Come è stato dimostrato dalle tabelle prodotte dalla Uil, una delle quali riporto
Il dato di origine Inps che viene sventolato, anche nel caso corrisponda a verità, è dunque più che scontato, ma anche del tutto privo di un qualunque significato progressivo o riguardante la crescita: è solo il risultato di dadi truccati. Per di più qualunque cosa può essere affermata, qualunque numero può essere offerto al lotto della politica visto che i soggetti che li emettono sono tre e regolarmente sono in contrasto fra loro: ci sono le indagini campionarie dell’Istat, i dati dell’Inps e quelli del Ministero del lavoro. Le prime sono le più complete e riguardano tutto il mondo dell’occupazione, l’Inps invece riferisce solo sui rapporti di lavoro dipendente con esclusione di tutto il settore pubblico, del lavoro domestico e di quello agricolo; il Ministero dal canto suo invece accorpa i contratti parasubordinati (quelli tipici dei collaboratori) e anche le forme di precariato spinto. E’ chiaro che si crea una grande confusione nella quale tutto e il contrario di tutto può essere detto tanto che lo stesso presidente dell’Inps ha accusato il ministro Poletti di fare un uso politico dei dati.
Così da una parte l’Istituto centrale di statistica diffonde i dati di un nuovo aumento della disoccupazione, dall’altra si alzano i peana del renzusconismo, prontamente megafonati acriticamente dai media, per l’ovvio aumento di contratti a tempo indeterminato che sono stati nel frattempo svuotati della loro potenziale stabilità e la cui crescita non significa di per sé alcun aumento concreto dell’area dell’occupazione. Cosicché non stupitevi nemmeno un attimo se andremo in fallimento nel bel mezzo di una vigorosa ripresa: la realtà alla fine è quella che vince.