Alla Tsukuba University è stato testato un guanto in grado di “percepire” oggetti immersi nell’acqua grazie al principio di ecolocalizzazione dei delfini
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Un sonar a portata di mano
A vederlo sembra un guanto come altri, magari con un design buffo ed eccentrico, ma il nome suggerisce che si tratta di qualcosa di completamente diverso. I due ricercatori della Tsukuba University che lo hanno sviluppato, Aisen Carolina Chacin e Takeshi Ozu, lo hanno chiamato infatti IrukaTact, il tatto dei delfini (iruka in giapponese). E’ proprio il caso di dire “nomen omen” dato che si tratta di un sistema di rilevamento degli oggetti nascosti in acqua che usa un principio simile all’ecolocalizzazione usata dai delfini per muoversi nel loro habitat. Indossando il guanto infatti è possibile ricevere un feedback tattile di oggetti sommersi semplicemente muovendo le mani. Al momento il range di azione di questo sonar è piuttosto piccolo (appena 60 centimetri) ma il principio che usa è decisamente promettente.
Il guanto, realizzato in silicone, è composto da un sensore sonar MaxBotix MB7066 (posizionato dentro un contenitore attaccato al polso) e da un processore Arduino Pro Mini. Quest’ultimo ha il compito di inviare segnali alle capsule in cui si infilano indice, medio e anulare. Su di esse sono montati tre piccoli motori che pompano l’acqua trasmettendo la percezione tattile, intensificando il getto se ci si sta avvicinando all’oggetto e indebolendolo se ci si sta allontanando. In aggiunta a questo, lo scarso ingombro del guanto permette non solo di percepire gli oggetti, ma anche di raccoglierli all’occorrenza.
Come spiegato da Chacin “il nostro obiettivo è stato quello di espandere la capacità tattile. Come si possono sentire le diverse strutture o la profondità senza toccare l’oggetto? La risposta a questa domanda è il punto nodale della nostra ricerca”. Risposta che sembra essere arrivata ispirandosi ad uno degli animali più intelligenti in natura e da un metodo di rilevamento degli oggetti già usato dall’uomo quale il sonar.
Le mille vie della comunicazione tattile
Il lavoro dei due ricercatori della Tsukuba University scrive una nuova pagina nella storia della comunicazione tattile. Il concetto fisico che sta dietro a questa capacità è semplice (si tratta in buona sostanza di emettere suoni nell’ambiente ed ascoltare gli echi che rimbalzano dagli oggetti circostanti) ma la scienza per renderla possibile molto meno. Dal momento che il processo base prevede la simulazione di un senso del tatto o del contatto usando la pressione dell’aria o le vibrazioni è necessario controllare al meglio l’entità della stimolazione che viene fatta sentire all’utilizzatore di questi apparecchi.
Questa sfida si è dimostrata negli anni decisamente complicata in quanto l’essere umano, a differenza di altre specie come pipistrelli e per l’appunto delfini, non ha di natura un biosonar particolarmente sviluppato nel rilevamento di oggetti. Questo però non ha impedito agli studiosi di scervellarsi per svilupparne uno anche ad uso e consumo “umano” per dare ad esempio ai non vedenti nuove opportunità di orientamento.
A partire dagli anni ’50 è stata sviluppata infatti una tecnica chiamata “visione facciale” basata sul rimbalzo nell’ambiente circostante di una serie di schiocchi di lingua o altri suoni ad alta frequenza. L’analisi uditiva, la velocità di ritorno del suono e la distorsione ricevuta permettono quindi di percepire la presenza di un oggetto, così come la sua consistenza e distanza.
Il prototipo sviluppato alla Tsukuba University prosegue quindi su questa strada, cercando di colmare una lacuna sensoriale degli esseri umani per offrir loro percezioni del tutto inedite della realtà che li circonda.
Un guanto, diversi utilizzi
Per evitare che il frutto del loro lavoro rimanesse un prototipo accademico e niente più, Chachin e Ozu hanno pensato di commercializzare il loro guanto. Grazie alla collaborazione con Ars Electronica sono infatti disponibili i file che permettono di stamparlo in 3D. In aggiunta è possibile scaricare dal sito TinkerCad le istruzioni per assemblare l’intero apparecchio. Gli ingredienti, oltre alla stampante, sono un sensore sonar, un microcontroller e dei piccoli servomotori. Così facendo chiunque abbia il tempo, la voglia (e i soldi) può provare a costruirsi il suo guanto personale.
Sul cosa farci ci sono diverse possibilità. I subacquei, ad esempio, potrebbero utilizzarlo per la ricerca di oggetti sepolti in fondo all’oceano in condizioni di scarsa luminosità. Le squadre di soccorso, per parte loro, potrebbero invece servirsene per la ricerca di sopravvissuti in caso di inondazioni.
Gli usi possibili per questo guanto però vanno oltre la semplice ricerca di uomini od oggetti sommersi. Anche un campo completamente diverso come quello dei videogiochi potrebbe infatti trarre vantaggi da questo strumento. Uno dei target principali di questo settore da anni è quello di rendere l’esperienza di gioco la più realistica e credibile possibile. Cosa c’è di meglio di un guanto che dia una percezione tattile degli oggetti che il giocatore vede?
Come si può vedere si tratta di uno studio con applicazioni tra le più varie e questo non può che giovare per suoi ulteriori progressi. Potrebbe trattarsi di una vera e propria miniera d’oro “a portata di mano”.