Il Grande Lebowski

Creato il 07 febbraio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

Quei "geniacci" dei Coen, canaglie di autori straordinari e cineasti sempre pronti a ribadire la loro grande, inconfondibile, "autorialità". Dal lontano 1984, quando al Sundance Film Festival si aggiudicano il Premio della Giuria per l'esordio di Blood Simple - Sangue facile, ne abbiam visti di film(oni) firmati Coen. Pubblico e critica quasi sempre in sintonia nel promuovere la brillante filmografia di questi due registi, sceneggiatori, produttori e montatori statunitensi, come una delle più originali e sofisticate del cinema contemporaneo. Senza badare a ristrettezze di genere i fratelli Coen vantano la straordinaria dote di barcamenarsi, senza vacillare, tra cinema d'autore e commedia nera (Ladykillers 2004), per passare poi tra i più classici thriller drammatici (Non è un paese per vecchi 2007), al western (Il Grinta 2010) fino ad esplodere in prove ineccepibili dal sapore "nichilista", e a tratti surreale.

Il Grande Lebowski (1998), la cui storia come lo stesso titolo, si ispira in parte a Il Grande sonno di Raymond Chandler (già fonte per Hawks nel 1946), è una commedia originale e grottesca. Portatrice di messaggi e ideali di una vita basata sul "prendila come viene", tra una partita a bowling e un bicchiere (più di uno in realtà...) di White Russian. Dalla cura certosina prestata alla psicologia dei personaggi, su ognuno dei quali si potrebbe discutere all'infinito, e soprattutto una sceneggiatura che fa innamorare lo spettatore fin dalle prime battute (Lo straniero che parla, introduce e conclude la storia). In realtà dalla primissima sequenza, quella in cui la voce narrante ci prepara e scommette sul fatto che di lì a poco anche noi, avremmo visto in "Drugo", quello che in un certo senso diventa, l'uomo giusto e al momento giusto. Trascinati all'interno della storia, come uno strano gomitolo arboreo spostato dal vento.

Siamo a Los Angeles, anni '90. Jeffrey Lebowski (Jeff Bridges) si fa chiamare Drugo (Dude nella versione originale) e potrebbe esser visto come l'uomo più pigro del mondo. Uno talmente pigro da andare al supermercato in vestaglia e pantofole. Uno che con assoluta tranquillità si vede entrare due tizi in casa a reclamare soldi, il tutto per un beffardo equivoco che vede il povero protagonista, omonimo di un ricco magnate. Non appena i due si rendono conto dell'effettivo malinteso, lasciano l'appartamento, non prima però, di aver marchiato il territorio come fanno i cani. Sarà proprio la "questione tappeto" a spingere Drugo in un'avventura, forse la prima della sua vita, ai limiti dell'action thriller. Il malloppo in mano, un'auto rubata da ritrovare, un rapimento (o presunto tale) e un partner dei più irascibili, fissato col Vietnam. Uno straordinario John Goodman
Ad arricchire il quadro un cast eccellente, oltre ai già citati Bridges e Goodman ricordiamo un altro dei fedelissimi dei Coen, Steve Buscemi così come John Turturro, nel film un pedofilo fissato col Bowling, tanto esaltato da chiamarsi "Jesus". La rossa per eccellenza Julianne Moore, figlia del ricco Lebowski, specializzata  nell'arte delle acrobazie in volo e senza vesti. Un giovane Philip Seymour Hoffman nei panni del segretario tutto fare di Lebowski. Una commedia pazza che raggiunge le vette più alte in sequenze oniriche che portano nei meandri più inesplorati di una pista da bowling e nella mente dell'uomo fannullone per eccellenza. Tutto questo però potrebbe non bastare a fare di Lebowski un vero e proprio Cult. Ed è così che i Coen danno al film tutto ciò di cui necessita una grande pellicola. Una di quelle che segnano un'epoca e le generazioni future. Un film che rilancia una serie molteplice di spunti filosofici e ideali che a distanza di anni ancora sopravvivono e, ancora, nutrono per Drugo un'ammirazione spropositata. Il Grande Leboswki non è solamente una grottesca commedia sita nelle battute memorabili, come quella di Walter: "questo non è il Vietnam, è il bowling. Ci sono delle regole". Quel che rimarrà nella memoria eterna di ogni spettatore è la persona e l'anima di un uomo convinto che vivere la propria vita secondo la teoria infallibile della calma e di un "Hippy C'est la vie", sia comunque la scelta migliore che ogni individuo possa concedersi. Non badare a nulla nello specifico ma non digerire il fatto che qualcuno abbia macchiato d'urina il tappeto, solo perché dava tono all'ambiente. Non fare nulla e non avere un'occupazione che convenzionalmente renda degni gli uomini, soprattutto nella società, di ieri come quella odierna. Essere pienamente consapevoli della propria noncuranza di tutto, e rappresentare al contempo l'eroe dei perdenti, dei nessuno che finiscono risucchiati dall'indifferenza della gente. Uno che rifiuta i passi delle tecnologie future che sembrano minacciare perfino i rapporti intimi degli uomini e delle donne, straordinaria la battuta di Drugo al signor Jackie Treehorn, che tutti ricorderete...(?)

Un grande film, come il Drugo che lo incarna e grandi sequenze che scuotono i punti deboli dell'uomo. La vita, la morte, la fiducia, la competizione e gli "strascichi" che ogni buon allievo arruolato nell'esercito della vita si porti dietro. Perché la vita è così. A volte sei tu che mangi l'orso e a volte è l'orso che mangia te...

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