita vissuta nella paura è vissuta solo a metà" mi sarei aspettato un pizzico di coraggio in più.
2013 - Il grande Gatsby (The Great Gatsby)
Regia - Baz Luhrmann
Scenografia e costumi: Catherine Martin
Fotografia: Simon Duggan