Il Grande Match - La Recensione

Creato il 07 gennaio 2014 da Giordano Caputo
Il nome di Peter Segal nell'operazione doveva far intuire immediatamente che "Il Grande Match" fosse qualcosa di più (o di meno) di un suggestivo scenario che avrebbe messo nuovamente sul ring, a distanza di molti anni, i miti di Rocky Balboa e di Jake LaMotta. Questo non solo perché ufficialmente Sylvester Stallone e Robert De Niro venivano chiamati a rappresentare due pugili che nulla avevano a che fare con quelli interpretati a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, ma perché sfogliando attentamente la filmografia del regista la destinazione finale della pellicola appariva unica e ben illuminata.
Artefice di commedie demenziali per antonomasia infatti Segal in questo caso pur frenando un tantino la sua vena demenziale non cambia registro, si sostituisce perfettamente allo Stallone-regista più recente e dirige uno scontro tra ex-stelle del pugilato dai toni semiseri che ha pochissimo interesse a parlar direttamente di allenamenti e guantoni e enorme voglia di scherzare e autoironizzare su età e passato dei due protagonisti, tessendo contemporaneamente sottotrame di riscatto e di romanticismo e alleggerendo il tutto con battute ritmate, affilate e ficcanti. Resa dei conti e duelli all'ultimo gancio sono rimandati quindi a data da destinarsi, poco lo spazio riservato a loro, in primo piano salgono i conti in sospeso accumulati durante una vita da sistemare e da raddrizzare, che ha saputo togliere assai maggiormente di quanto invece ha saputo restituire. In questo equilibrio inaspettato e disteso "Il Grande Match" allora costruisce le mosse vincenti per imporsi sia ai scettici che agli entusiasti, usa l'arma della risata con parsimonia e ottimi tempi e suggerisce senza troppe preoccupazioni una tendenza al lieto fine intrattenendo con gusto, acutamente e sfruttando con determinazione la presenza sullo schermo di due personalità pesanti.
Ecco perciò come la manovra che inizialmente aveva assunto un clamore piuttosto eccessivo - per via di un sottotesto assolutamente non presente all'interno della sceneggiatura ma decisamente ingombrante nell'immaginario dello spettatore - si svela meno sfrontata ma anche meno ridicola del previsto, venendo assorbita con il piacere di una rimpatriata tra grandi vecchi, ancora in accettabile forma (Alan Arkin è irresistibile) e consapevoli di non far più parte della linea verde che al contrario va trasferita senza stendere eccessivi drammi.
Ed è così che “Il Grande Match” zampilla, gonfiato a chiacchiere oltre misura per esser bucato velocemente, e con cura, da uno spillo che comodo ne riduce volume, rancore e dolore a rilento. Probabilmente l’opera più seria di Peter Segal, che al corrente di non avere stavolta tra le sue mani né Adam Sandler e né Steve Carrell si abbassa al talento meno comico ma non per questo più scadente di un cast decisamente affiatato e di un altro livello.
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