Perché ami i supereroi? Come ti sei accostato alle loro avventure?
Per caso, un giorno di un’estate noiosa in cui avevo già letto tutto il resto che c’era nell’edicola del mio paese di campagna (non che ci fosse molto…), decisi di provare questo giornalino che non avevo mai visto prima… in copertina c’era Capitan America che combatteva con un gigantesco uomo-armadillo… come resistere? Da lì a poco mi ritrovavo ad andare tutte le settimane in autobus in città per fare incetta di ogni cosa supereroica che potessi trovare nelle varie edicole (epoca pre-fumetterie, almeno a Cuneo). Perché questa passione bruciante allora come adesso? Mah, se mi mettessi a scandagliarne tutte le ragioni dovrei scrivere un altro libro!
Direi tutte! Anche i fumetti più triti, piatti, banali e ripetitivi mi hanno insegnato qualcosa. Lo si vede anche dal mio approccio, mi piace discutere dei fumetti “normali” piuttosto che dei capolavori. Tanto il mondo è già pieno di studiosi che categorizzano, gerarchizzano, selezionano e che parlano dei capolavori fumettistici. E lo dico senza ironia: fortuna che ci sono loro a farlo, così non lo devo fare io! Ma personalmente a me piace andare a scovare il lato luminoso delle cose più tetre, e, se una cosa è proprio tutta tetra, almeno andare a investigare sul perché sia così.
Hai realizzato un saggio fruibile sia dagli appassionati di fumetto che dai neofiti. Quali spunti e quali esigenze hanno determinato le tue motivazioni iniziali?
L’idea è nata dall’insegnamento del mio corso annuale sui fumetti supereroici alla Indiana University. Come la maggior parte dei corsi che insegno questo non è in forma di lecture (io parlo, voi ascoltate), ma di discussione tra me e gli studenti. Da queste discussioni sono nate così tante idee e sono riuscito a chiarire così tanti punti a me stesso che l’idea di farne un libro è venuta spontanea. Ciò ha anche fatto sì che si tratti di interpretazioni critiche originali e informate ma accessibili a un pubblico più ampio, essendo nate in ambito pedagogico.
Il tuo saggio è fortemente interdisciplinare, strutturato in modo ricco e complesso. Quali sono state le linee guida durante la stesura?
L’ho scritto come un giallo, cioè partendo dalla fine. Una volta che ho visto quale era la tesi finale che volevo provare ho costruito retrospettivamente i diversi passi che conducevano ad essa . Voglio dire: tra le mie letture preferite in assoluto ci sono pur sempre i romanzi di Agatha Christie! Quindi ho anche cercato la concisione, ho tolto tutto quello che non fosse assolutamente necessario alla mia tesi, di modo che la ridda di esempi e fumetti che discutevo non andasse a oscurare il disegno generale.
No, perché fin dall’inizio ho scelto di inquadrare una serie di problemi, questioni, significati e implicazioni che sono nate nel mainstream e nel mainstream si sono sviluppate. Hai ragione a dire che i capolavori hanno influenzato molte cose anche nel mainstream, ma non proprio tutto tutto. E quella parte che non ne è stata influenzata è anche quella che tutti gli studi critici precedenti hanno di solito trascurato. Il che ha generato due effetti: uno ovviamente è l’oblio di quanto il mainstream di per sé sa creare e ha da offrire, e l’altro è la distorsione percettiva che il mainstream esiste solo come riflesso imperfetto dei “capolavori”. Quindi nel concentrarmi solo sul mainstream ho volutamente ristretto il mio campo e ho colmato (o iniziato a colmare) una lacuna. Immagina se un sociologo discutesse dell’Italia solo come membro dell’Europa Unita, dimenticando gli aspetti che sono autoctoni. Certo ci sono varie cose che si capiscono dell’Italia in quanto membro dell’Europa ma anche altre in cui non occorre andare a scomodare Bruxelles; anzi, ci sono cose che sarebbe ingiusto descrivere come derivanti da Bruxelles quando le hanno inventate gli artigiani locali. Ecco, io ho studiato quella parte del mainstream che deve poco o nulla ai capolavori.
Il rapporto tra fumetto supereroico e multiculturalità è uno degli argomenti
Vorrei, ma poi i lettori non comprano più il libro. No, sto scherzando. Però è vero che rispondere a questa domanda significherebbe ripercorrere un terzo del mio libro, quindi porterebbe via molto tempo… Diciamo solo che vivendo in un paese multiculturale, multietnico e multireligioso come gli Stati Uniti ho iniziato a vedere come il genere supereroico sia un riflesso di questo tessuto sociale. Prima, crescendo in Italia, il vedere un gruppo supereroico formato (che so) da un dio nordico, un uomo in armatura, un arciere alla Robin Hood, un androide, una maga, una donna-tigre e un uomo che controlla le formiche, mi sembrava una fantasia giocosa, divertente proprio nella sua follia; poi ho visto invece che vale da allegoria di una realtà sociale come quella statunitense, in cui la diversità e l’eterogeneità sono alla base dell’insieme, in cui la convivenza dei diversi è oggi la norma, e in cui la varietà dei contributi da parte di ognuno è una risorsa, non un limite. Insomma l’eterogeneità interna al genere supereroico ha assunto un significato diverso, e anche molto bello.
Le avventure dei supereroi si sono evolute negli anni da letture per ragazzi a storie per giovani adulti. Come è mutato il concetto di etica del supereroe nel corso di questi anni?
È mutato moltissimo, ma purtroppo la critica ha tardato ad accorgersene. Il saggio di Eco basato solo sui fumetti degli anni Cinquanta, quindi in un’epoca in cui i fumetti di supereroi erano rivolti ai bambini, ha continuato ad essere citato fino a ieri come se fosse aggiornato e ancora valido. Certo che negli anni Cinquanta Superman faceva la carità ai poveri, riparava tutti i torti, portava l’allegria e rassicurava tutti, ma che cosa ti aspetti da una storia per bambini di otto anni? Salò di Pasolini? Ecco, bisogna mettere tutto in prospettiva. Dagli Sessanta i supereroi sono diventati accessibili anche a giovani adulti e poi semplicemente ad adulti, al punto che oggi le serie regolari sono per adulti e adolescenti, e poi ci sono collane di supereroi apposite per i bambini. Nelle serie regolari le storie presentano adesso nodi di questioni etiche più complesse e interessanti, in cui l’eroe non sempre risolve il caso, in cui è chiamato a rispondere delle proprie azioni, in cui le azioni del protagonista costringono il lettore a prendere posizione su questioni controverse. In altre parole sempre più spesso gli eroi ti lasciano davanti a una domanda etica irrisolta (a cui devi rispondere da te) piuttosto che venderti una risposta preconfezionata.
Questi tre cicli forniscono ulteriori esempi alle questioni di cui parlo nel mio libro: quanto al fumetto supereroico come riflesso del reale, Civil War costituisce una rappresentazione del clima di inquietudine che attraversava gli Stati Uniti all’indomani del Patriot Act, e Secret Invasion caratterizzava l’era di fluttuante paranoia che venne poco dopo. Dark Reign una volta di più dimostra la capacità dei supereroi (di cui parlo nel libro) di ribellarsi a un governo ingiusto (mentre tanta critica li dipinge sempre come yes men del potere): se Goblin assume il potere, gli eroi si ribellano. In questo le grandi saghe DC dimostrano un po’ meno impegno. Identity Crisis è un arco di storie interessante perché solleva questioni etiche e obbliga il lettore a chiedersi fin dove si può legittimamente spingere il potere delle autorità, ma altre saghe come Final Crisis o Blackest Night sono invece davvero grandi avventure fantastiche – molto godibili e affascinanti a leggersi, per carità, ma meno pregne di significati, o almeno così mi pare.
Il legame tra cinema e fumetto supereroico sta vivendo un momento
Secondo me… nessuna di queste. Perché a me pare che dopo un decennio di successo del genere filmico supereroico, alla fine sia venuto fuori che il legame tra questi film e i fumetti originari è molto debole. Il che in un certo senso è ovvio. Quando da una parte hai una mole di storie di Superman che continua dal 1938 e dall’altra hai un film di un’ora e mezza, per forza il tema dei fumetti deve venire “compresso” in maniera tale che, di fatto, del fumetto originale resta poco. Questi film costituiscono davvero variazioni sul tema, opere parallele, quasi indipendenti. Lettori che si offendono perché i film non sono fedeli ai fumetti peccano di ingenuità, perché l’enormità del materiale di partenza rende comunque impossibile ogni trasposizione filmica accurata. Inoltre il budget di questi film è tale che per non perderci i produttori devono rivolgersi al pubblico largo degli spettatori, che è dieci o venti volte più ampio di quello dei lettori dei fumetti originari. In altre parole produttori e registi sanno che il 90% degli spettatori non conoscono le opere di partenza, e che dunque il film non può essere troppo “preciso” perché non può presumere competenza specifica da parte dello spettatore. Ma quello che conta ancora di più è che questi film non hanno avuto alcun impatto di rilievo sulla audience dei fumetti: non l’hanno diminuita né l’hanno aumentata. Io non conosco nessuno che sia diventato lettore di fumetti dopo aver visto un film supereroico. Anche gli autori hanno continuato ad andare per la loro strada: magari alle volte vedi Sue Storm disegnata con la faccia di Jessica Alba, ma la storia narrata è costruita secondo le linee costruite prima, nel fumetto, non come sequel del film. Perché di certo uno non vuole deludere i fan “sicuri”, già fedeli, per cercare di acchiappare lettori cinefili nuovi e ancora “ipotetici”…
I supereroi rappresentano un inno alla libertà personale e sono portatori di valori universali e multiculturali. Non pensi che il loro messaggio e il loro essere strumento formativo sia sostanzialmente fallito nella società moderna?
Mah, quando vedo il colore della pelle del presidente americano direi proprio di no! In generale la società statunitense è chiaramente meno razzista, intollerante, omofoba e bigotta di quanto non fosse cinquant’anni fa… anche se ogni volta che alla televisione italiana si parla degli Stati Uniti si tendono a enfatizzare solo gli aspetti negativi della società (secondo me solo per rassicurare il pubblico italiano dicendogli che gli italiani sono più aperti). Voglio dire che è vero che hai ogni tanto dei gruppi privati di matti che aprono il museo creazionista anti-evoluzionista, ma intanto nelle aule delle scuole pubbliche statunitensi il creazionismo non si insegna e il crocefisso appeso non c’è… Non dico che i supereroi abbiano generato questo progressivo cambio, né dico che lo sviluppo di una prospettiva del genere sia completa. Però i fumetti supereroici sono una parte del tutto, e in quanto tali hanno reiterato un utile messaggio di tolleranza e apertura multiculturale. Non il messaggio perfetto che gli studiosi vanno sempre cercando, ma almeno un messaggio che è comprensibile da un vasto pubblico e che è spesso un passo più avanti della media della società. E per me questo è già moltissimo.
Dipende dal fumetto. Ci sono serie supereroiche fantastiche e fantascientifiche di pura evasione, io cui la politica non c’entra davvero, altre di argomento fantastico-fantascientifico ma con allegoria politica dietro e altre che hanno direttamente argomento politico. Gli esempi più famosi sono le storie degli anni ’70 in cui Steve Rogers è così disgustato dallo scandalo Watergate che smette di essere Capitan America e diventa Nomad, l’uomo senza nazione, oppure Civil War, in cui la lotta tra diverse fazioni di supereroi rispecchia le reazioni controverse che seguirono il Patriot Act. In generale la politica del momento in cui le storie sono prodotte è un termine di confronto; poi diversi autori singoli possono decidere di andare più contro o più a favore, ma anche questo è interessante, cioè che il genere supereroico includa abbastanza voci da poter costruire un dibattito al suo interno. Va anche detto in nota che è buffo che gli studi dei critici italiani di sinistra, che troppo sommariamente hanno bollato tante cose come “destrorse”, abbiano creato l’impressione in Italia che i fumetti di supereroi siano “di destra”, mentre negli Stati Uniti tutti percepiscono il genere come eminentemente “democratico”, cioè “di centrosinistra”.
Il tuo saggio sta per essere tradotto e pubblicato in America, andando a rimpolpare le fila del 4% dei libri italiani che annualmente vengono tradotti per il mercato statunitense. In cosa pensi che si distingua il tuo lavoro rispetto alla mole di saggi sul fumetto pubblicati annualmente?
Poca teoria e molta sostanza. O almeno: la teoria c’è ma non si vede, è tutta messa in pratica. Perché anche negli Stati Uniti, come in Italia, abbondano gli studi critici che critici non sono, perché non partono da una conoscenza solida della materia e quindi storpiano i contenuti da analizzare entro griglie teoriche tratte da qualche pensatore francese o tedesco di un secolo fa. Ciò avviene anche al di fuori del fumetto, ma i fumetti si sono prestati particolarmente al dilettantismo da parte degli accademici e dei teorici. C’è una intera serie di libri “critici” statunitensi intitolati “…and Philosophy”: Batman and Philosophy, Watchmen and Philosophy, e sono tutti TREMENDI. Si sta male a leggerli, perché, detto in soldoni, sono scritti da chi non conosce la materia. Trovi saggi “su Batman” dove ti citano Kant, Hegel, Spinoza, Aristotele, Baudrillard e Benjamin, ma dove tu ti accorgi che l’autore ha solo letto The Dark Knight Returns, ha visto l’ultimo film su Batman, e si ricorda di Adam West. Deprimente, e anche insultante per chi questa materia la prende con serietà. Per reazione a questo triste trend ho deciso di scrivere un libro sui fumetti che parlasse di fumetti e fosse basato (pensa un po’) praticamente sui fumetti. È l’uovo di Colombo, ma molti altri non l’avevano fatto. Sia chiaro: ci sono anche studi sui supereroi scritti da studiosi competenti e informati. Ma sono pochi pochi.
Quale è il tuo rapporto con il fumetto italiano?
Amichevolissimo. Ci sono molte cose interessanti, che anzi spesso cerco di includere nei miei corsi. Se insegno un corso di letteratura italiana del Novecento puoi essere sicuro che gli studenti leggono almeno Gli ultimi giorni di Pompeo e Partita con la morte (DD #66). E gli studenti di qui sono molto curiosi al riguardo; proprio la settimana scorsa ero a Chicago a tenere una lecture all’università sul fumetto italiano, e tutti erano interessatissimi. Mi piacciono diversi personaggi Bonelli, e ancora adesso mio padre in Italia mi prende i nuovi Tex, Dylan Dog e Nathan Never, poi quando vado a trovarlo mi riempio i bagagli e li porto qui. I fumetti indipendenti li seguivo molto quando stavo in Italia, soprattutto con grande amore per il gruppo Frigidaire e per Andrea Pazienza. Adesso dagli States è più difficile seguire le nuove cose fuori dai circuiti maggiori.
Nel tuo curriculum di autore hai pubblicato diverse opere che analizzano il rapporto tra parola e immagine. Puoi parlarcene?
Ho diversi saggi su rivista su questo argomento, ma il mio lavoro più impegnativo al riguardo è senza dubbio Il trionfo di Vertunno, un libro che tratta dell’influenza di illusioni ottiche, pitture cangianti, immagini arcimboldesche, specchi magici e altre bizzarrie visive sulla letteratura italiana di tardo Cinquecento e poi del Seicento. Il training di lettore di fumetti ovviamente torna utile quando si analizzano questioni intermediali come questa. Il motivo principale che mi ha spinto ha scrivere Il trionfo di Vertunno è di mostrare non solo la ricchezza degli scambi tra arti, ma anche tra livelli “alti” e “bassi” della cultura. Sai, si è studiata molto l’influenza della letteratura sull’arte, ma assai meno l’influenza opposta, cioè dall’immagine alla parola. Forse pesava la concezione di letteratura come regina delle arti, la quale quindi sparge magnificenza sulle altre arti ma non deve ammettere che anche lei ha dei debiti. Così io ho scelto di studiare le fonti visive di molte opere letterarie, e soprattutto le fonti fuori dal canone, quindi non Michelangelo o Raffaello ma le bizzarrie visive più assurde, spesso proprio da baraccone, per dimostrare che anche gli intellettuali di più alto livello ne hanno tratto spunti molto importanti. Lo stesso feci in un mio saggio sull’influenza del cinema sulla letteratura italiana, e al momento sto dirigendo una tesi di dottorato proprio su quest’ultimo argomento.
Progetti qualche nuova “incursione” nel genere supereroico?
Il prossimo progetto è seguire la traduzione del libro supereroico in inglese, adattare diverse cose per il mercato statunitense (tipo i riferimenti a fatti e personaggi italiani sconosciuti qui), ma anche aggiornare, espandere un po’, aggiungere esempi tratti da fumetti usciti nel frattempo. Dopo questo? Probabilmente lavorerò sull’argomento supereroico a un certo punto. I fumetti supereroici costituiscono di gran lunga la maggior parte dei fumetti che continuo a leggere ogni giorno. A un certo momento magari mi scatterà una tesi nella testa (come è avvenuto con Il genere supereroico), vedrò un insieme di temi, idee e connessioni che non avevo visto prima e su cui non è stato scritto troppo. A quel punto mi metterò al lavoro. E se alla fine quel lampo non scatta, poco male; continuerò a godermi la lettura, che poi è la cosa più importante.