Il gulag dei napoletani

Creato il 13 gennaio 2012 da Faustodesiderio

Negli anni Trenta a Mosca molti comunisti italiani finirono nei gulag risucchiati dall’inferno delle “purghe” di Stalin. Non erano pochi gli italiani che vivevano a Mosca e gli emigrati politici costituivano una vera e propria comunità all’ombra del Cremlino. Giunti in Unione sovietica sulla ali dell’illusione, ben presto gli italiani fecero la scoperta della disillusione e il paradiso che avevano sognato divenne l’inferno di un incubo reale. Furono accusati di spionaggio, oppure usati come ostaggi per ricattare il governo italiano, il più delle volte furono semplicemente vittime di un clima di sospetto. Quanti persero la vita in Urss? Più di mille. Recentemente sono state due storiche come Elena Dundovich e Francesca Gori a ricostruire con un documentato libro le vicende drammatiche degli Italiani nei lager di Stalin (Laterza). Ora è la volta di Antonio Alosco che con lo studio I nemici del popolo, edito da CentoAutori, mette a confronto i destini dei napoletani Mario Giletti e Edmondo Peluso e dell’abruzzese Carlo Tresca.

Se la figura di Peluso è abbastanza nota, se la vicenda di Tresca si svolge negli Stati Uniti, qui interessa la vicenda di Mario Giletti che, come scrisse con il suo stesso sangue in una lettera ai familiari, passò dalle danze di Sorrento al gulag di Molina al Circolo Polare Artico.

Quando nella primavera del 1938 fu arrestato, il compagno Mario Giletti, segnalato dagli stessi dirigenti del Pci che lavorano al Comintern come un elemento passivo, viveva in Unione Sovietica da circa dieci anni, aveva una moglie e due figli: Lena e Sasha. Nel 1929 era stato espulso dagli Stati Uniti dopo essere stato arrestato per un’aggressione a due fascisti. Antonio Alosco, che insegna Storia contemporanea al Suor Orsola Benincasa, fa risalire l’arresto del comunista di Napoli a Mosca alla “matrice bordighista” della sua politica. Per Stalin e gli stalinisti essere bordighiani equivaleva ad essere “peggio” dei trotskisti, praticamente dei nemici di classe, dunque da eliminare. Proprio a Napoli il bordighismo ebbe il suo terreno di coltura e  – sottolinea Alosco -  “molti comunisti rimasero ancorati a tali concezioni fino al secondo dopoguerra”. Mario Giletti, che nacque a Napoli nel 1906 (il padre aveva in gestione il ristorante della stazione ferroviaria in piazza Garibaldi, proveniva da Telese dove lavorò alla ristorazione nelle terme) formò la sua fede politica con le idee di Amadeo Bordiga e, con il fascismo alle porte, fece la sua prima prova di militante antifascista in piazza della Ferrovia. Eppure, sarà proprio la sua formazione politica, più aperta e anticonformista, a determinare la sua fine nell’Arcipelago Gulag della Kolyma, Siberia nordorientale. Una volta arrestato, ebbe una punizione di carattere “solo” amministrativo: otto anni di reclusione in un gulag. Il suo destino era segnato ma, come testimoniano alcune sue lettere alla famiglia, Giletti non aveva ancora capito e sperava in un suo ritorno a casa. Venne giudicato altre due volte sommariamente per propaganda controrivoluzionaria e sabotaggio e fu fucilato il 21 novembre 1941 nella regione di Mogadan, “ma senza che venisse conosciuto il luogo della sepoltura”.

tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 13 gennaio 2012



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